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Tonali e Fagioli rischiano grosso...anche col patteggiamento. Se pure la pena fosse ridotta rischiano di prendere almeno un anno.
Se invece Zaniolo ha scommesso ma non sul calcio, ne esce senza nessun aggravio. Colpo di scena
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sopra una sola teca di cristallo
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forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Paulo Roberto Falcao, che oggi compie settant’anni è lì, stampato nella mente e nei ricordi di chi l’ha visto in campo, capace di trasformare l’iniziale diffidenza in un “oh” di meraviglia, scrive Alessandro Vocalelli su La Gazzetta dello Sport.
Ma è un racconto, talmente entusiasmante, da indurre una decina di generazioni a credere ugualmente di averlo conosciuto. Non è importante che abbia salutato quarant’anni fa: se vedi uno in mezzo al campo, elegante e autorevole, ancora oggi i ragazzini - e non solo i più maturi - non riescono proprio a trattenersi: ma chi sei, Falcao? Già, Falcao. Che non aveva, in quella Roma, capace di conquistare uno scudetto (‘82-83) atteso e sospirato per quarantuno anni, la velocità di Pietro Vierchowod, la grandezza silenziosa di Agostino Di Bartolomei, i polmoni di Ancelotti, la classe esagerata di Brunoconti - tutto d’un fiato - l’ appuntamento scontato con la storia del bomber Roberto Pruzzo; ma sapeva essere attrattivo, decisivo, rassicurante e superiore con quel suo incedere elegante. Ma mai fine a se stesso, senza punte di compiacimento e narcisismo. Falcao non è stato mai – o forse una volta sola – un brasiliano. Piuttosto un olandese a tutto campo, un tedesco per la feroce applicazione, magari un argentino, per il desiderio di non mollare mai un centimetro. Di brasiliano, dicevamo, fece solo una giocata. Al debutto, quando Viola gli si avvicinò con una richiesta. "Paulo, fai vedere a tutti la tua classe". E fu così che Falcao sfoggiò, dentro a una partita per nulla entusiasmante, un pallonetto per superare l’avversario che in quel momento aveva davanti. Un ricciolo, da aggiungere alla sua capigliatura così caratteristica, pronto però per essere tagliato. "Presidente, l’ho fatto solo per lei. Ma la prego di non chiedermelo mai più. Sono qui per fare il calciatore e non il giocoliere". Il calcio di Falcao era un’altra cosa: una calamita, per il pallone e per i compagni; un’Idea resa concreta; la suggestione di poter davvero giocare in dodici. Anzi, di più. Perché Falcao è sempre stato il primo difensore, il primo costruttore, il suggeritore e - a volte, solo quando doveva - anche il finalizzatore.
Nel giorno del suo settantesimo compleanno continuiamo a chiederci, vedendo quel ragazzino, elegante e a testa alta, nel campetto sotto casa: "Ma chi sei, Falcao?".
sigpic Free at last, they took your life
They could not take your PRIDE
Paulo Roberto Falcao, che oggi compie settant’anni è lì, stampato nella mente e nei ricordi di chi l’ha visto in campo, capace di trasformare l’iniziale diffidenza in un “oh” di meraviglia, scrive Alessandro Vocalelli su La Gazzetta dello Sport.
Ma è un racconto, talmente entusiasmante, da indurre una decina di generazioni a credere ugualmente di averlo conosciuto. Non è importante che abbia salutato quarant’anni fa: se vedi uno in mezzo al campo, elegante e autorevole, ancora oggi i ragazzini - e non solo i più maturi - non riescono proprio a trattenersi: ma chi sei, Falcao? Già, Falcao. Che non aveva, in quella Roma, capace di conquistare uno scudetto (‘82-83) atteso e sospirato per quarantuno anni, la velocità di Pietro Vierchowod, la grandezza silenziosa di Agostino Di Bartolomei, i polmoni di Ancelotti, la classe esagerata di Brunoconti - tutto d’un fiato - l’ appuntamento scontato con la storia del bomber Roberto Pruzzo; ma sapeva essere attrattivo, decisivo, rassicurante e superiore con quel suo incedere elegante. Ma mai fine a se stesso, senza punte di compiacimento e narcisismo. Falcao non è stato mai – o forse una volta sola – un brasiliano. Piuttosto un olandese a tutto campo, un tedesco per la feroce applicazione, magari un argentino, per il desiderio di non mollare mai un centimetro. Di brasiliano, dicevamo, fece solo una giocata. Al debutto, quando Viola gli si avvicinò con una richiesta. "Paulo, fai vedere a tutti la tua classe". E fu così che Falcao sfoggiò, dentro a una partita per nulla entusiasmante, un pallonetto per superare l’avversario che in quel momento aveva davanti. Un ricciolo, da aggiungere alla sua capigliatura così caratteristica, pronto però per essere tagliato. "Presidente, l’ho fatto solo per lei. Ma la prego di non chiedermelo mai più. Sono qui per fare il calciatore e non il giocoliere". Il calcio di Falcao era un’altra cosa: una calamita, per il pallone e per i compagni; un’Idea resa concreta; la suggestione di poter davvero giocare in dodici. Anzi, di più. Perché Falcao è sempre stato il primo difensore, il primo costruttore, il suggeritore e - a volte, solo quando doveva - anche il finalizzatore.
