È un delitto dire che visto il cartellino di oltre 200 M e l'ingaggio di 30 e fischia si sia rivelato un mezzo pacco?
Attenzione: Calcio Inside! Parte III
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Originariamente Scritto da germanomosconi Visualizza MessaggioÈ un delitto dire che visto il cartellino di oltre 200 M e l'ingaggio di 30 e fischia si sia rivelato un mezzo pacco?
https://www.chiamarsibomber.com/2019...54n3g2FrcTpaAI
...Pero' a livello di testa, a livello di professionalità non ha mai dato modo di storcere il naso. Se si infortuna non va alle feste ma corre da quei suoi superspecialisti a farsi curare e fa vita monacale, questo bisogna dirlo....ma di noi
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Originariamente Scritto da Sean Visualizza MessaggioI SUOI goals:
-Serie A: 189
-Serie B: 6
-Super League: 5
-Coppa Italia: 13
-Chinese FA Cup: 1
-Coppa UEFA: 5
-Champions League: 13
-Nazionale Under 21: 19
-Nazionale: 19
TOTALE: 270
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Inter, Vidal: "Sto bene al Barcellona". E Skriniar dà ragione a Conte
Il centrocampista cileno chiude alla possibilità di approdare in nerazzurro a gennaio, mentre il difensore dal ritiro della Slovacchia ammette che la poca rotazione causata dagli infortuni ha inciso sul rendimento della squadra
L'Inter torna oggi ad allenarsi dopo i tre giorni di riposo concessi da Antonio Conte dopo la vittoria contro il Verona a San Siro. Non hanno preso pause Gagliardini, Sensi e Asamoah lunedì al lavoro al centro Suning, ai tre nerazzurri ieri si sono uniti anche Sanchez e Politano. Il resto della squadra tornerà agli ordini del tecnico a prossima settimana. Nel mentre, c'è chi anche in nazionale pensa sempre ai colori nerazzurri. "Avevamo un calendario molto fitto, con tante partite ravvicinate. Ma, grazie all'ottima preparazione svolta, le abbiamo affrontate tutte al meglio. Anche a livello personale mi sento benissimo e sono contento che Conte mi dia grande fiducia e mi faccia giocare sempre", ha sottolineato Milan Skriniar dal ritiro della Slovacchia. Il centrale di difesa, sempre in campo questa stagione, commenta così le parole dell'allenatore sul calendario troppo fitto: "E' vero, perché succede che alla fine delle partite senti che l'energia cala. Sei costretto a giocare ogni 2-3 giorni e la fatica la avverti. A ciò si aggiungono i continui viaggi. Ma siamo pagati per questo e siamo felici di giocare a questi livelli. Per come la vedo io, è meglio giocare tante gare di seguito così non dobbiamo allenarci troppo. Mi piace. E l'obiettivo è sempre quello di stare al top".
Vidal: "Inter? Sto bene al Barcellona"
Da ritiro del Cile ha parlato di Inter anche Arturo Vidal. Il giocatore del Barcellona chiude le porte all'Inter, almeno a parole. Il centrocampista sarebbe nel mirino di Conte, ma non scalda abbastanza i pensieri dell'ad Beppe Marotta e del direttore sportivo Piero Ausilio. I due dirigenti per rinforzare la squadra a gennaio preferirebbero puntare altrove. "Mi si chiede sempre dell'Inter, ma la verità è che io sto molto bene, anche fisicamente, e spero di poter continuare a dare tutto per il Barcellona", le parole dell'ex juventino.
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Milan, fiducia a tempo per Piatek: Ibra, Kean o Mandzukic incombono
Cercasi gol disperatamente. Con appena 11 gol segnati il Milan è il 15° attacco della Serie A. Ecco perché il primo profilo sulla lista della dirigenza rossonera per il mercato di gennaio è quello di un attaccante prolifico. E’ un difetto strutturale della squadra rossonera, segnalato da alcuni osservatori già dalla scorsa estate: nel reparto offensivo l’unico giocatore che ha dimostrato in carriera di riuscire ad andare in doppia cifra è Piatek. Troppo poco. A maggior ragione visto che anche il centravanti polacco si è inceppato.
