Originariamente Scritto da Sean
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Galliani: «I miei 90 mercati: una volta blindavo Van Basten, ora i top scappano. Mourinho colpo geniale»
L’ex ad del Milan, ora al Monza, analizza la sessione appena conclusa: «Donnarumma, Lukaku e Ronaldo via? Non è certo colpa di Milan, Inter e Juventus»
«Ho svolto il mio primo mercato nel novembre del 1975: ero da poco dirigente del Monza e all’epoca esisteva una finestra di trattative a novembre che durava una settimana. Il primo colpo fu Ariedo Braida. Da allora, fatta eccezione per le due sessioni nel 2017 (l’anno della cessione del Milan a Yonghong Li, ndr), ho sempre condotto trattative». Dal suo osservatorio privilegiato, dopo una novantina di edizioni, fra acquisti stellari, blitz all’ultimo respiro ed estati al telefono, Adriano Galliani — che al Monza non si è smentito con undici nuovi innesti — può analizzare l’evoluzione di un fenomeno che non è solo sportivo. Il calciomercato è lo specchio di un mutamento economico-sociale che ha accompagnato il mondo del pallone.
In cosa si è differenziata l’ultima sessione di affari?
«Indubbiamente ha inciso la crisi causata dal Covid. Tre sono le fonti di guadagno per un club: la biglietteria che si è azzerata, gli sponsor che hanno ridotto gli investimenti e i diritti tv. Globalmente il movimento ha subito perdite del 30% a fronte di costi rimasti inalterati. Il tutto in un contesto in cui il comparto calcistico italiano ha perso peso nel panorama europeo».
Come lo spiega?
«Il mercato è figlio dei ricavi che sono cambiati da nazione a nazione in base agli introiti da diritti tv. Negli anni Sessanta, quando la voce dei diritti tv non pesava sui bilanci dei club, e la maggior parte dei ricavi erano dal ticketing i grandi club avevano fatturati simili. Eusebio iniziava e terminava la carriera nel Benfica, così Cruijff nell’Ajax e Rivera nel Milan. Con la vendita dei diritti televisivi si è aperta la forbice tra i club di Paesi diversi. La Premier, per dire, fattura tre volte e mezzo il campionato italiano. Ecco perché lì vanno i giocatori migliori».
Nella medesima estate la serie A ha perso Donnarumma, Lukaku e Cristiano Ronaldo. Un impoverimento inaspettato?
«Mica si può dare la colpa ai dirigenti di Milan, Inter e Juventus. Nel 1990 quando terminò il primo contratto che Marco Van Basten aveva firmato con il Milan e il suo maestro Crujff lo chiamò a Barcellona ebbi la forza di proporgli un tale rinnovo da farlo restare. Ora che il Barcellona fattura quattro volte il Milan non sarei più in grado».
Quindi ora è molto più complesso agire in sede di trattative?
«Ma certo, le forze in campo sono molto differenti. All’epoca le proprietà non erano asiatiche o degli Emirati: le società erano di ricchi signori delle città di riferimento. La verità è che prima il campionato italiano era di arrivo, ora solo di passaggio».
Come si rimedia a questo ridimensionamento?
«Pazienza, si gioca con altri calciatori. Bisogna rassegnarsi alla fuga dei top nei campionati o nei club che hanno dimensioni economiche differenti. Del resto bisogna considerare un altro aspetto fondamentale nella questione dei diritti: si vendono nei Paesi dove si parla la stessa lingua del campionato di riferimento».
Il Milan avrebbe dovuto trattare in maniera diversa il rinnovo di Donnarumma?
«Sono stati bravi a trovare un altro portiere: ripeto, non ci sono più le condizioni per competere con certi club come il Psg. Io ho avuto la fortuna di avere alle spalle un azionista come Silvio Berlusconi e uno scenario di concorrenza completamente diverso. Potevo comprare i migliori del mondo, il 1 luglio del 2007 eravamo primi nel ranking della Uefa. Ora non sarebbe più possibile».
Un nuovo fenomeno sta prendendo piede: i giocatori che prima premevano per rinnovi infiniti ora spingono per arrivare a scadenza.
«Prima puntavano ad allungare il contratto perché nessun’altra società avrebbe garantito loro stipendi superiori e miravano a mettersi al riparo. Ai miei tempi nessuno dal Milan partiva a parametro zero, perché non esistevano club che con i soldi potevano mettere in crisi la loro fedeltà».
Colpa solo degli introiti da diritti tv?
