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Ogni mio intervento e' da considerarsi di stampo satirico e ironico ,cosi come ogni riferimento alla mia e altrui persone e' da intendersi come mai realmente accaduto e di pura fantasia. In nessun caso , il contenuto dei miei interventi su questo forum e' atto all' offesa , denigrazione o all odio verso persone o idee.
Originariamente Scritto da Bob Terwilliger
Di solito i buoni propositi di contenersi si sfasciano contro la dura realtà dell'alcolismo.
Un Uomo che ancora aveva tanta vita davanti a sé, tanti progetti e idee, tanta voglia...e poi improvvisamente il buio, l'incoscienza, la morte che sopraggiunge improvvisamente e che non ti permette neanche di avere il tempo di capire, renderti conto, salutare eventualmente...
Un attimo prima progettavi il futuro lottando, un attimo dopo un peggioramento tale da spegnere tutto senza avvertire, la morte che con vigore stacca la spina senza alcun patema...fine dei giochi, della vita e di tutto...
Mi ripeto da sempre che la vita non può essere così piena e la morte così vuota ed insignificante, ci dev'essere per forza un qualcosa che renda la morte stessa significante quanto la vita vissuta.
Speriamo sia così, e che Sinisa possa progettare altro nel suo futuro da un'altra parte.
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Originariamente Scritto da Sean
Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
Notizia che mi rattristisce.
Non lo conoscevo granché neanche dal punto di vista sportivo, però era noto il suo carisma, e quando persone così si ammalano talvolta c'è la percezione che non possano essere "sconfitte". Si crea un illusione che magari potrebbe essere traslata su se stessi (o persone care) in una circostanza analoga, e invece la morte ci fa ricordare che così non è: esistono dei limiti, delle leggi di natura alle quali dobbiamo tutti sottostare.
Ha sempre giocato, lavorato, allenato in Italia. E' uno di quei calciatori stranieri che possiamo a buon diritto definire e sentire come "nostri", tanto la sua carriera si è sviluppata in questo campionato.
Da giocatore o da allenatore il suo nome era sempre presente, coprendo un arco di 30 anni...per cui non c'era tifoso, o semplice appassionato, di calcio che non lo conoscesse anche solo per sentito dire. Il suo nome nel nostro calcio era nell'aria.
Un personaggio che non amava le frasi fatte, forse anche per questo colpiva e restava impresso. Ammirato (scopertamente o nascostamente) anche dagli avversari, non solo per le sue qualità calcistiche: piaceva quel suo carattere guerriero, quel suo parlare diretto, senza mezzi termini, quella sua (apparente) spigolosità che restava impressa.
La malattia ha fatto cadere le barriere del tifo e tutti hanno parteggiato per Mihajlovic in quella battaglia contro un male terribile, che non dà scampo. Lì si è visto che la pasta dell'uomo era quella del calciatore: tempra guerriera...entro la quale ha fatto capolino anche l'aspetto più riposto ed intimo dell'uomo, perchè il male ci mette a nudo, in quei momenti di commozione quando si è trovato a raccontare di questa nuova e ultima fase della sua vita.
Dove è stato, vuoi da giocatore e vuoi da allenatore, ha dato sempre tutto. Questo il pubblico, i tifosi, lo avvertono. Non so se sia stato grande...ci sono certamente giocatori e allenatori più grandi, ma è stato autentico. L'autenticità, non solo nel calcio, oggi è merce rara, rarissima, in un mondo di cloni, di ripetizioni, di gioco e uomini di plastica.
...ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
"Pensare alla morte, pregare. C'è pure chi ha ancora questo bisogno, e se ne fanno voce le campane.
Io non l'ho più questo bisogno, perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi:
vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori". (L. Pirandello)
Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
Sinisa un uomo ruvido, ma di cui ricorderemo la rara umanità
La sua vita è sempre stata una battaglia, sin dall'infanzia. La passione per il calcio, la Coppa dei Campioni vinta con la Stella Rossa, e poi la guerra. Gli anni come allenatore in Italia e infine la scoperta della malattia
di Walter Veltroni
Non ce l’ha fatta, Sinisa. Da giorni si attendeva questo esito, purtroppo.
Ha combattuto come un leone, in linea con il suo carattere.
Con la malattia si è arrabbiato, l’ha domata, l’ha sfidata, l’ha battuta nella partita d’andata. Ma poi quella è tornata più cattiva e lui non aveva più le forze di prima. Almeno quelle fisiche, perché il dono della volontà non gli è mai venuto meno.