Ibra lontano dai Galaxy
Al momento non esiste solo un’opzione tenuta in considerazione. Ci sono più nomi che rispondono a profili diversi per età ed esperienza. Ibrahimovic rientra in questa rosa di papabili che saranno valutati nelle prossime settimane. Lo svedese, 38 anni, non fa parte dell’identikit ideale di una proprietà che punta su giocatori giovani. Gazidis ha ribadito questa politica nel corso dell’assemblea dei soci di fine ottobre. Ma i risultati sono talmente rovinosi da obbligare a non scartare alcuna pista utile a invertire la rotta. Ibrahimovic continua a non voler rinnovare il suo contratto con i Los Angeles Galaxy. Quindi a gennaio sarà libero a parametro zero. Sarà decisiva l'analisi della sua condizione per capire quale destinazione sceglierà. Potrebbe non sentirsi più così trascinante per essere all'altezza degli ottimi ricordi lasciati al Milan, ancora vivi nella tifoseria che lo invoca. Il bomber di Malmoe sta riflettendo sulla chiamata di Mihajlovic a Bologna. Proprietà e dirigenza rossonera soppeseranno bene l’opportunità di ingaggiare un attaccante 38enne. Nella valutazione rientrerà anche lo studio di alcuni casi simili degli ultimi mesi, come quello di Daniele De Rossi, accolto come un eroe a 36 anni alla Bombonera, ma finora protagonista di un’avventura non altrettanto esaltante in campo con il Boca Juniors.
Tempo limitato per Piatek
Ma una scossa è necessaria. Maldini e Boban ne sono consapevoli e tengono d'occhio ogni possibile soluzione. Mandzukic sembra orientato a preferire la Premier League. In Inghilterra sta incontrando problemi Kean, accostato al Milan nelle ultime finestre di mercato. Per capire chi sarà il rinforzo dell’attacco rossonero a gennaio – spiegano fonti rossonere – sarà determinante l’andamento delle prossime partite. Piatek è sotto osservazione. Se continuerà a deludere, come successo finora, nessuno scenario è escluso, già a gennaio. Saranno valutate eventuali offerte. E a quel punto sarà possibile effettuare altri ragionamenti anche in entrata. Al di là dell'attacco, dopo l’ultima esclusione dalla lista dei convocati, è in uscita Kessie. A centrocampo potrebbe arrivare dall’Arsenal lo svizzero Xakha. E potrebbero esserci movimenti in difesa, reparto da irrobustire soprattutto se Pioli vorrà passare al modulo con tre centrali.
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Ibrahimovic al Milan, tre motivi per cui è giusto che torni (e uno che li smonta tutti)
L’attacco rossonero non funziona: è il 15° della A, lo svedese ha sempre segnato e fatto segnare. Ha 38 anni, ma è fisicamente integro. Elliott può dire sì, l’ingaggio è un freno, ma non solo...
Ha sempre segnato e può far segnare
Il primo, banalissimo motivo, sono i gol: l’attacco del Milan non funziona, è il 15° della serie A. Piatek è in crisi perenne, Leao è giovane, a volte un po’ svagato, e prende poco la porta. L’apporto di Ibrahimovic potrebbe sistemare le cose : 30 gol in 29 partite americane (naturalmente dentro un campionato diverso e poco impegnativo) potrebbero voler dire qualcosa. Ibra, poi, assorbendo su di sé le attenzioni delle difese avversarie, potrebbe anche far segnare molto: se ai tempi del Milan, nella stagione 2011-2012, aveva mandato in rete 11 volte Nocerino, lo stesso potrebbe succedere con i vari Paquetà, Calhanoglu, Suso o chi l’allenatore Pioli dovesse decidere di fargli girare attorno.