Nel giorno del suo settantesimo compleanno continuiamo a chiederci, vedendo quel ragazzino, elegante e a testa alta, nel campetto sotto casa: "Ma chi sei, Falcao?".
Napoli, infortunio Osimhen: fuori almeno un mese. Cosa si è fatto
L'attaccante nigeriano Osimhen, infortunato in Nazionale, è tornato a Napoli e ha iniziato le terapie. Salta le sfide con l'Union Berlin, il Milan e altre tre partite
C’è finalmente un po’ di luce sull’infortunio di Victor Osimhen, fermatosi nuovamente mentre era impegnato con la nazionale nigeriana. Dopo aver svolto una risonanza nel ritiro della Nigeria dopo il match con l’Arabia Saudita, oggi il centravanti azzurro è tornato a Napoli. Ed ecco la diagnosi, che arriva direttamente dal club, con un comunicato ufficiale: «Dopo l’infortunio subìto in Nazionale, Victor Osimhen è stato visitato e sottoposto ad ulteriori accertamenti che hanno evidenziato una lesione di medio grado del bicipite femorale della coscia destra. L’attaccante azzurro ha iniziato le terapie all’SSCN Konami Training Center». Rischia di saltare almeno sei partite: il Verona, le due con l'Union Berlino in Champions, Milan, Salernitana ed Empoli.
In pratica, si ferma fino alla sosta di novembre — e difficilmente andrà in Nazionale —. Sono già 35 le partite azzurre che il centravanti nigeriano ha saltato, 18 a causa degli infortuni subiti con le Aquile. E a gennaio incombe già la Coppa d'Africa.
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Antonio Conte a cuore aperto a “Belve”. L’allenatore, accostato nelle scorse settimane al Napoli, si confessa a Francesca Fagnani (l’intervista andrà in onda in prima serata su Raidue martedì 17 ottobre) e non esclude un suo approdo futuro sulla panchina partenopea. “Sicuramente Roma e Napoli sono due piazze che vorrei vivere, per la passione che ti trasferiscono. Mi auguro un domani che ci sia la possibilità di fare questa esperienza”. Incalzato dall’intervistatrice, Conte aggiunge: “Prendere una squadra in corsa? No, perché sono situazioni create prima”.
L’addio alla Juventus
Conte rivela anche di essersi pentito per aver lasciato la Juventus dopo tre scudetti di fila: “L’addio di cui mi sono più pentito è quello alla Juventus dopo tre anni. Quando anche per le piccole cose vedi grandi problemi… decisi poi di andare via”. Conte parla anche del suo rapporto travagliato con il collega José Mourinho e quando Francesca Fagnani ricorda a Conte di avergli detto una volta “vediamoci in ufficio” con tono minaccioso, il Mister commenta serafico: “Io vengo dalla strada, non se lo dimentichi mai”.
Il tecnico leccese, accostato nelle ultime settimane alla panchina del Napoli, parla anche di Mancini, della Nazionale di Spalletti e del suo rapporto non faci…
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«Zalewski non scommette, mi sono inventato tutto», parla la presunta fonte di Corona
Cappellino, baffi e tatuaggi si presenta in diretta al «Cerbero Podcast» e dice di aver scelto di «ravvedersi» perché a suo avviso il calciatore della Roma Nicola Zalewski non ha mai scommesso
Altro che «gola profonda» la mitica fonte del Watergate di cui si discute ancora oggi. Ora nello scandalo calciatori e scommesse, arricchito dalle rivelazioni di Fabrizio Corona, entra in scena la (presunta) fonte romana del fotografo.
