Anche l’Atalanta nelle mani di un finanziere americano. Le proprietà americane in Serie A ormai sono nove. E’ chiaro che l’Italia abbia già perso il controllo economico del calcio, ma è probabile che presto perda anche il controllo della gestione tecnica e della salvaguardia della tradizione. La famigerata Superlega era già un esperimento in quel senso e non solo dal punto di vista finanziario. Entro 10 o 20 anni, o forse anche meno, avremo un calcio molto diverso, dalle regole rivoluzionate: shoot out, niente fuorigioco, espulsioni a tempo, regola dei falli, sostituzioni volanti. Non è fantascienza, lo anticipò già Marco Van Basten, Insomma l’americanata è alle porte…
Con l’Atalanta nove squadre di Serie A sono ormai di proprietà americana. Più ci sono altre proprietà americane in B e in C. Di fatto stiamo perdendo il controllo del nostro calcio che, al di là dei soldi provenienti da oltre Atlantico, ben presto verrà gestito secondo logiche e criteri diversi da quelli cui siamo abituati. Come europei siamo conservatori e tradizionalisti, negli Usa non hanno del calcio questa concezione sacra, storica, rituale, con addirittura una funzione sociale. Per gli americani il calcio è solo una delle branche del più vasto “business enterteinment” e dunque si può adattare e modificare né più né meno come si mettono sempre nuove montagne russe e labirinti di specchi a Disney World.
Abbiamo ancora un pugno di presidenti italiani che controllano club importanti (Agnelli e la Juve, De Laurentiis e il Napoli, Lotito e la Lazio, Cairo e il Torino), ma tranne gli Agnelli e la Juventus, forse…, non possiamo escludere che altri club in futuro vengano ceduti a operatori internazionali. E gli americani oggi, dopo i cinesi e gli sceicchi, sono quelli più interessati al business del calcio. Sempre ammesso che si possa fare business con una attività il cui svolgimento è soggetto a mille variabili: un palo preso o un rigore sbagliato possono fare decine di milioni di euro (anzi di dollari…) di differenza. Ma a quanto pare gli americani pensano che questo sia l’Eldorado e dunque giù a rilevare il controllo dei nostri club. L’Atalanta di cui Stephen Pagliuca, vecchio socio di Jim Pallotta nei Boston Celtics, ha preso il controllo dai Percassi per il 55% – lasciando all’imprenditore bergamasco la presidenza – è stata valutata addirittura 400 milioni. Una cifra impossibile da non prendere in considerazione.
Ad oggi abbiamo Atalanta, Genoa, Spezia, Roma, Parma, Fiorentina, Milan, Bologna e Venezia nelle mani di ricchi uomini d’affari americani. Con alterne fortune, non tutti destinati ad avere successo in termini di trofei e vittorie, che non sono propriamente il primo obiettivo dei nuovi padroni. L’importante è guadagnare, il resto viene dopo. Finanzieri che sono l’evoluzione moderna del vecchio Zio d’America, che ora passa dal basket, al football, al calcio senza farsi troppi problemi. Quasi tutti gestori di fondi, raider speculatori della finanza che portano nel calcio i denari di altri investitori.
L’operare all’interno dell’ Uefa e della Fifa garantisce ancora una certa continuità di regole universali e il perpetrare di una tradizione storica, ma il calcio sta cambiando talmente fuori dal campo che prima o poi finirà col cambiare anche all’interno. Il tentativo secessionistico della Superlega era già un passo in questo senso, una colossale “americanizzazione” del football europeo. Non ha sfondato, per ora ma si è comunque trasformato in una potentissima arma di pressione su Uefa e Fifa per aumentare gli incassi e indirizzare la maggior parte del flusso di denaro verso i grandissimi club. E penso che, strettamente connesse al business, entro i prossimi dieci o venti anni le trasformazioni saranno tali da assistere a un altro sport. Più breve e conciso, senza pause, con ulteriori regole che ne facilitino i gol, più frenetico. Nessuno può dircelo adesso, ma sarà la fruizione stessa del calcio a determinarne l’indirizzo.
Il substrato tecnico della Superlega oltre la motivazione economica straordinaria era sostanzialmente questo. E’ un dibattito che è già arrivato da qualche anno in Europa e che l’ampliarsi delle proprietà americane fatalmente allargherà e velocizzerà. Cinque anni fa Marco Van Basten, non uno qualsiasi, rilasciò alla Bild un’intervista in cui auspicava e in qualche maniera anticipava un calcio nuovo. Con molte regole diverse dalle attuali: shoot out al posto dei rigori, come ai tempi dei Cosmos di Chinaglia e Pelè, niente più fuorigioco, abolizione delle ammonizioni e dei cartellini gialli per introdurre le espulsioni a tempo, limite dei 5 falli in stile basket, ridiscussione del numero dei giocatori in campo, sostituzioni volanti e via così.