La cura choc
Gli osservatori sono tutti d’accordo. Il Milan sembra quasi rassegnato alla sconfitta, il rischio è che lo sconforto prenda possesso a Milanello, dove al momento dimorano e si allenano giocatori giovani, o dalla personalità non esplosiva. Ibra in questo senso potrebbe rappresentare una sorta di cura choc. Ha scritto Sconcerti sul Corriere della Sera: «Ibrahimovic ha dentro la rabbia che manca al Milan. I giovani crescerebbero anche solo spiando come si allaccia le scarpe nello spogliatoio, quando e come si arrabbia, cosa dice agli arbitri». Rabbia, voglia di vincere, leadership: una lezione per molti.
Ritorno sotto i riflettori
Il ritorno di Zlatan Ibrahimovic riuscirebbe a far uscire tutto il Milan dal cono d’ombra in cui è finito. Darebbe un tocco di «grandeur», in un momento in cui servono come il pane nuovi sponsor e attenzioni. Farebbe vendere anche qualche maglietta, il che non guasta. Sarebbe il segnale — da mandare anche all’esterno — che a novembre non si considera già buttata l’intera stagione, che questo può non essere (l’ennesimo) anno di transizione.
Perché no: la sindrome Pipita
In realtà potrebbero bastare due parametri: l’età e i soldi. Ibra però risulta abbastanza integro fisicamente (anche se è stato fermo 25 giorni a marzo per un problema al tendine d’Achille, ma da allora non ha più avuto guai) e d’altra parte Elliott, il fondo proprietario del Milan, si è già detto disponibile a fare delle eccezioni alla sua politica della linea giovane: con lo stesso Ibra un anno fa (e poi con Modric). Quindi si potrebbe fare uno strappo senza sconfessare la propria politica verde. Il punto è la sindrome Pipita, ovvero lo spirito con cui il grande campione si presenta in una squadra con dei problemi, al momento più vicina alla zona salvezza che al vertice. Appunto, il Gonzalo Higuain del Milan non era neanche il lontano parente di quello che è tornato (con un anno in più) alla Juventus. Le dichiarazioni rilasciate da Ibrahimovic alla Gazzetta dello Sport, peraltro, non sembrano molto incoraggianti: «Questo Milan non è lo stesso che ha fatto innamorare migliaia di tifosi in Italia e nel mondo. È un disastro: molte parole, pochi fatti. Forse c’è gente sbagliata che dovrebbe stare da altre parti». Boban, Maldini e Gazidis ora ci pensano, ma Ibra con che spirito torna al Milan?
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Liverpool-City, perché la Premier è il top? Hanno i più bravi (e i soldi per prenderli)
Il campionato più ricco può avere i giocatori top, in tecnica e velocità, e li fa gestire dai tecnici migliori provenienti da tutto il mondo. Da qui il profondo gap con l’Italia
di Mario Sconcerti
Lo stupore di Liverpool-Manchester City ha costretto tutti a chiedersi perché gli inglesi giochino così meglio di noi, un altro calcio nel vero senso del termine. Cominciamo dalle certezze: Liverpool-City è una pessima pietra di paragone, sono le due migliori squadre al mondo, rappresentano se stesse e niente più. Aggiungo qualcosa a cui raramente pensiamo: Liverpool-City per noi è solo spettacolo, non ha sentimenti. È estetica, non religione, vinca chi vuole. La base del calcio non è la qualità del gioco, è quella del risultato. Se l’Inter gioca bene e perde con la Juve per un interista è una sconfitta, non uno spettacolo. E naturalmente viceversa. Il nostro piacere è falsato dall’importanza personale della partita. Guardando Liverpool-City no, è puro divertimento a priori.