«Certo che no. Sono anche gli stadi a segnare la differenza: mi chiedo come sia possibile che l’Italia, Paese di imprenditori, non riesca a costruire impianti di proprietà. Colpa loro? Non penso. Poi bisogna anche dire che siamo un Paese povero, con gli stipendi più bassi d’Europa. Mica riusciremmo a ottenere entrate da 6-7 milioni a partita come in Premier».
Come vede la corsa scudetto?
«Premesso che reputo un colpo di genio quello della Roma di arruolare Mourinho, credo che le milanesi, le romane, il Napoli, la Juventus e l’Atalanta sono in corsa per i primi sette posti. Poi con quale graduatoria non saprei».
Il mercato del Milan, mix di giovani di prospettiva e profili esperti come Giroud e Florenzi, le è piaciuto?
«Siccome resto un tifoso pazzo, spero che il Milan vinca il campionato».
La cessione di Lukaku al Chelsea in nome della sostenibilità economica ricorda le vendite sofferte di Ibrahimovic e Thiago Silva nel 2012?
«Assolutamente sì ma davanti a 115 milioni, come quelli offerti all’Inter dagli inglesi, come puoi opporti?».
Il suo amico Max Allegri è passato dall’essere il principale candidato allo scudetto all’assemblatore di una squadra in costruzione.
«Max è un grandissimo allenatore. Non so che situazione societaria ha trovato a Torino ma voglio ricordare che lì ha già vinto cinque scudetti e fatto due finali di Champions».
Balotelli fatica a esplodere anche in Turchia.
«Gli voglio molto bene ma anche a lui ho detto di nutrire il rimpianto che con le sue qualità tecniche avrebbe potuto fare molto di più».
Il Monza ha compiuto 109 anni di storia: cosa vorrebbe regalare per il prossimo compleanno?
«La promozione in A, sfumata lo scorso campionato per un solo gol. Un mare di città lombarde sono state almeno una volta nella storia nel massimo campionato. Speriamo di portarci il Monza, anche se in questa stagione la concorrenza è più nutrita».
Perché ha declinato l’invito alla candidatura a sindaco di Milano e poi a quella di capolista di Forza Italia alle amministrative?
«Non rispondo: questa è un’intervista che riguarda il mercato. Calcistico, non politico».
CorSera
L’ex ad del Milan, ora al Monza, analizza la sessione appena conclusa: «Donnarumma, Lukaku e Ronaldo via? Non è certo colpa di Milan, Inter e Juventus»
«Ho svolto il mio primo mercato nel novembre del 1975: ero da poco dirigente del Monza e all’epoca esisteva una finestra di trattative a novembre che durava una settimana. Il primo colpo fu Ariedo Braida. Da allora, fatta eccezione per le due sessioni nel 2017 (l’anno della cessione del Milan a Yonghong Li, ndr), ho sempre condotto trattative». Dal suo osservatorio privilegiato, dopo una novantina di edizioni, fra acquisti stellari, blitz all’ultimo respiro ed estati al telefono, Adriano Galliani — che al Monza non si è smentito con undici nuovi innesti — può analizzare l’evoluzione di un fenomeno che non è solo sportivo. Il calciomercato è lo specchio di un mutamento economico-sociale che ha accompagnato il mondo del pallone.
In cosa si è differenziata l’ultima sessione di affari?
«Indubbiamente ha inciso la crisi causata dal Covid. Tre sono le fonti di guadagno per un club: la biglietteria che si è azzerata, gli sponsor che hanno ridotto gli investimenti e i diritti tv. Globalmente il movimento ha subito perdite del 30% a fronte di costi rimasti inalterati. Il tutto in un contesto in cui il comparto calcistico italiano ha perso peso nel panorama europeo».
Come lo spiega?
«Il mercato è figlio dei ricavi che sono cambiati da nazione a nazione in base agli introiti da diritti tv. Negli anni Sessanta, quando la voce dei diritti tv non pesava sui bilanci dei club, e la maggior parte dei ricavi erano dal ticketing i grandi club avevano fatturati simili. Eusebio iniziava e terminava la carriera nel Benfica, così Cruijff nell’Ajax e Rivera nel Milan. Con la vendita dei diritti televisivi si è aperta la forbice tra i club di Paesi diversi. La Premier, per dire, fattura tre volte e mezzo il campionato italiano. Ecco perché lì vanno i giocatori migliori».