Giocatore di immensa qualità, intelligente e deciso, tecnico e sapiente, Mihajlovic era poi diventato un allenatore di prestigio. Ha guidato la nazionale Serba, il Milan, la Fiorentina, la Sampdoria, il Torino, da ultimo il Bologna. I suoi giocatori rossoblù andarono sotto la sua finestra in ospedale per fargli sentire quanto gli volevano bene. E il rude Sinisa si commosse.
La sua vita è stata sempre una battaglia. Quando era piccolo i suoi andavano a lavorare e gli lasciavano il fratello in cura: «Dalle 6, ora della loro uscita simultanea per andare a lavorare, spettava a me badare a Drazen. Mentre mio fratello ancora dormiva, io mi alzavo, mi vestivo e uscivo a prendere un litro di latte e un chilo di pane per la colazione. Ma per quanto facessi alcune cose da adulto, avevo appena cinque o sei anni. Con tutte le paure di un bambino. Appena tornavo a casa, mi rimettevo spalle alla stufa. Immobile. Con gli occhi sgranati fissavo la porta col terrore che qualcuno potesse entrare».
E poi i primi calci, il talento che si vede a occhio nudo, le pallonate tirate addosso alla porta del garage davanti alla quale tornerà con la Coppa dei Campioni vinta con la Stella Rossa. E poi la guerra, quella che gli ha tagliato la vita. Ne parlammo una volta e lui mi colpì molto. «Mia madre era croata e mio padre serbo. La guerra l’ho subita due volte. Io sono metà e metà, cosa peggiore non c’è. In nessuna guerra ci sono buoni e cattivi o bianco e nero. Il colore che domina è il rosso del sangue degli innocenti. Queste guerre civili sono i peggiori crimini».
Per Sinisa Mihajlovic la guerra che aveva segato in mille pezzi la Jugoslavia era stata un incubo. Pipe, il suo migliore amico fin da quando erano bambini, era un ragazzo croato. «Una volta viene a casa e dice ai miei genitori che devono andare via, che lui la casa la deve buttare giù. Mia madre e mio padre non lo hanno preso sul serio. Lui, dopo due giorni, è tornato con altri due e ha cominciato a sparare sulle mie foto. I miei hanno visto che era una cosa grave, sono scappati e lui ha buttato giù la mia casa. Dentro di me dicevo «ma come è possibile, eravamo due fratelli»,…... La prima partita dopo la guerra, in albergo, viene questo mio amico. Ci mettiamo a parlare. Lui era cosciente che io sapevo tutto e mi disse: «Sinisa tutti sapevano che io e te eravamo i migliori amici, e mi hanno detto che per dimostrare di essere davvero un grande croato proprio a te dovevo fare del male. Io ho cercato in tutti i modi di far capire ai tuoi genitori che dovevano scappare. Perché io la casa dovevo buttarla giù, sennò mi ammazzavano. Ma non volevo farlo con i tuoi dentro. Perciò ho sparato sulle foto, per fargli capire che dovevano andare via. Ho salvato la vita ai tuoi genitori e anche la mia. Aveva ragione e quel giorno io l’ho ringraziato, Pipe».
Ora che se ne è andato, a 53 anni, tutti ricorderanno la sua forza e il suo carattere deciso, a volte ruvido. Ed è giusto, Sinisa era un uomo forte. Ma io, nelle occasioni in cui l’ho incontrato, ho sempre visto anche in lui una grande tenerezza. Anzi, di più. Una grande, rara, umanità.
CorSera
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Sinisa Mihajlovic, gli ultimi giorni di agonia a Roma: una settimana di lotta disperata contro un'infezione
Una settimana fa faceva progetti con gli amici. Poi la situazione è precipitata. Il ricovero a Roma, il coma e l'addio alla vita circondato dalla famiglia
Finché ha potuto Sinisa Mihajlovic ha lottato, sostenuto dalle sue “colonne”: la moglie Arianna e i figli Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nikolas. Ma non solo. Ad accompagnare il guerriero serbo nella sua ultima battaglia sono stati anche la mamma Viktorija, il fratello Drazen e la nipotina Violante, che nell’ultima settimana non si sono mai allontanati dalla clinica Paideia. Un nucleo costantemente unito nella speranza, forse mai perduta, di affiancare Sinisa nell'ennesima partita da vincere. Stavolta però il destino – brutale, spietato, ingiusto - ha deciso che il finale sarebbe stato tragico e gonfio di dolore.