Veniamo ora al fatto tecnico. Il campionato inglese è più spettacolare perché si cerca sempre di vincere. In Italia non è così automatico, si pilota ancora il risultato, ci si accontenta. Cercare sempre di vincere comporta uno sforzo maggiore, prolungato, a cui il nostro calcio non è abituato per consuetudine e cultura. Nella prima metà del Novecento si pensava che la corsa differente di italiani e nord europei dipendesse dalla diversa distribuzione degli spazi naturali. Loro giocavano sui grandi prati e si abituavano alla resistenza, al gioco verticale. Noi non avevamo campi ma cortili, oratori, strade, e ci abituavamo al gioco stretto, al dribbling, all’astuzia. Oggi questo non esiste più, ma quella differenza originale ha portato alle grandi caratteristiche del calcio all’italiana, cioè difendersi e cercare spazi alle spalle dell’avversario.
Questo tipo di calcio ha avuto tanta fortuna e rappresenta ancora una splendida carta di riserva, ma nasce dalla debolezza. Oggi non solo questo non c’è più, ma la libera circolazione degli stranieri ha portato i migliori giocatori al mondo nel campionato più ricco, quello inglese. Non i Maradona, i Messi, i Ronaldo, ma la più straordinaria qualità media che esiste, il calcio vero, di tutti. Quello che colpisce il nostro occhio del loro calcio è la velocità. Attenzione: non sono più veloci dei giocatori italiani. Fanno girare più rapidamente il pallone. Per far questo bisogna essere molto bravi. Non c’è più una differenza fisica, siamo tutti mescolati. La differenza è la tecnica, la qualità individuale. È qui la singolarità. Per far girare rapidamente il pallone bisogna saperlo controllare a qualunque velocità ti arrivi.
Il calcio si gioca con un attrezzo. È il controllo di quell’attrezzo il vero segreto. Il campionato inglese su questo è nettamente avanti a noi. La loro ricchezza acquista i migliori giocatori, i migliori giocatori danno velocità al pallone e ne prendono il controllo. Questa diversità è gestita poi da tecnici provenienti da tutto il mondo, i più costosi, i più esperti. Hanno messo tutto in una scatola, hanno agitato il fondo e ne è uscito un calcio nuovo. Noi non siamo più i maestri, siamo i migliori nel nostro tipo di calcio. Sarri e Conte hanno retto appena tre anni in due nella perfida Albione. Poi sono tornati a casa.
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Fonseca il rottamatore
IL MESSAGGERO (U. TRANI) - Più che rivoluzione, chiamiamola rottamazione. La Roma, di sicuro, cambierà ancora a giugno, svecchiando la rosa. Ma anche a gennaio il club di giallorosso sarà costretta a fare qualche operazione. Da un minimo di una al massimo di tre (in questo caso una per reparto). La più scontata è in difesa: se va via Florenzi, serve il terzino destro. Zappacosta ha in pratica perso la stagione e Spinazzola spesso è chiamato a fermarsi per il tagliando di controllo. In più bisogna capire quanto resterà fuori Cristante: se, come sembra, il recupero sarà più lento breve del previsto, diventa necessaria la soluzione tampone. In attacco manca il vice di Dzeko, anche perché Kalinic è fermo e chissà fino a quando. L'identikit del management di Pallotta per qualsiasi colpo di oggi (inizio 2020) o di domani (sessione estiva del mercato): il rinforzo non deve avere più di 27 anni. Chi è over, può sbarcare a Trigoria solo in prestito.
VERIFICA IN CORSO - La valutazione di Fonseca e Petrachi, in allenamento e in partita, prenderà dunque in esame 4-5 giocatori della rosa che, poco utilizzati nelle 16 partite stagionali per motivi diversi (e non solo per infortuni), devono dimostrare di poter dare il loro contributo nella seconda metà dell'annata. I calciatori resteranno sotto la lente di ingrandimento del portoghese e del suo staff fino a Natale: 7 le partite (5 di campionato e 2 di Europa League) in calendario, aspettando l'inizio della sessione invernale del mercato. Sono i match che si giocheranno prima delle feste e quindi le ultime del 2019.
