Vlahovic, Juve: Dusan come Haaland, sono loro i centravanti del futuro
L’ex viola e il norvegese del Borussia Dortmund rappresentano delle anomalie rispetto a Lewandowski, Ronaldo, Benzema. Ma occhio anche a Osimhen
di Mario Sconcerti
Se dovessimo cercare i migliori centravanti, metterli uno dietro l’altro in una classifica europea, sarebbe ancora fondamentale partire dai più classici, Lewandowski, Benzema, Ronaldo, Immobile, perfino Vardy, l’antico eroe del Leicester che segna ancora tanto.
Lewandowski per gol è nettamente sopra tutti, 23 in campionato, poi Schick 18, Immobile 17 come Benzema, Ronaldo 8, Vardy 9. È scomparso Messi, un gol, nove partite saltate per infortuni o scarsa condizione, ma non è mai stato un vero centravanti. Come non lo sono Salah, 16 reti, e Mbappè 11. Formidabili attaccanti, ma non numeri nove. Si è spento Suarez, è scomparso Icardi. Quello che balza agli occhi è la vecchia età di questi centravanti. Il più ragazzo è Immobile che ha 31 anni. C’è da avere qualche dubbio sulla facilità di segnare in Germania. Schick non ha mai fatto così tanti gol, Lewandowski segna il 30 per cento più di Benzema e Immobile, tre volte più di Ronaldo. È troppo anche per uno come lui che da anni è il migliore.
Il centravanti è un ruolo che raramente fa crescere in fretta. Quello spetta ai fantasisti. A vent’anni o poco più il centravanti diverso è già riconoscibile, ma non ha continuità, appare incompleto. Segna con difficoltà, non ha la facilità che avrà più tardi. Questo significa che è un ruolo di esperienza, intelligenza, anche se sembra elementare. Ci vogliono anni per saper usare fino in fondo la propria forza accoppiandola con l’esattezza dei gesti tecnici. Quando Bobo Vieri andò alla Juve, si alternava spesso con Amoruso che era meno forte ma più agile. Cioè sapeva nascere prima. Un giorno Amoruso s’infortunò gravemente e nacque Vieri. Toni a 23 anni giocava in serie C. Inzaghi e Gilardino sono stati capocannonieri giovanissimi, ma, soprattutto Inzaghi era un centravanti di intuito, non di fisico. Aveva un senso dell’anticipo immarcabile. Qui arriviamo a Vlahovic e Haaland , due anomalie perché grandi grossi e subito tanti gol. Credo che oggi si faccia esperienza prima perché le partite sono molte di più e la comunicazione pressa, ti mette subito in prima pagina adattandoti al rischio, agli sbalzi di gloria.
Vlahovic è un centravanti moderno con caratteristiche classiche, è febbrile nei movimenti ma geometrico. Ha impiegato un anno in più a uscire perché non capiva la sua partita, pensava di dover cercare il gol ad ogni palla che giocava. Così sbagliava i tempi per frenesia, impazienza. Il vecchio maestro Prandelli gli ha dato la sapienza che i vent’anni gli portavano via. Haaland ha molto poco di classico, è un giocatore unico, ha movimenti così verticali e veloci da sembrare alieni. Nel gioco Vlahovic sembra un selvatico ormai domato, pronto a prendere il meglio dal suo corpo. Haaland è un inventore di situazioni, il figlio perfetto del calcio al tempo degli algoritmi. Nei turbamenti elettrici che causa sfiora il ricordo di qualche accelerazione di Ronaldo e Messi dentro l’area.
Sono entrambi gli attaccanti di domani perché sanno gestire la profondità della loro azione. Arrivano dove pochi difensori arrivano, se sono serviti bene. Non avranno la rotondità di gioco di Benzema, né la potenza pensata di Lewandowski, ma porteranno la loro diversità moderna in un calcio che si annuncia sempre più veloce, quindi senza possibilità di pensiero a dieci metri dal portiere. In questo gioco del tempo, è giusto ricordare che l’attaccante perfetto è stato Ronaldo dell’Inter, per velocità, potenza e classe. Ma le sue eccezioni non erano gratuite, il fisico non reggeva la sua potenza.
C’è un terzo ragazzo che ha qualcosa di eccezionale, parlo di Osimhen. Ha bisogno di più spazio di Vlahovic e Haaland, ma sa fare tutto. In area da fermo è quello che va più in alto. È meno disciplinato, ha i movimenti disordinati di Cerezo ed Asprilla, per questo poco prendibili. Ma è freddo al momento del tiro. Per me un grande giocatore appena disturbato dall’entropia. È un centravanti vero, reale, anche Lautaro. Fa con eleganza la parte difficile del lavoro: stoppa, si allarga brevemente e tira. È un angolo secco di luce, ma non ha ancora la continuità dei fuoriclasse
CorSera
L’ex viola e il norvegese del Borussia Dortmund rappresentano delle anomalie rispetto a Lewandowski, Ronaldo, Benzema. Ma occhio anche a Osimhen
di Mario Sconcerti
Se dovessimo cercare i migliori centravanti, metterli uno dietro l’altro in una classifica europea, sarebbe ancora fondamentale partire dai più classici, Lewandowski, Benzema, Ronaldo, Immobile, perfino Vardy, l’antico eroe del Leicester che segna ancora tanto.
