Manchester City-Real show e la differenza con la serie A: perché il gap aumenta
Soldi, qualità, intensità e cultura calcistica: da noi i giovani arrancano. E in City-Real quasi non ci siamo accorti dell’arbitro: pochissime le interruzioni
Credevamo di aver visto tutto dopo le sfide scintillanti tra il Real Madrid e il Paris Saint Germain e tra i Blancos e il Chelsea e invece non avevamo visto ancora niente. All’Etihad, lo stadio del City, è andata in scena la Partita dell’anno, un 4-3 elettrizzante (QUI il commento), che ci ha tenuti incollati davanti alla tv, novanta minuti (più recupero) senza un attimo di tregua, sette gol, mille occasioni, un ritmo da stordire. Un calcio diverso, che in Italia, ahinoi, ci sogniamo. La differenza è abissale e ogni anno, purtroppo, il gap aumenta.
Da City-Real ci separa tutto: i soldi e di conseguenza la qualità dei protagonisti, ma anche l’intensità e la cultura calcistica, quella invocata da Arrigo Sacchi. Siamo nelle semifinali della Champions, è bene non dimenticarlo e quella tra Guardiola e Ancelotti è potenzialmente una finale, ovvero il meglio che c’è. Si sono scontrate due squadre che, messe insieme, valgono poco meno di due miliardi di euro. Ma non è tutto qui.
Il calcio italiano arranca e rischia di affogare tra i debiti. All’Etihad abbiamo visto i migliori giocatori del mondo: Benzema, straordinario centravanti da Pallone d’Oro che con una doppietta tiene in piedi Ancelotti in vista del ritorno nel tempio del Bernabeu, lo stadio che è una icona. E poi De Bruyne, il centrocampista più forte e moderno del mondo ma ancora il canterano Foden e l’irresistibile Vinicius, classe 2000 che sono già campioni. Un esempio che fotografa meglio di mille parole la situazione. In Italia solo un Millennial ha festeggiato il traguardo delle 10 reti in campionato, Giacomo Raspadori, e gioca in provincia, nel Sassuolo.
Se l’Italia è fuori dal Mondiale le colpe di Mancini sono evidenti, ma i limiti del nostro movimento sono la vera ragione del secondo fallimento consecutivo. Mancano le stelle, mancano i giovani talento italiani, manca la visione: il coraggio di far crescere una nuova generazione. Manca, come detto, anche la cultura. Durante Manchester City-Real Madrid non ci siamo quasi accorti dell’arbitro. Le squadre hanno pensato solo a giocare e a vincere. Il City ha fatto la partita, il Real ha ribattuto colpo su colpo. Poche le interruzioni. Da noi il gioco è spezzettato, continui falli, troppe sceneggiate, odiosi capannelli intorno agli arbitri, che saranno pure mediocri ma certo non vengono aiutati dai protagonisti in campo.
Ci consola una generazione di nuovi allenatori, da Italiano a Juric, da Tudor a De Zerbi, che ha scelto di emigrare. Ma la strada è lunga. I soldi, adesso, non li abbiamo e i campioni, quelle veri, non possiamo più permetterceli, se non quelli in cerca di rivincita o di una definitiva consacrazione. Sul resto si può intervenire. Mettendo il gioco al centro del villaggio. Pensando a vincere e non a speculare.
CorSera
Soldi, qualità, intensità e cultura calcistica: da noi i giovani arrancano. E in City-Real quasi non ci siamo accorti dell’arbitro: pochissime le interruzioni
Credevamo di aver visto tutto dopo le sfide scintillanti tra il Real Madrid e il Paris Saint Germain e tra i Blancos e il Chelsea e invece non avevamo visto ancora niente. All’Etihad, lo stadio del City, è andata in scena la Partita dell’anno, un 4-3 elettrizzante (QUI il commento), che ci ha tenuti incollati davanti alla tv, novanta minuti (più recupero) senza un attimo di tregua, sette gol, mille occasioni, un ritmo da stordire. Un calcio diverso, che in Italia, ahinoi, ci sogniamo. La differenza è abissale e ogni anno, purtroppo, il gap aumenta.
Da City-Real ci separa tutto: i soldi e di conseguenza la qualità dei protagonisti, ma anche l’intensità e la cultura calcistica, quella invocata da Arrigo Sacchi. Siamo nelle semifinali della Champions, è bene non dimenticarlo e quella tra Guardiola e Ancelotti è potenzialmente una finale, ovvero il meglio che c’è. Si sono scontrate due squadre che, messe insieme, valgono poco meno di due miliardi di euro. Ma non è tutto qui.
Il calcio italiano arranca e rischia di affogare tra i debiti. All’Etihad abbiamo visto i migliori giocatori del mondo: Benzema, straordinario centravanti da Pallone d’Oro che con una doppietta tiene in piedi Ancelotti in vista del ritorno nel tempio del Bernabeu, lo stadio che è una icona. E poi De Bruyne, il centrocampista più forte e moderno del mondo ma ancora il canterano Foden e l’irresistibile Vinicius, classe 2000 che sono già campioni. Un esempio che fotografa meglio di mille parole la situazione. In Italia solo un Millennial ha festeggiato il traguardo delle 10 reti in campionato, Giacomo Raspadori, e gioca in provincia, nel Sassuolo.
Se l’Italia è fuori dal Mondiale le colpe di Mancini sono evidenti, ma i limiti del nostro movimento sono la vera ragione del secondo fallimento consecutivo. Mancano le stelle, mancano i giovani talento italiani, manca la visione: il coraggio di far crescere una nuova generazione. Manca, come detto, anche la cultura. Durante Manchester City-Real Madrid non ci siamo quasi accorti dell’arbitro. Le squadre hanno pensato solo a giocare e a vincere. Il City ha fatto la partita, il Real ha ribattuto colpo su colpo. Poche le interruzioni. Da noi il gioco è spezzettato, continui falli, troppe sceneggiate, odiosi capannelli intorno agli arbitri, che saranno pure mediocri ma certo non vengono aiutati dai protagonisti in campo.
Ci consola una generazione di nuovi allenatori, da Italiano a Juric, da Tudor a De Zerbi, che ha scelto di emigrare. Ma la strada è lunga. I soldi, adesso, non li abbiamo e i campioni, quelle veri, non possiamo più permetterceli, se non quelli in cerca di rivincita o di una definitiva consacrazione. Sul resto si può intervenire. Mettendo il gioco al centro del villaggio. Pensando a vincere e non a speculare.
CorSera
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