Napoli, Ancelotti alza la voce: prova nuove strade per tornare in controllo
Il tecnico cerca la scossa e ha cambiato idea sul ritiro: i veterani non hanno gradito
Un modo diverso di essere leader: ci sta provando Carlo Ancelotti. Snaturando se stesso e sovvertendo la sua filosofia di allenatore. Tatticamente, ma anche e soprattutto mentalmente. Un coach deve essere credibile, prima di tutto: re Carlo ha puntato i piedi in terra e i pugni sul tavolo per rendere quanto più autentico possibile il confronto che ieri mattina ha avuto con la squadra. Ordinando, tra l’altro, il ritiro a partire da mercoledì: esattamente un mese dopo essersi detto contrario alla stessa decisione, all’epoca presa dal club. Non è una contraddizione, semmai la presa d’atto che all’ultima spiaggia ci si arriva con la consapevolezza che non ci sono più altre soluzioni.
La sconfitta di domenica contro il Bologna gli ha fatto alzare la temperatura, andando pubblicamente molto oltre la tensione del viso e la smorfia del sopracciglio alzato. Gli ha insinuato il sospetto forte che il Napoli sia un gruppo con tante anime, non una squadra. E soprattutto non la sua squadra. Il Napoli non ha abbastanza personalità. Non ha dimostrato maturità e si è arroccato dietro il pensiero leggero (autolesionista?) che basta la qualità per dettare legge in campo. Eccoli i dubbi sparsi di un uomo al quale la carriera non aveva mai riservato una situazione di questo tipo. E ha vuotato il sacco, ha detto tutto e anche di più durante la riunione di ieri a Castel Volturno. Suscitando reazioni, certo. Alzando la tensione, incassando gli addebiti che i giocatori gli hanno mosso: più allenamenti, maggiore esercitazione, cura dei dettagli rispetto agli avversari che di volta in volta si affrontano. Una guida più serrata, insomma.
Rispetto al ritiro, la spaccatura: per i veterani, si tratta di una contraddizione rispetto al rifiuto del 5 novembre scorso, all’ammutinamento che ne era seguito e alle conseguenze della battaglia legale con il club. Ma tant’è, stavolta Ancelotti è stato intransigente nella direzione di una scossa forte. La fiducia gli è stata rinnovata, in uguale misura De Laurentiis lo ha appoggiato. Resta ora la verifica del campo che vedrà il Napoli impegnato sabato a Udine e martedì prossimo al San Paolo contro il Genk in Champions. Ultimo appello? Probabilmente per De Laurentiis è così. Re Carlo ha vinto una marea di trofei: coppe e campionati, ha portato al Real Madrid la storica Decima e anche al Bayern di Monaco, dove aveva vinto il campionato al primo anno e l’esperienza era finita con l’esonero, non aveva mai avvertito una tale pressione.
Ovunque Ancelotti ha concesso libertà ai giocatori: il leader calmo non urla, parla. Non obbliga, consiglia. La sua squadra napoletana ha preso altre vie, prosciugata da polemiche e conflitti ambientali e alle prese, qualcuno, con trattative sui rinnovi contrattuali che non decollano. Fino a ieri, tutto non detto. Immaginato, ipotizzato o in qualche caso ignorato da un allenatore, aziendalista convinto, mai catturato dalla curiosità sui mormorii dello spogliatoio. Erano voci fino a un mese fa, sono diventate micce esplosive che hanno compromesso quasi metà stagione. Venti punti in 14 giornate sono espressione di un livello mediocre a cui né il Napoli, né lo stesso Ancelotti sono abituati. Il confronto è stato, nelle intenzioni, il primo passo per la rinascita. Il ritiro una spiaggia cui mai Ancelotti sarebbe arrivato se non avesse avuto la percezione che fosse l’ultima
CorSera
Il tecnico cerca la scossa e ha cambiato idea sul ritiro: i veterani non hanno gradito
Un modo diverso di essere leader: ci sta provando Carlo Ancelotti. Snaturando se stesso e sovvertendo la sua filosofia di allenatore. Tatticamente, ma anche e soprattutto mentalmente. Un coach deve essere credibile, prima di tutto: re Carlo ha puntato i piedi in terra e i pugni sul tavolo per rendere quanto più autentico possibile il confronto che ieri mattina ha avuto con la squadra. Ordinando, tra l’altro, il ritiro a partire da mercoledì: esattamente un mese dopo essersi detto contrario alla stessa decisione, all’epoca presa dal club. Non è una contraddizione, semmai la presa d’atto che all’ultima spiaggia ci si arriva con la consapevolezza che non ci sono più altre soluzioni.
La sconfitta di domenica contro il Bologna gli ha fatto alzare la temperatura, andando pubblicamente molto oltre la tensione del viso e la smorfia del sopracciglio alzato. Gli ha insinuato il sospetto forte che il Napoli sia un gruppo con tante anime, non una squadra. E soprattutto non la sua squadra. Il Napoli non ha abbastanza personalità. Non ha dimostrato maturità e si è arroccato dietro il pensiero leggero (autolesionista?) che basta la qualità per dettare legge in campo. Eccoli i dubbi sparsi di un uomo al quale la carriera non aveva mai riservato una situazione di questo tipo. E ha vuotato il sacco, ha detto tutto e anche di più durante la riunione di ieri a Castel Volturno. Suscitando reazioni, certo. Alzando la tensione, incassando gli addebiti che i giocatori gli hanno mosso: più allenamenti, maggiore esercitazione, cura dei dettagli rispetto agli avversari che di volta in volta si affrontano. Una guida più serrata, insomma.
Rispetto al ritiro, la spaccatura: per i veterani, si tratta di una contraddizione rispetto al rifiuto del 5 novembre scorso, all’ammutinamento che ne era seguito e alle conseguenze della battaglia legale con il club. Ma tant’è, stavolta Ancelotti è stato intransigente nella direzione di una scossa forte. La fiducia gli è stata rinnovata, in uguale misura De Laurentiis lo ha appoggiato. Resta ora la verifica del campo che vedrà il Napoli impegnato sabato a Udine e martedì prossimo al San Paolo contro il Genk in Champions. Ultimo appello? Probabilmente per De Laurentiis è così. Re Carlo ha vinto una marea di trofei: coppe e campionati, ha portato al Real Madrid la storica Decima e anche al Bayern di Monaco, dove aveva vinto il campionato al primo anno e l’esperienza era finita con l’esonero, non aveva mai avvertito una tale pressione.
Ovunque Ancelotti ha concesso libertà ai giocatori: il leader calmo non urla, parla. Non obbliga, consiglia. La sua squadra napoletana ha preso altre vie, prosciugata da polemiche e conflitti ambientali e alle prese, qualcuno, con trattative sui rinnovi contrattuali che non decollano. Fino a ieri, tutto non detto. Immaginato, ipotizzato o in qualche caso ignorato da un allenatore, aziendalista convinto, mai catturato dalla curiosità sui mormorii dello spogliatoio. Erano voci fino a un mese fa, sono diventate micce esplosive che hanno compromesso quasi metà stagione. Venti punti in 14 giornate sono espressione di un livello mediocre a cui né il Napoli, né lo stesso Ancelotti sono abituati. Il confronto è stato, nelle intenzioni, il primo passo per la rinascita. Il ritiro una spiaggia cui mai Ancelotti sarebbe arrivato se non avesse avuto la percezione che fosse l’ultima
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