Napoli: ritiro sospeso dopo l’ammutinamento, ma De Laurentiis vuole fare causa ai suoi giocatori
Situazione nelle mani di Ancelotti. Sul tappeto i rinnovi e i malesseri verso mister e patron, per questo dopo il Salisburgo gli azzurri si sono ribellati tornando a casa
Rivolta, rivoluzione o ammutinamento. Le definizioni per quello che è accaduto martedì sera nel ventre del San Paolo si sono sprecate. Qualunque sia la più appropriata conta fino a un certo punto. Sta di fatto però che siamo di fronte a una situazione che non ha precedenti nel calcio che conta. Un primato che non rende giustizia a una città che da trent’anni aspetta invece di arrivare prima sul podio sportivo e che soprattutto rimette in discussione i rapporti all’interno del club e gli obiettivi di stagione.
La squadra decide di interrompere autonomamente il ritiro ordinato dal presidente De Laurentiis, saranno ora i legali a stabilire i torti e le ragioni. Il vaso di Pandora viene scoperchiato al termine della sfida di Champions con il Salisburgo, ed è una storia molto tesa da tutti contro tutti. Levata di scudi dei giocatori contro Aurelio De Laurentiis. Dito puntato verso l’allenatore, «reo» di non tutelarli abbastanza. Lo scenario, inedito, colloca Ancelotti nel suo ufficio ad assistere da lontano all’ammutinamento della squadra, pronto a sfilarsi dalla protesta: lascia lo stadio con il suo staff e torna in ritiro.
De Laurentiis è già andato in albergo, resta in contatto con i dirigenti e decide la strategia: ritiro sospeso e «tutela legale, disciplinare e di immagine del club» e, soprattutto, «decisione sui ritiri futuri affidata esclusivamente ad Ancelotti». Al tecnico la patata bollente di gestire la polveriera Napoli, con l’inevitabile conseguenza che sarà lui (da solo) a rispondere di prestazioni e risultati.
Torniamo alla notte tra martedì e mercoledì: mezz'ora di follia nello stadio in cui ci sono tv di mezza Europa ad aspettare le interviste del dopopartita e il rumore della rivolta irrompe come un fulmine, spazza via il risultato del campo e tutti i calcoli sulla qualificazione Champions. Le pareti sono spesse ma le voci di dentro arrivano nitide. Prima litigano il vicepresidente Edo De Laurentiis e due giocatori, la tensione sale e volano pugni contro il muro. Squadra decisa a tutto pur di non assecondare il patron, lo comunica al figlio ed è quasi una rissa. Battaglia di principio, diranno poi i calciatori. Hanno saputo del ritiro dai media, ascoltato i rimbrotti del presidente attraverso la radio ufficiale del club. C’è dell’altro evidentemente: le attese infinite dei rinnovi del contratto, c’è chi voleva andar via e invece è rimasto per scelta del club. Molti altri non tollerano le ingerenze nelle questioni di spogliatoio. Rischiano adesso una multa salatissima, De Laurentiis ha consultato i suoi legali e valuterà ogni azione per tutelarsi.
Ancelotti, invece, è rimasto alla finestra, consapevole naturalmente che certe cose non accadono per caso e, soprattutto, all’improvviso. Il cielo non è sereno da settimane e le frizioni nello spogliatoio, ancor prima della decisione del ritiro, erano frequenti. Costanti. Gli screzi con Insigne, le esclusioni tecniche di giocatori funzionali al progetto come Ghoulam. La squadra mal sopporta la composizione familiare dello staff tecnico: suo figlio Davide, 30 anni, in panchina con lui e suo genero Mino Fulco. Si ripropone l’accusa di nepotismo, che Ancelotti aveva dovuto subire anche al Real Madrid e che fu la causa della rottura con il Bayern di Monaco.
Tanta brace tenuta sotto la cenere fino all’irruzione presidenziale: il ritiro ha fatto saltare il banco.
CorSera
Situazione nelle mani di Ancelotti. Sul tappeto i rinnovi e i malesseri verso mister e patron, per questo dopo il Salisburgo gli azzurri si sono ribellati tornando a casa
Rivolta, rivoluzione o ammutinamento. Le definizioni per quello che è accaduto martedì sera nel ventre del San Paolo si sono sprecate. Qualunque sia la più appropriata conta fino a un certo punto. Sta di fatto però che siamo di fronte a una situazione che non ha precedenti nel calcio che conta. Un primato che non rende giustizia a una città che da trent’anni aspetta invece di arrivare prima sul podio sportivo e che soprattutto rimette in discussione i rapporti all’interno del club e gli obiettivi di stagione.
La squadra decide di interrompere autonomamente il ritiro ordinato dal presidente De Laurentiis, saranno ora i legali a stabilire i torti e le ragioni. Il vaso di Pandora viene scoperchiato al termine della sfida di Champions con il Salisburgo, ed è una storia molto tesa da tutti contro tutti. Levata di scudi dei giocatori contro Aurelio De Laurentiis. Dito puntato verso l’allenatore, «reo» di non tutelarli abbastanza. Lo scenario, inedito, colloca Ancelotti nel suo ufficio ad assistere da lontano all’ammutinamento della squadra, pronto a sfilarsi dalla protesta: lascia lo stadio con il suo staff e torna in ritiro.
De Laurentiis è già andato in albergo, resta in contatto con i dirigenti e decide la strategia: ritiro sospeso e «tutela legale, disciplinare e di immagine del club» e, soprattutto, «decisione sui ritiri futuri affidata esclusivamente ad Ancelotti». Al tecnico la patata bollente di gestire la polveriera Napoli, con l’inevitabile conseguenza che sarà lui (da solo) a rispondere di prestazioni e risultati.
Torniamo alla notte tra martedì e mercoledì: mezz'ora di follia nello stadio in cui ci sono tv di mezza Europa ad aspettare le interviste del dopopartita e il rumore della rivolta irrompe come un fulmine, spazza via il risultato del campo e tutti i calcoli sulla qualificazione Champions. Le pareti sono spesse ma le voci di dentro arrivano nitide. Prima litigano il vicepresidente Edo De Laurentiis e due giocatori, la tensione sale e volano pugni contro il muro. Squadra decisa a tutto pur di non assecondare il patron, lo comunica al figlio ed è quasi una rissa. Battaglia di principio, diranno poi i calciatori. Hanno saputo del ritiro dai media, ascoltato i rimbrotti del presidente attraverso la radio ufficiale del club. C’è dell’altro evidentemente: le attese infinite dei rinnovi del contratto, c’è chi voleva andar via e invece è rimasto per scelta del club. Molti altri non tollerano le ingerenze nelle questioni di spogliatoio. Rischiano adesso una multa salatissima, De Laurentiis ha consultato i suoi legali e valuterà ogni azione per tutelarsi.
Ancelotti, invece, è rimasto alla finestra, consapevole naturalmente che certe cose non accadono per caso e, soprattutto, all’improvviso. Il cielo non è sereno da settimane e le frizioni nello spogliatoio, ancor prima della decisione del ritiro, erano frequenti. Costanti. Gli screzi con Insigne, le esclusioni tecniche di giocatori funzionali al progetto come Ghoulam. La squadra mal sopporta la composizione familiare dello staff tecnico: suo figlio Davide, 30 anni, in panchina con lui e suo genero Mino Fulco. Si ripropone l’accusa di nepotismo, che Ancelotti aveva dovuto subire anche al Real Madrid e che fu la causa della rottura con il Bayern di Monaco.
Tanta brace tenuta sotto la cenere fino all’irruzione presidenziale: il ritiro ha fatto saltare il banco.
CorSera
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