SCARSO MINUTAGGIO - Diventano, insomma, 4 i giocatori su quali l'allenatore e il ds dovranno prendere una decisione definitiva (o quasi): Florenzi, da capitano (e nazionale) retrocesso a panchinaro (da 6 gare), Jesus, titolare in campionato solo il 25 agosto, Kalinic, arrivato a settembre senza la preparazione estiva e uscito di scena il 20 ottobre a Marassi (frattura del perone), e Perotti, indisponibile nelle prime 9 partite di questa stagione e in 23 delle 48 di quella passata. A loro va aggiunto anche Under che, già fuori per infortunio in 10 match della scorsa annata, è stato fermo per due mesi anche in questa. Fonseca, in estate, ha puntato proprio su Under e Perotti come esterni offensivi, ma ha dovuto presto cambiare il suo piano. Che, al momento, non è più proponibile. Florenzi è il caso più delicato: appena 9 presenze e 575 minuti giocati. Se non ha spazio nella Roma, perde l'Europeo, a prescindere dalla dichiarazione di affetto firmata da Mancini lunedì a Coverciano. Dentro o fuori, insomma, a gennaio. In bilico anche Jesus, 4 presenze e 196 minuti: attualmente è l'ultima scelta tra i centrali difensivi. Su Perotti, 6 presenze e 136 minuti, incide anche l'età (31 anni). Che, invece, aiuta Under (22 anni), 5 presenze e 205 minuti. Diversa la posizione di Kalinic, 4 presenze e 106 minuti: qui in prestito, il suo rientro sarà nel nuovo anno. Il taglio in corsa, però, non è stato messo in preventivo.
STIPENDIO AL PIEDE - Gli ingaggi, intanto, non favoriscono la dismissione di questi giocatori che, di conseguenza, possono andare solo in club di prima fascia: Florenzi, legato alla Roma fino alò 2023, guadagna 3 milioni netti all'anno. È lo stesso stipendio di Perotti, Under e Kalinic. Più basso quello di Jesus: 2,2 milioni.
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Da Ibra a Vidal: le grandi manovre
IL MESSAGGERO (E. TROTTA) - Rafforzare, prima di ritoccare e programmare. Le priorità di gennaio sono ormai chiare ai vertici di Inter, Milan e Roma. La finestra invernale sarà sfruttata per accontentare in primo luogo le richieste dei rispettivi tecnici, costretti a fronteggiare già ad inizio stagione un'emergenza numerica per via degli infortuni e delle esclusioni eccellenti. La Juventus si focalizzerà sulle cessioni di Emre Can e di Mandzukic, mentre il Napoli inizierà a preparare l'attesa rivoluzione estiva dopo la rivolta dello spogliatoio. Il ribaltone coinvolgerà tanti big della rosa, da Allan a Mertens passando per Ghoulam, ma non si escludono partenze già a gennaio. Ad esempio Mertens (scadenza 2020) si è proposto a più riprese a Inter, Juve e Roma, la richiesta resta un triennale da 4 milioni di euro a stagione. Ha il contratto a termine anche Callejon, cercato da tempo in Cina come il suo collega belga. Per rinnovare vuole 3,5-4 milioni a stagione, il Napoli è fermo a 2,5. De Laurentiis, intenzionato a trattenere tutti i senatori almeno fino a giugno, è disposto a considerare offerte per lo spagnolo sui 10 milioni. Tuttavia, gli equilibri e l'agenda di calciomercato possono cambiare in caso di addio di Ancelotti: al momento, il tecnico è confermato per le prossime due partite.
TRE ACQUISTI - Azzurra, quindi, ma soprattutto nerazzurra la copertina del mercato di gennaio. Conte del resto è stato chiaro, vuole i tre innesti sfumati in estate: un centrocampista, un esterno e un vice-Lukaku. L'obiettivo numero uno per la mediana si conferma Vidal. L'allenatore salentino lo reclama senza fortune dalla scorsa estate, da quando i catalani hanno risposto offrendo Rakitic, un'occasione al momento congelata dal ds Ausilio. Il manager interista ha fatto poi il nome dell'altro suo pupillo, Matic, accostato pure al Milan e in uscita dal Manchester. Intanto si rafforzano le voci su un'operazione avviata per Kulusevski. I nerazzurri valutano di anticipare a gennaio l'arrivo dello svedese ora al Parma (ma di proprietà dell'Atalanta) con un'offerta da 25 milioni di euro.
