L’analisi di Sconcerti: «Ai Mondiali la Nazionale sarebbe uscita agli ottavi»
Non esiste più un calcio brasiliano o francese, esistono calciatori brasiliani e francesi bravi che giocano con un’unica mentalità europea. Questo avvantaggia chi emigra, come del resto spesso nella storia
di Mario Sconcerti
Questa Italia riveduta e corretta che strada farebbe al Mondiale? Domanda curiosa che ha più risposte. Siamo in un momento di trasformazioni iniziato alla fine del novecento con i principi del calcio spagnolo, quando un movimento che sapeva vincere solo a livello di club, cominciò improvvisamente a incidere sul mondo. A trasformarlo fu una somma di insegnamenti che diventarono diversità. L’amore per il gioco individuale, cioè una tattica opposta a quella italiana. Qualcosa che responsabilizzava la squadra per intero perché si fondava su passaggi rapidi e cercava la rete con uno spunto finale. Fu una delle trasformazioni più importanti nella storia recente del calcio perché allungava il concetto di difesa del pallone attraverso il suo possesso. Come il calcio all’italiana metteva in difficoltà perché chiudeva il gioco degli altri, quello spagnolo otteneva la differenza facendo alla fine massa davanti ai difensori degli altri. Un gioco non facile, infatti d’élite.
Il calcio all’italiana era nato dalle piccole squadre che lo usavano per difendersi dalla qualità delle migliori; quello spagnolo nacque dalle grandi squadre che volevano stabilire subito una differenza con l’avversario. A portarla avanti fu soprattutto Del Bosque, un uomo che non era un genio ma sapeva mettere qualcosa di personale nel gioco largo degli spagnoli. Guardiola non nasce a caso, era in quel solco dodici anni fa quando rivoluzionò il calcio accentuando il possesso fino a farlo diventare un vero catenaccio avanzato. L’errore fu prendere per universale la differenza del Barcellona. Un calcio che viveva sempre più di propaganda e diritti tv, con una fretta che non permette ricerca, pensò che Guardiola avesse trovato una formula buona per tutti. E tutto il mondo lo imitò. Nacque il possesso palla illimitato, fatto di passaggi ovvii e orizzontali dove lo scopo non è arrivare al tiro, ma tenere il pallone sempre e comunque nella speranza che si apra un varco. Nel frattempo Guardiola, allenando in Spagna, Germania, Inghilterra e facendo sempre le ferie in Italia, ha cambiato almeno due volte il suo modo di giocare. Infatti resta avanti a tutti, oggi gioca in verticale contro avversari che giocano come lui faceva dieci anni fa, diecimila partite fa. L’errore è stato nel rovesciare il concetto di calcio. L’allenatore bravo non è quello che inventa uno schema inaudito, ormai introvabile perché tutto il campo è già stato calpestato milioni di volte. È quello che adatta le proprie idee alle caratteristiche dei giocatori. Non c’è allenatore che possa farne a meno. Il guardiolismo ha reso piatto il mondo del calcio. Tutti oggi hanno una buona organizzazione di gioco perché rinunciano al rischio della visione. Per un torneo breve e intenso come un Mondiale è l’ideale. Se tutti giochiamo nello stesso modo, qualcuno perde, ma nessuno rischia davvero, tutto può sempre ricominciare.
C’è però una differenza dei ricchi che si rivolge contro chi paga. Più giocatori bravi prendi da fuori e meno giocatori bravi nazionali vanno in campo. Questo aumenta la prevedibilità del gioco perché toglie alle nazionali l’improvvisazione che le squadre hanno di solito nei loro campionati. In sostanza, non si è ottenuta una democrazia di gioco, solo una nuova gerarchia. Vincono le squadre che hanno più giocatori nei posti guida dei vari campionati, cioè le nazioni che esportano. Negli ultimi quattro Mondiali, l’Olanda ha fatto un secondo e un terzo posto, con quasi tutti giocatori che giocavano all’estero. Il Portogallo ha vinto un Europeo ed è arrivato quarto a un Mondiale. Sono scomparse da vent’anni Brasile e Argentina che invece adesso tornano come favorite perché hanno 46 giocatori su 50 che giocano nelle migliori squadre europee. Nell’ultimo Mondiale la Croazia ha perso in finale e il Belgio è arrivato terzo. Nessuno giocava in patria. In sostanza non esiste più un calcio brasiliano o francese, esistono calciatori brasiliani e francesi bravi che giocano con un’unica mentalità europea. Questo avvantaggia chi emigra, come del resto spesso nella storia. E, per tornare all’inizio, avrebbe messo fuori l’Italia agli ottavi di finale in Qatar.
