Originariamente Scritto da Sean
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Guardiola: «Il Manchester City non è a livello degli altri top club europei»
Il tecnico ammette i problemi della squadra (forse non risolvibili). Bandiera bianca o exit strategy? In Inghilterra si parla di un suo probabile addio a fine anno
«Il Manchester City potrebbe non essere più all’altezza dei top team europei». Diciamo la verità: chi è che non lo pensa? In Premier League il City naviga a 14 punti dal Liverpool, ha già perso 4 partite su 16, non è mai partito così male (32 punti) in un campionato che ha vinto due volte di fila e, anche se in Champions è già qualificato alla fase a eliminazione diretta, in generale restituisce un’idea di squadra molto in crisi, senza più il gioco e la leggerezza che hanno contraddistinto gli ultimi due anni.
Insomma, pensare che i Citizens siano in parabola discendente non è un’eresia. Se però a dirlo, come infatti ha detto, è Guardiola stesso, allora la questione si fa sì più sorprendente. Perché Pep è stato chiaro: «Il Manchester United (che sabato 7 dicembre ha battuto il City nel derby 2-1, ndr) ha avuto qualità sia in difesa che in contropiede, e dobbiamo accettarlo. Questo del resto è il livello con cui ti devi confrontare quando giochi con squadre come Liverpool, Barcellona, Real Madrid, Juventus... Queste sono le squadre con cui paragonarsi e e la realtà è che forse noi non abbiamo la forza per farlo. Forse dobbiamo accettare di essere una squadra che deve migliorare. E cominciare a farlo».
Come autocritica, non è male. Ma poi è solo autocritica? O una bandiera bianca? O, addirittura, una exit strategy? Intanto concentriamoci sulla prima domanda. Guardiola esclude che sia rassegnazione: «Siamo solo all’inizio di dicembre, c’è tanto calcio ancora davanti a noi e possiamo ancora migliorare». Eppure il grande catalano è inquieto, come se sentisse la sua creatura sfuggirgli dalle mani: «Se siamo così indietro è perché ci sono cose che non riusciamo più a controllare». Ecco perché limita i propri orizzonti alla prossima partita (mercoledì in Champions con la Dinamo Zagabria in casa) senza provare a illudere nessuno: «Non stiamo pensando a vincere la Champions, ma solo a vincere la prossima partita». Un modo, forse, anche per rispondere a chi pensa che il club, dopo due Premier consecutive, abbia indirizzato le sue attenzioni alla coppa. Ai tifosi, fra l’altro, questo non piace, e un recente sondaggio ha chiarito che fra la prima Champions e la terza Premier loro preferiscono la Premier. De gustibus.
Guardiola, in realtà, preferirebbe anzitutto ritrovare la squadra che non c’è più. E perché non c’è più? In Inghilterra le analisi si sprecano. David Silva è nell’autunno di una carriera spettacolare (e sottovalutata), Gabriel Jesus in avanti non decolla (e Aguero è out), il centrocampo che una volta recitava calcio è inceppato e, sopratutto, problema dei problemi, la squadra difende malissimo. Questione di giocatori (quanto pesa l’addio di Kompany) ma anche di filosofie, se è vero che Pep si ostina a tenere un centrocampista come Fernandinho centrale difensivo. E qui, naturalmente, l’accusa al presunto integralismo di Guardiola è ovvia: non ha il coraggio, o la forza, o la capacità di cambiare idea. Al limite, di venire meno transitoriamente ai propri principi per superare il momento negativo e poi tornare sulla via maestra.
Così, il senso della sua ammissione potrebbe persino incrociarsi con le voci di un suo possibile addio a fine stagione. E qui arriviamo al secondo scenario. James Dodd di Fox Sports ha insinuato proprio questo. E cioè che i giorni di Pep al City siano contati e che il club si stia preparando al suo addio. Motivo? Uno, molto semplice (e anche condivisibile): «Forse sta rivivendo la parabola dell’ultimo anno al Barcellona: è impossibile mantenere standard elevati per troppo tempo». Ricordate la frase citata poco sopra? «Ci sono cose che non riusciamo più a controllare», dice Guardiola un po’ come Valmont nelle Relazioni pericolose. E il problema (cfr. Mourinho e Conte) dei grandi allenatori che chiedono tutto, lo ottengono e fatalmente esauriscono i giocatori e se stessi. In fondo, visti i risultati, un bel problema. Guardiola, forse, lo ha capito prima di tutti.