Coraggio e forza di volontà Mihajlovic le ha dimostrate – ancora una volta - quando la malattia è tornata. I medici gli avevano detto che le possibilità di sopravvivere erano davvero minime. Ha sofferto, soprattutto fisicamente, ma è sempre andato avanti. Lo scorso 1 dicembre era andato addirittura alla presentazione dell'autobiografia di Zdenek Zeman, in una libreria in via Nazionale, e Sinisa ed era apparso sorridente e in vena di battute, felice di prendere parte ad un evento così importante per uno dei suoi maestri. Fino a sabato 10 Sinisa parlava al telefono con gli amici dei suoi piani futuri: aveva intenzione di finire il ciclo di chemio a gennaio per poi ricominciare a girare gli stadi di calcio per assistere dal vivo alle partite, restando così aggiornato. Non solo: fino a quando ha potuto, si è dedicato allo sport, non rinunciando mai a lunghe camminate, per restare attivo e provare a combattere, anche in questo modo, la malattia che lo debilitava e lo consumava.
Dopo l'esonero di settembre da parte del Bologna, era tornato nella sua casa romana, il rifugio di sempre, per andare poi a curarsi alla clinica alla Paideia International. Ma domenica 11 dicembre, In maniera quasi inaspettata, le condizioni di Mihajlovic si sono improvvisamente aggravate a causa di un'infezione. La situazione è sembrata subito molto grave per via del sistema immunitario compromesso e delle terapie a cui si stava sottoponendo da più di tre anni per cercare di sconfiggere la leucemia. La febbre si è alzata di colpo e il ricovero si è reso immediatamente necessario. Le condizioni di salute sono peggiorate ulteriormente nel pomeriggio di lunedì 12, tanto da spingere la mamma Viktoria e il fratello Drazen a prendere l’aereo dalla Serbia e raggiungere in fretta e furia la clinica capitolina.
Della mamma, Sinisa una volta disse: «Lei non parla l’italiano e i miei figli hanno poca dimestichezza con il serbo. Ma ogni volta che viene a trovarci a Roma e vedo come guarda i suoi nipoti, capisco che l’amore non ha bisogno di parole». Il giorno successivo, martedì, Mihajlovic è entrato in coma farmacologico: i medici hanno deciso di sedarlo per evitargli ulteriori sofferenze atroci. La moglie Arianna Rapaccioni, il grande amore della sua vita, conosciuta a Roma e con la quale ha messo al mondo cinque figli, formando un nucleo bellissimo e legatissimo, non lo ha mai lasciato solo, nemmeno per un attimo. Negli ultimissimi momenti di lucidità Mihajlovic ha riconosciuto Pino Capua, medico della Paideia ( e tifoso laziale) con cui ebbe modo si stringere amicizia ai tempi in cui giocò (e vinse praticamente tutto) nella Lazio, a cavallo degli anni ’90 e Duemila.
Il suo cuore fortissimo, da grande atleta, ha continuato a lottare disperatamente e a battere ancora per qualche giorno. Fino a venerdì pomeriggio, quando si è arreso per sempre, circondato sino all’istante estremo dall’amore incondizionato dei familiari. Domenica 18 sarà allestita la camera ardente in Campidoglio, il giorno dopo - lunedì 19 – si svolgeranno i funerali, alle ore 11.
CorSera
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Sinisa Mihajlovic, l'esonero e la leucemia: "Come andò davvero"
Nelle ore della morte di Sinisa Mihajlovic, emergono nuovi dettagli sulla decisione del Bologna di esonerare il tecnico serbo lo scorso settembre. Per Luca Telese è "una vergogna" che il club emiliano "finirà per pagare cara". Qualcuno parlò di decisione concordata tra la società e l'allenatore per permettere al mister di curarsi in tranquillità dalla recidiva della leucemia mieloide che si sarebbe poi rivelata fatale, dopo una lotta contro il male iniziata tre anni fa.
Nulla di tutto ciò. Secondo Repubblica, quell'esonero fu frutto di uno scontro durissimo tra Sinisa e il presidente americano Saputo, con tanto di feroce, drammatico faccia a faccia nella casa romana del mister. Dopo 3 punti in 5 partite (e nonostante quattro salvezze tranquille conquistate nelle stagioni precedenti, nonostante la battaglia contro la leucemia iniziata quasi subito), la società felsinea aveva deciso di esonerare Mihajlovic. Una delegazione dei dirigenti gli fece visita a Roma per cercare di convicerlo a dimettersi.
Non lo volevano più come tecnico (già in estate c'era stata la tentazione di cacciarlo) ma, scrive Repubblica, Saputo & co. non volevano passare per i cattivi che mandano via un uomo che sta lottando, di nuovo, contro la leucemia. Mihajlovic, carattere indomito da guerriero e soprattutto mai incline ai compromessi, li mandò a quel paese: "Non mi dimetto, cacciatemi". Alla fine, al suo posto arrivò Thiago Motta.
Primo "scandalo" al Festival di Sanremo 2023. E' stato Amadeus a disinnescare all'ultimo momento la bomba Madame . La giov...
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Originariamente Scritto da Sean
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