Nella medesima estate la serie A ha perso Donnarumma, Lukaku e Cristiano Ronaldo. Un impoverimento inaspettato?
«Mica si può dare la colpa ai dirigenti di Milan, Inter e Juventus. Nel 1990 quando terminò il primo contratto che Marco Van Basten aveva firmato con il Milan e il suo maestro Crujff lo chiamò a Barcellona ebbi la forza di proporgli un tale rinnovo da farlo restare. Ora che il Barcellona fattura quattro volte il Milan non sarei più in grado».
Quindi ora è molto più complesso agire in sede di trattative?
«Ma certo, le forze in campo sono molto differenti. All’epoca le proprietà non erano asiatiche o degli Emirati: le società erano di ricchi signori delle città di riferimento. La verità è che prima il campionato italiano era di arrivo, ora solo di passaggio».
Come si rimedia a questo ridimensionamento?
«Pazienza, si gioca con altri calciatori. Bisogna rassegnarsi alla fuga dei top nei campionati o nei club che hanno dimensioni economiche differenti. Del resto bisogna considerare un altro aspetto fondamentale nella questione dei diritti: si vendono nei Paesi dove si parla la stessa lingua del campionato di riferimento».
Il Milan avrebbe dovuto trattare in maniera diversa il rinnovo di Donnarumma?
«Sono stati bravi a trovare un altro portiere: ripeto, non ci sono più le condizioni per competere con certi club come il Psg. Io ho avuto la fortuna di avere alle spalle un azionista come Silvio Berlusconi e uno scenario di concorrenza completamente diverso. Potevo comprare i migliori del mondo, il 1 luglio del 2007 eravamo primi nel ranking della Uefa. Ora non sarebbe più possibile».
Un nuovo fenomeno sta prendendo piede: i giocatori che prima premevano per rinnovi infiniti ora spingono per arrivare a scadenza.
«Prima puntavano ad allungare il contratto perché nessun’altra società avrebbe garantito loro stipendi superiori e miravano a mettersi al riparo. Ai miei tempi nessuno dal Milan partiva a parametro zero, perché non esistevano club che con i soldi potevano mettere in crisi la loro fedeltà».
Colpa solo degli introiti da diritti tv?
«Certo che no. Sono anche gli stadi a segnare la differenza: mi chiedo come sia possibile che l’Italia, Paese di imprenditori, non riesca a costruire impianti di proprietà. Colpa loro? Non penso. Poi bisogna anche dire che siamo un Paese povero, con gli stipendi più bassi d’Europa. Mica riusciremmo a ottenere entrate da 6-7 milioni a partita come in Premier».
Come vede la corsa scudetto?
«Premesso che reputo un colpo di genio quello della Roma di arruolare Mourinho, credo che le milanesi, le romane, il Napoli, la Juventus e l’Atalanta sono in corsa per i primi sette posti. Poi con quale graduatoria non saprei».
Il mercato del Milan, mix di giovani di prospettiva e profili esperti come Giroud e Florenzi, le è piaciuto?
«Siccome resto un tifoso pazzo, spero che il Milan vinca il campionato».
La cessione di Lukaku al Chelsea in nome della sostenibilità economica ricorda le vendite sofferte di Ibrahimovic e Thiago Silva nel 2012?
«Assolutamente sì ma davanti a 115 milioni, come quelli offerti all’Inter dagli inglesi, come puoi opporti?».
Il suo amico Max Allegri è passato dall’essere il principale candidato allo scudetto all’assemblatore di una squadra in costruzione.
«Max è un grandissimo allenatore. Non so che situazione societaria ha trovato a Torino ma voglio ricordare che lì ha già vinto cinque scudetti e fatto due finali di Champions».
Balotelli fatica a esplodere anche in Turchia.
«Gli voglio molto bene ma anche a lui ho detto di nutrire il rimpianto che con le sue qualità tecniche avrebbe potuto fare molto di più».
Il Monza ha compiuto 109 anni di storia: cosa vorrebbe regalare per il prossimo compleanno?
«La promozione in A, sfumata lo scorso campionato per un solo gol. Un mare di città lombarde sono state almeno una volta nella storia nel massimo campionato. Speriamo di portarci il Monza, anche se in questa stagione la concorrenza è più nutrita».
Perché ha declinato l’invito alla candidatura a sindaco di Milano e poi a quella di capolista di Forza Italia alle amministrative?
«Non rispondo: questa è un’intervista che riguarda il mercato. Calcistico, non politico».
CorSera
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