CorSera
Il tecnico ammette i problemi della squadra (forse non risolvibili). Bandiera bianca o exit strategy? In Inghilterra si parla di un suo probabile addio a fine anno
«Il Manchester City potrebbe non essere più all’altezza dei top team europei». Diciamo la verità: chi è che non lo pensa? In Premier League il City naviga a 14 punti dal Liverpool, ha già perso 4 partite su 16, non è mai partito così male (32 punti) in un campionato che ha vinto due volte di fila e, anche se in Champions è già qualificato alla fase a eliminazione diretta, in generale restituisce un’idea di squadra molto in crisi, senza più il gioco e la leggerezza che hanno contraddistinto gli ultimi due anni.
Insomma, pensare che i Citizens siano in parabola discendente non è un’eresia. Se però a dirlo, come infatti ha detto, è Guardiola stesso, allora la questione si fa sì più sorprendente. Perché Pep è stato chiaro: «Il Manchester United (che sabato 7 dicembre ha battuto il City nel derby 2-1, ndr) ha avuto qualità sia in difesa che in contropiede, e dobbiamo accettarlo. Questo del resto è il livello con cui ti devi confrontare quando giochi con squadre come Liverpool, Barcellona, Real Madrid, Juventus... Queste sono le squadre con cui paragonarsi e e la realtà è che forse noi non abbiamo la forza per farlo. Forse dobbiamo accettare di essere una squadra che deve migliorare. E cominciare a farlo».
Come autocritica, non è male. Ma poi è solo autocritica? O una bandiera bianca? O, addirittura, una exit strategy? Intanto concentriamoci sulla prima domanda. Guardiola esclude che sia rassegnazione: «Siamo solo all’inizio di dicembre, c’è tanto calcio ancora davanti a noi e possiamo ancora migliorare». Eppure il grande catalano è inquieto, come se sentisse la sua creatura sfuggirgli dalle mani: «Se siamo così indietro è perché ci sono cose che non riusciamo più a controllare». Ecco perché limita i propri orizzonti alla prossima partita (mercoledì in Champions con la Dinamo Zagabria in casa) senza provare a illudere nessuno: «Non stiamo pensando a vincere la Champions, ma solo a vincere la prossima partita». Un modo, forse, anche per rispondere a chi pensa che il club, dopo due Premier consecutive, abbia indirizzato le sue attenzioni alla coppa. Ai tifosi, fra l’altro, questo non piace, e un recente sondaggio ha chiarito che fra la prima Champions e la terza Premier loro preferiscono la Premier. De gustibus.
Guardiola, in realtà, preferirebbe anzitutto ritrovare la squadra che non c’è più. E perché non c’è più? In Inghilterra le analisi si sprecano. David Silva è nell’autunno di una carriera spettacolare (e sottovalutata), Gabriel Jesus in avanti non decolla (e Aguero è out), il centrocampo che una volta recitava calcio è inceppato e, sopratutto, problema dei problemi, la squadra difende malissimo. Questione di giocatori (quanto pesa l’addio di Kompany) ma anche di filosofie, se è vero che Pep si ostina a tenere un centrocampista come Fernandinho centrale difensivo. E qui, naturalmente, l’accusa al presunto integralismo di Guardiola è ovvia: non ha il coraggio, o la forza, o la capacità di cambiare idea. Al limite, di venire meno transitoriamente ai propri principi per superare il momento negativo e poi tornare sulla via maestra.
Così, il senso della sua ammissione potrebbe persino incrociarsi con le voci di un suo possibile addio a fine stagione. E qui arriviamo al secondo scenario. James Dodd di Fox Sports ha insinuato proprio questo. E cioè che i giorni di Pep al City siano contati e che il club si stia preparando al suo addio. Motivo? Uno, molto semplice (e anche condivisibile): «Forse sta rivivendo la parabola dell’ultimo anno al Barcellona: è impossibile mantenere standard elevati per troppo tempo». Ricordate la frase citata poco sopra? «Ci sono cose che non riusciamo più a controllare», dice Guardiola un po’ come Valmont nelle Relazioni pericolose. E il problema (cfr. Mourinho e Conte) dei grandi allenatori che chiedono tutto, lo ottengono e fatalmente esauriscono i giocatori e se stessi. In fondo, visti i risultati, un bel problema. Guardiola, forse, lo ha capito prima di tutti.
CorSera
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