Cappellino, baffi e tatuaggi si presenta in diretta al «Cerbero Podcast» e dice di aver scelto di «ravvedersi» perché a suo avviso il calciatore della Roma Nicola Zalewski non centra niente con le scommesse: «L’informazione è fasulla, non ho nessuna prova, parlo completamente a vanvera. Cosa speravo? Mi aveva detto che ci saremmo visti a Roma e avremmo parlato del compenso, 20mila euro per un’informazione senza arte né parte. Ho capito che è immorale».
Certo, restano dei dubbi anche sulla smentita. Non si capisce perché Corona si sarebbe dovuto fidare di una persona che esplicitamente dice di «non conoscere Zalewski e di non avere mai avuto nessuna prova in mano». «Io però ero pronto ad andare a cena con Corona, se lui avesse mantenuto i patti» ha concluso l’ignota fonte.
Tuttavia ciò che è sicuro al momento è che Zalewski non è indagato come non è detto che lo siano le altre decine di nomi di presunti calciatori scommettitori che il fotografo avrebbe detto di tenere ancora in serbo.
CorSera
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Mi sa che Corona ha voglia di rivedere il cielo a scacchi
Se si è inventato Zalewski, che "affidabilità" potrà avere anche sugli altri?
Non potrebbe aver fatto lo stesso?
Ammesso che si parla del nulla, sia come persone che come prove ai fini delle indagini.
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Ha ammesso pubblicamente il pentimento di essere andato via dalla Juve, bravo.
e di essere andato all'Inter
si è pentito?
"Pensare alla morte, pregare. C'è pure chi ha ancora questo bisogno, e se ne fanno voce le campane.
Io non l'ho più questo bisogno, perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi:
vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori". (L. Pirandello)
Ieri il dialogo fra i legali di Nicolò Fagioli e la Procura federale è diventato un incontro. È stata la svolta: la fumata bianca è ormai scontata. Fino a ieri sera restava un po’ di incertezza con gli ambienti vicino al calciatore che pensavano di poter concludere intorno ai 7-8 mesi di squalifica. È possibile, invece, che la Procura federale stia spingendo per un anno. Ci si potrebbe incontrare a metà strada.
Fagioli ha scelto da tempo la strada della collaborazione, aiutato e assistito dalla Juventus. Giuseppe Chiné e i suoi collaboratori sapevano tutto da tempo. Il centrocampista aveva già preso a raccontare il suo gioco compulsivo, i debiti, il puntare anche sul calcio, il passaggio che avrebbe potuto provocare una squalifica di tre anni, ma non sulla sua squadra, la voglia di dire basta, il percorso terapeutico, la disponibilità ad aderire ad iniziative contro la ludopatia. Fra l’altro nei colloqui finali, del pool che assiste il giocatore ha fatto parte anche lo psichiatria Paolo Jarre, che segue Fagioli già da due mesi. Un modo per sottolineare che il giocatore vuole rompere con il passato e sta facendo di tutto per farlo. Compreso il monitoraggio del suo conto corrente attraverso un tutor, una prescrizione indicata nel protocollo della cura.
Tutto questo ha prodotto, in termini di giustizia sportiva, una forte riduzione rispetto alla sanzione edittale di 3 anni. Lo juventino ha infatti potuto prima abbattere della metà la pena, come da codice Figc, poi chiedere un ulteriore sconto in ragione della collaborazione prestata, quel passaggio del comma 2 dell’articolo 126 del Codice in cui si parla del possibile dimezzamento della squalifica, «ferma restando la possibilità di applicare le ulteriori diminuzioni derivanti dall’applicazione di circostanze attenuanti».
[HASHTAG="t3222"]gazzetta[/HASHTAG] #fagioli
Originariamente Scritto da Sean
Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
Un anno però se lo fa tutto. Per due situazioni assolutamente assurde e imputabili alla deficienza di due giocatori, si vanno a perdere due centrocampisti (Pogba e Fagioli).
Adesso c'è la corsa a dichiararsi "ludopatici"...per carità, sarà pure vero...ma è anche vero che senza l'inchiesta questi giocatori compulsivi sarebbero andati avanti per chissà quanto, quindi ad oggi una vera presa di coscienza (intendendosi come spontanea) non c'è.
E' giusto passara attraverso una pena, stare lontani dal calcio per un certo tempo può essere una medicina per comprendere gli errori fatti quando si è poi dei privilegiati.
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Sono professionisti, non si devono pentire di ottenere contratti da altre squadre. Nella stessa intervista ha detto che gli piacerebbe allenare Roma e Napoli un giorno. Secondo la mentalità del tifoso più fanatico non potrebbe mai più allenare in Italia se non alla Juve e non condivido.
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