Lewandowski per gol è nettamente sopra tutti, 23 in campionato, poi Schick 18, Immobile 17 come Benzema, Ronaldo 8, Vardy 9. È scomparso Messi, un gol, nove partite saltate per infortuni o scarsa condizione, ma non è mai stato un vero centravanti. Come non lo sono Salah, 16 reti, e Mbappè 11. Formidabili attaccanti, ma non numeri nove. Si è spento Suarez, è scomparso Icardi. Quello che balza agli occhi è la vecchia età di questi centravanti. Il più ragazzo è Immobile che ha 31 anni. C’è da avere qualche dubbio sulla facilità di segnare in Germania. Schick non ha mai fatto così tanti gol, Lewandowski segna il 30 per cento più di Benzema e Immobile, tre volte più di Ronaldo. È troppo anche per uno come lui che da anni è il migliore.
Il centravanti è un ruolo che raramente fa crescere in fretta. Quello spetta ai fantasisti. A vent’anni o poco più il centravanti diverso è già riconoscibile, ma non ha continuità, appare incompleto. Segna con difficoltà, non ha la facilità che avrà più tardi. Questo significa che è un ruolo di esperienza, intelligenza, anche se sembra elementare. Ci vogliono anni per saper usare fino in fondo la propria forza accoppiandola con l’esattezza dei gesti tecnici. Quando Bobo Vieri andò alla Juve, si alternava spesso con Amoruso che era meno forte ma più agile. Cioè sapeva nascere prima. Un giorno Amoruso s’infortunò gravemente e nacque Vieri. Toni a 23 anni giocava in serie C. Inzaghi e Gilardino sono stati capocannonieri giovanissimi, ma, soprattutto Inzaghi era un centravanti di intuito, non di fisico. Aveva un senso dell’anticipo immarcabile. Qui arriviamo a Vlahovic e Haaland , due anomalie perché grandi grossi e subito tanti gol. Credo che oggi si faccia esperienza prima perché le partite sono molte di più e la comunicazione pressa, ti mette subito in prima pagina adattandoti al rischio, agli sbalzi di gloria.
Vlahovic è un centravanti moderno con caratteristiche classiche, è febbrile nei movimenti ma geometrico. Ha impiegato un anno in più a uscire perché non capiva la sua partita, pensava di dover cercare il gol ad ogni palla che giocava. Così sbagliava i tempi per frenesia, impazienza. Il vecchio maestro Prandelli gli ha dato la sapienza che i vent’anni gli portavano via. Haaland ha molto poco di classico, è un giocatore unico, ha movimenti così verticali e veloci da sembrare alieni. Nel gioco Vlahovic sembra un selvatico ormai domato, pronto a prendere il meglio dal suo corpo. Haaland è un inventore di situazioni, il figlio perfetto del calcio al tempo degli algoritmi. Nei turbamenti elettrici che causa sfiora il ricordo di qualche accelerazione di Ronaldo e Messi dentro l’area.
Sono entrambi gli attaccanti di domani perché sanno gestire la profondità della loro azione. Arrivano dove pochi difensori arrivano, se sono serviti bene. Non avranno la rotondità di gioco di Benzema, né la potenza pensata di Lewandowski, ma porteranno la loro diversità moderna in un calcio che si annuncia sempre più veloce, quindi senza possibilità di pensiero a dieci metri dal portiere. In questo gioco del tempo, è giusto ricordare che l’attaccante perfetto è stato Ronaldo dell’Inter, per velocità, potenza e classe. Ma le sue eccezioni non erano gratuite, il fisico non reggeva la sua potenza.
C’è un terzo ragazzo che ha qualcosa di eccezionale, parlo di Osimhen. Ha bisogno di più spazio di Vlahovic e Haaland, ma sa fare tutto. In area da fermo è quello che va più in alto. È meno disciplinato, ha i movimenti disordinati di Cerezo ed Asprilla, per questo poco prendibili. Ma è freddo al momento del tiro. Per me un grande giocatore appena disturbato dall’entropia. È un centravanti vero, reale, anche Lautaro. Fa con eleganza la parte difficile del lavoro: stoppa, si allarga brevemente e tira. È un angolo secco di luce, ma non ha ancora la continuità dei fuoriclasse
CorSera
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