Per il ruolo di vice Lukaku occhi puntati su Giroud, ai saluti con il Chelsea, su Petagna (Spal) e Lasagna (Udinese). Possibile poi pure un rinforzo sulle corsie: Darmian, bloccato da tempo, è davanti a Florenzi nella classifica di gradimento. Problemi di abbondanza invece a Torino, dove il CFO Paratici lavora per piazzare definitivamente Mandzukic, Emre Can e un difensore tra Rugani e Demiral (in orbita rossonera), senza trascurare la caccia al nuovo attaccante dell'estate. L'identikit è tracciato: giovane, forte ma già con maturata esperienza internazionale, come Sancho del Borussia Dortmund.
NON SOLO SEFEROVIC - Le difficoltà di Piatek e di Leao obbligano invece il Milan a cercare un goleador esperto. Mandzukic ha le caratteristiche e la personalità ricercate, ma anche un ingaggio da 6 milioni distante dai parametri del club meneghino. Il sogno dei tifosi- che aspettano un rinforzo a centrocampo con i soldi della cessione di Kessie nel mirino del Wolverhampton - non cambia: Zlatan Ibrahimovic. Lo svedese ieri ha salutato a modo suo i Los Angeles Galaxy con un tweet: «Sono arrivato, ho visto, ho conquistato. Grazie Los Angeles Galaxy per avermi fatto sentire di nuovo vivo». Ai tifosi del Galaxy: «Volevate Zlatan, vi ho dato Zlatan. Prego. La storia continua... Adesso tornate a vedere il baseball», si è offerto anche al Napoli attraverso il suo agente Mino Raiola, vuole 3-4 milioni di euro per i prossimi sei mesi. Il Bologna ha preso nota e schierato Mihajlovic per centrare il colpo: il serbo ha un ottimo rapporto con il campione 38enne. Intanto alla Roma, dopo Seferovic del Benfica, è stato di nuovo offerto Kean, in rottura con l'Everton.
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CALCIO E FINANZA
La lezione di Andrea Agnelli: sarà un calcio più povero
Agli studenti di Oxford: in prospettiva il valore globale del business scenderà
Oxford
In un piovoso pomeriggio di novembre a Oxford, una folla di studenti si raduna al Corpus Christi College, per ascoltare Andrea Agnelli, il presidente della Juventus. Per l’erede della “Real Casa” di Torino, che nel 2010 scelse di riprendersi in mano la gestione del club e affidò a lui l’incarico, è un po’ un ritorno a casa: ha frequentato il St Claire’s College. Invitato dalla Oxford Univesity Italian Society, associazione degli studenti, presieduta dal matematico Francesco Galvanetto, Agnelli lancia un avvertimento che suona quasi come un allarme: il futuro della macchina del calcio vede un impoverimento. Dopo la prima fase di vita dei club, quella del calcio come passatempo di ricchi presidenti mecenati; e dopo la seconda, quella dello sbarco della TV nel mondo del pallone, il prossimo ciclo sarà quello di un calo del valore globale del business.