CorSera
Non esiste più un calcio brasiliano o francese, esistono calciatori brasiliani e francesi bravi che giocano con un’unica mentalità europea. Questo avvantaggia chi emigra, come del resto spesso nella storia
di Mario Sconcerti
Questa Italia riveduta e corretta che strada farebbe al Mondiale? Domanda curiosa che ha più risposte. Siamo in un momento di trasformazioni iniziato alla fine del novecento con i principi del calcio spagnolo, quando un movimento che sapeva vincere solo a livello di club, cominciò improvvisamente a incidere sul mondo. A trasformarlo fu una somma di insegnamenti che diventarono diversità. L’amore per il gioco individuale, cioè una tattica opposta a quella italiana. Qualcosa che responsabilizzava la squadra per intero perché si fondava su passaggi rapidi e cercava la rete con uno spunto finale. Fu una delle trasformazioni più importanti nella storia recente del calcio perché allungava il concetto di difesa del pallone attraverso il suo possesso. Come il calcio all’italiana metteva in difficoltà perché chiudeva il gioco degli altri, quello spagnolo otteneva la differenza facendo alla fine massa davanti ai difensori degli altri. Un gioco non facile, infatti d’élite.
Il calcio all’italiana era nato dalle piccole squadre che lo usavano per difendersi dalla qualità delle migliori; quello spagnolo nacque dalle grandi squadre che volevano stabilire subito una differenza con l’avversario. A portarla avanti fu soprattutto Del Bosque, un uomo che non era un genio ma sapeva mettere qualcosa di personale nel gioco largo degli spagnoli. Guardiola non nasce a caso, era in quel solco dodici anni fa quando rivoluzionò il calcio accentuando il possesso fino a farlo diventare un vero catenaccio avanzato. L’errore fu prendere per universale la differenza del Barcellona. Un calcio che viveva sempre più di propaganda e diritti tv, con una fretta che non permette ricerca, pensò che Guardiola avesse trovato una formula buona per tutti. E tutto il mondo lo imitò. Nacque il possesso palla illimitato, fatto di passaggi ovvii e orizzontali dove lo scopo non è arrivare al tiro, ma tenere il pallone sempre e comunque nella speranza che si apra un varco. Nel frattempo Guardiola, allenando in Spagna, Germania, Inghilterra e facendo sempre le ferie in Italia, ha cambiato almeno due volte il suo modo di giocare. Infatti resta avanti a tutti, oggi gioca in verticale contro avversari che giocano come lui faceva dieci anni fa, diecimila partite fa. L’errore è stato nel rovesciare il concetto di calcio. L’allenatore bravo non è quello che inventa uno schema inaudito, ormai introvabile perché tutto il campo è già stato calpestato milioni di volte. È quello che adatta le proprie idee alle caratteristiche dei giocatori. Non c’è allenatore che possa farne a meno. Il guardiolismo ha reso piatto il mondo del calcio. Tutti oggi hanno una buona organizzazione di gioco perché rinunciano al rischio della visione. Per un torneo breve e intenso come un Mondiale è l’ideale. Se tutti giochiamo nello stesso modo, qualcuno perde, ma nessuno rischia davvero, tutto può sempre ricominciare.
C’è però una differenza dei ricchi che si rivolge contro chi paga. Più giocatori bravi prendi da fuori e meno giocatori bravi nazionali vanno in campo. Questo aumenta la prevedibilità del gioco perché toglie alle nazionali l’improvvisazione che le squadre hanno di solito nei loro campionati. In sostanza, non si è ottenuta una democrazia di gioco, solo una nuova gerarchia. Vincono le squadre che hanno più giocatori nei posti guida dei vari campionati, cioè le nazioni che esportano. Negli ultimi quattro Mondiali, l’Olanda ha fatto un secondo e un terzo posto, con quasi tutti giocatori che giocavano all’estero. Il Portogallo ha vinto un Europeo ed è arrivato quarto a un Mondiale. Sono scomparse da vent’anni Brasile e Argentina che invece adesso tornano come favorite perché hanno 46 giocatori su 50 che giocano nelle migliori squadre europee. Nell’ultimo Mondiale la Croazia ha perso in finale e il Belgio è arrivato terzo. Nessuno giocava in patria. In sostanza non esiste più un calcio brasiliano o francese, esistono calciatori brasiliani e francesi bravi che giocano con un’unica mentalità europea. Questo avvantaggia chi emigra, come del resto spesso nella storia. E, per tornare all’inizio, avrebbe messo fuori l’Italia agli ottavi di finale in Qatar.
CorSera
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