Un’americanata? Sì un’americanata, dategli venti , anche solo dieci anni, o forse addirittura meno, e ci arriveremo.
Con l’Atalanta nove squadre di Serie A sono ormai di proprietà americana. Più ci sono altre proprietà americane in B e in C. Di fatto stiamo perdendo il controllo del nostro calcio che, al di là dei soldi provenienti da oltre Atlantico, ben presto verrà gestito secondo logiche e criteri diversi da quelli cui siamo abituati. Come europei siamo conservatori e tradizionalisti, negli Usa non hanno del calcio questa concezione sacra, storica, rituale, con addirittura una funzione sociale. Per gli americani il calcio è solo una delle branche del più vasto “business enterteinment” e dunque si può adattare e modificare né più né meno come si mettono sempre nuove montagne russe e labirinti di specchi a Disney World.
Abbiamo ancora un pugno di presidenti italiani che controllano club importanti (Agnelli e la Juve, De Laurentiis e il Napoli, Lotito e la Lazio, Cairo e il Torino), ma tranne gli Agnelli e la Juventus, forse…, non possiamo escludere che altri club in futuro vengano ceduti a operatori internazionali. E gli americani oggi, dopo i cinesi e gli sceicchi, sono quelli più interessati al business del calcio. Sempre ammesso che si possa fare business con una attività il cui svolgimento è soggetto a mille variabili: un palo preso o un rigore sbagliato possono fare decine di milioni di euro (anzi di dollari…) di differenza. Ma a quanto pare gli americani pensano che questo sia l’Eldorado e dunque giù a rilevare il controllo dei nostri club. L’Atalanta di cui Stephen Pagliuca, vecchio socio di Jim Pallotta nei Boston Celtics, ha preso il controllo dai Percassi per il 55% – lasciando all’imprenditore bergamasco la presidenza – è stata valutata addirittura 400 milioni. Una cifra impossibile da non prendere in considerazione.
Ad oggi abbiamo Atalanta, Genoa, Spezia, Roma, Parma, Fiorentina, Milan, Bologna e Venezia nelle mani di ricchi uomini d’affari americani. Con alterne fortune, non tutti destinati ad avere successo in termini di trofei e vittorie, che non sono propriamente il primo obiettivo dei nuovi padroni. L’importante è guadagnare, il resto viene dopo. Finanzieri che sono l’evoluzione moderna del vecchio Zio d’America, che ora passa dal basket, al football, al calcio senza farsi troppi problemi. Quasi tutti gestori di fondi, raider speculatori della finanza che portano nel calcio i denari di altri investitori.
L’operare all’interno dell’ Uefa e della Fifa garantisce ancora una certa continuità di regole universali e il perpetrare di una tradizione storica, ma il calcio sta cambiando talmente fuori dal campo che prima o poi finirà col cambiare anche all’interno. Il tentativo secessionistico della Superlega era già un passo in questo senso, una colossale “americanizzazione” del football europeo. Non ha sfondato, per ora ma si è comunque trasformato in una potentissima arma di pressione su Uefa e Fifa per aumentare gli incassi e indirizzare la maggior parte del flusso di denaro verso i grandissimi club. E penso che, strettamente connesse al business, entro i prossimi dieci o venti anni le trasformazioni saranno tali da assistere a un altro sport. Più breve e conciso, senza pause, con ulteriori regole che ne facilitino i gol, più frenetico. Nessuno può dircelo adesso, ma sarà la fruizione stessa del calcio a determinarne l’indirizzo.
Il substrato tecnico della Superlega oltre la motivazione economica straordinaria era sostanzialmente questo. E’ un dibattito che è già arrivato da qualche anno in Europa e che l’ampliarsi delle proprietà americane fatalmente allargherà e velocizzerà. Cinque anni fa Marco Van Basten, non uno qualsiasi, rilasciò alla Bild un’intervista in cui auspicava e in qualche maniera anticipava un calcio nuovo. Con molte regole diverse dalle attuali: shoot out al posto dei rigori, come ai tempi dei Cosmos di Chinaglia e Pelè, niente più fuorigioco, abolizione delle ammonizioni e dei cartellini gialli per introdurre le espulsioni a tempo, limite dei 5 falli in stile basket, ridiscussione del numero dei giocatori in campo, sostituzioni volanti e via così.
Un’americanata? Sì un’americanata, dategli venti , anche solo dieci anni, o forse addirittura meno, e ci arriveremo.
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