Perché le nuove generazioni sono meno interessate al calcio e i bambini di oggi saranno i telespettatori-consumatori del domani. Un fenomeno che sta iniziando dai paesi marginali oggi per il calcio, come Finlandia e repubbliche baltiche, ma che, è la previsione del numero uno dei bianconeri, «si estenderà all’Europa dell’Est e poi arriverà nell’Europa centrale» che oggi è il mercato più ricco del calcio. Quanto tempo ci vorrà è difficile dirlo, ma «il compito di un manager è prevedere i problemi e prevenirli». In realtà per un club che è ormai stabilmente nell’Olimpo, la cosa potrebbe anche tranquillamente essere trascurata: «Il sistema così com’è, per chi si chiama Juve, Real o Bayern, funziona e potrebbe andare avanti all’infinito». In effetti oggi i club fanno la parte del leone nella torta dei diritti tv, il motore che pompa ogni anno miliardi nelle casse dei club (quasi 6 miliardi nella Premier League; 1,8 nella Lig e 1,5 nella Serie A, i campionati più ricchi al mondo).
Quella che Agnelli tiene davanti agli studenti è una sorta di lectio magistralis sul mondo del calcio e sulle prospettive dell’industria più da presidente dell’ECA, la Confindustria del calcio europeo, che guarda all’idraulica complessiva del mercato più che al “particulare”, ma per farlo parte dall’unicum della Juventus, solo club al mondo che da quasi 125 anni è di proprietà dello stesso azionista, per di più una famiglia: il club fu fondato sulla famosa panchina di Corso Re Umberto nel 1924.
E oggi, dopo aver sfondato la soglia del mezzo miliardo di fatturato, è entrato nella Top10 dei più grandi club al mondo, grazie anche all’ingaggio della superstar Cristiano Ronaldo (che però è costato dal lato contabile una perdita per il secondo anno di fila e debiti saliti a 570 milioni al 30 settembre).
A differenza della fiction, che alimenta la galassia degli Ott, da Netflix ad Amazon, i nuovi padroni della tv, il calcio offre l’unicità dell’evento dal vivo. E il tifoso non si accontenta di un video: vuole vedere le partite mentre si giocano.
E per accontentare i suoi 89 milioni di follower sparsi in tutto il mondo, tutti potenziali clienti, il club gioca sempre più partite ufficiali fuori dai confini nazionali. Lo fa anche per sottrarsi all’abbraccio soffocante della regolamentazione, la gabbia di enti che decidono calendari e introiti ma che pensano al calcio ancora come a un gioco, come è stato per oltre un secolo, e non come a quella macchina globale di affari e business che è diventato. Oggi metà dei ricavi di un club arriva da attività regolamentate: su 12 mesi di attività, solo 2, quelli delle turnè estive, sono effettivamente gestiti dalle singole squadre. E per questo i grossi club vagheggiano da tempo l’idea di una super-lega, ma soprattutto guardano con favore all'assalto delle nuove piattaforme che grazie alla loro disintermediazione, «riportano indietro l’equity value nelle mani dei club».
Simone Filippetti
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A dispetto di un apparente gigantismo in cui vive il calcio, Agnelli ne preconizza un impoverimento: le nuove generazioni non sono fidelizzate a questo sport come lo erano e lo sono le vecchie.
Già ora in effetti ne possiamo intuire i prodromi: i ragazzini non scelgono automaticamente il campo di pallone per andare a divertirsi. Prendono sempre più piede, anche da noi, altri sport e altri modi di divertimento e aggregazione. Basti vedere come anche le nazionali siano costrette ad importare giocatori di altre etnie per tirare a campare...per non parlare poi dei club.
Per questo le grandi squadre stanno pensando alla superchampions dal 2024: una manifestazione molto simile alla NBA o ai campionati americani, un circolo quasi chiuso, per pochi eletti, capace di raccogliere le stelle e, si immagina, offrire uno spettacolo più attraente per il mercato globale, fatto di una gigantesca e pluriforme offerta entro la quale il calcio ormai è solo una delle tante voci che deve sgomitare assieme alle altre.
PS: nell'articolo è contenuto un clamoroso errore del giornalista. Basterebbe Wikipedia per apprendere che la Juve è stata fondata nel 1897 e non 1924 e che gli Agnelli non la posseggono dalla fondazione ma dal 1923. Forse sulle panchine delle vie cittadine, invece che nelle readazioni, dovrebbero starci tanti possessori di tesserini da giornalista....ma di noi
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