La crisi di Suning e il declino della “Cina da bere”: che cosa succede ora all’Inter?
Una delle foto più famose della “Cina da bere” è probabilmente quella che ritrae i due padroni del calcio brindare con un bicchiere di baiju. Da una parte c’era Hui Ka Yan, già l’uomo più ricco del Paese, che, tra le mille attività di Evergrande, la più grossa società immobiliare del pianeta, vantava anche la sponsorizzazione dell’Evergrande Guangzhou, allenato da Fabio Cannavaro. Dall’altra Zhang Jindong, il re delle vendite di elettrodomestici, patron dell’Inter fresca di scudetto e dello Jiangsu, il club che ha infranto l’egemonia dello stesso Guangzhou e conquistato il titolo nazionale. Sembra una foto dell’Italia degli anni ’60 o ‘70, quando i grandi del business del miracolo economico si sfidavano sui campi di calcio.
Stavolta, poi, la sfida non era solo una questione di prestigio. Il boom del calcio obbediva a un preciso mandato politico: il presidente Xi Jingping, grande appassionato di pallone, vorrebbe portare in Cina i Mondiali del 2030. Di qui la necessità di investire, in patria e fuori, per consolidare i legami con il calcio che conta. Insomma, investire nei club era un modo sicuro per guadagnare il gradimento del leader supremo. O no?
La crisi di Suning
Quella foto, scattata nel 2017, racconta una favola finita nella polvere. Da martedì 15 giugno il titolo di Suning è sospeso sine die dalle contrattazioni alla Borsa di Shenzhen. La decisione è stata presa dalle autorità di mercato dopo che il tribunale di Pechino ha ordinato il sequestro del 5,8% del capitale detenuto da Zhang – il cui patrimonio è stimato da Forbes in 6,6 miliardi di dollari – a garanzia dei creditori. Prima della sospensione, il titolo aveva perso oltre il 10% nella mattinata. E la voragine sembra senza fine: non è bastato cedere una parte del gruppo a due finanziarie pubbliche per 2,3 miliardi di dollari (ma a un prezzo inferiore del 70% rispetto ai prezzi del 2015) per mettere in sicurezza la casa madre, che entro l’anno dovrà far fronte a scadenze per 2,45 miliardi. La punta di un iceberg da oltre 6,6 miliardi, di cui due terzi in obbligazioni a breve, su un’esposizione complessiva per 30 miliardi.
Tramontano così i sogni di gloria sportiva del gruppo che fu il fiore all’occhiello dello Jiangsu, la regione ove oggi primeggia JD.com, il colosso internet che oggi vale tre volte il fatturato di Suning. La prima ritirata, nello scorso settembre, ha riguardato Pptv, il network che si era assicurato l’esclusiva dei diritti di trasmissione della Premier League per 700 milioni di dollari. Ma la partita decisiva, ovviamente, si gioca attorno all’Inter. Il presidente del club, Steven Zhang, figlio del tycoon, ha garantito al sindaco di Milano, Beppe Sala, che Suning non intende cedere il controllo dei campioni d’Italia. “Zhang mi ha detto che non ha intenzione di mollare e mi ha garantito che la famiglia resterà alla guida dell’Inter”, ha assicurato Sala. Ma non sarà facile far fronte alle pressioni dei mercati finanziari.
I conti dell’Inter
Il prestito da 275 milioni elargito dal fondo Oaktree (noto per lucrare alti interessi da debitori a rischio; in questo caso, il 9% annuo, pari a 72 milioni nel triennio) è servito a coprire le esigenze più immediate, i buchi contabili del recente passato. Tra tre anni saranno necessari 340 milioni circa, tra capitale e interessi, per evitare di cedere il 68% dell’Inter detenuto da Great Horizon (interamente a garanzia del debito). Ma gli esami non finiscono qui: entro dicembre 2022 l’Inter dovrà far fronte a due bond da 375 milioni totali. In tutto, almeno 700 milioni che difficilmente potranno uscire dalla casa madre cinese. Insomma, al di là dei propositi dichiarati dalla famiglia Zhang, è possibile, se non probabile, lo scenario B: Inter in vendita per una cifra attorno agli 800 milioni (comprensivi dei debiti), passando da OakTree secondo lo schema Elliott/Milan. Difficile, salvo l’ennesimo miracolo dell’ad Beppe Marotta, conciliare questa strategia con il rafforzamento della squadra.
Ma a che si deve la crisi di quello che appariva un gruppo più che solido, forte di 16 mila punti vendita e un quasi-monopolio per gli elettrodomestici nelle città chiave dello sviluppo cinese? Caixin, la più autorevole rivista finanziaria cinese, ha dedicato la copertina al declino di Suning. Il giornale descrive un ciclo perverso che ha portato a una grave crisi di liquidità. Per prima cosa, l’avanzata di Internet ha, in pratica, azzerato il valore della sterminata rete di vendita sul mercato interno, perché l’azienda non ha saputo reggere la concorrenza sui prezzi di Alibaba (che pure ha rilevato una quota del gruppo) o dei competitor online.
La strategia di Zhang
Invece di reagire con il taglio dei costi o la riduzione della rete di vendita, Zhang ha cercato la via d’uscita della diversificazione: non solo sport, ma anche una quota rilevante di China Unicorn e di Carrefour China, assieme ad altri accordi non particolarmente fortunati, condotti attraverso una rete di controllate quasi inestricabile. Quel che è peggio, però, è che, una volta prosciugate le casse, ha cercato di far squadra con i vecchi amici, magari contando su un occhio benevolo da parte di Xi, il presidente tifoso.
Di qui la risposta all’appello del proprietario di Evergrande, anche lui scivolato in acque tempestose assieme a un’altra potenza all’apparenza inaffondabile, la finanziaria Huarong, specializzata nell’acquisto di junk bond. Un gioco da ragazzi fino a ieri, perché Pechino, pur di garantirsi la fiducia delle controparti occidentali, ha impedito ogni fallimento, specie nell’area pubblica. Ma il clima è cambiato: l’impero di Hui Ka Yan, il signore del mattone, 21,9 miliardi di dollari di patrimonio secondo Forbes, vacilla sotto i colpi delle indagini delle autorità, che stanno rivelando una realtà da incubo, fatta di prestiti allegri ad amici e amici degli amici.
I debiti di Evergrande
I debiti di Evergrande, una mega-holding che si è allargata a molteplici attività, hanno superato i 120 miliardi di dollari. Per ora, perché ogni giorno saltano fuori novità imbarazzanti: la Evergrande New Energy Vehicle, la controllata dedicata all’auto elettrica, è salita quest’anno dell’81% all’astronomica quotazione di 63 miliardi di dollari (più di Stellantis). La produzione? Zero. L’azienda non ha ancora sfornato un solo pezzo, ma questo non ha impedito a un gruppo di investitori di spingere il prezzo alle stelle con operazioni di vario genere ai limiti della legalità (o, forse, oltre).
Le indagini hanno permesso di scoprire che gli investitori altro non erano che parenti o soci d’affari del boss, prima fra tutte la moglie di un proprietario di case da gioco di Macao. Messo alle strette, il patron di Evergrande ha fatto appello a un gruppo di investitori, tra cui Suning, per investire in Hengda, garantendo forti dividendi.Evergrande ha raccolto 130 miliardi di yuan (circa 16,65 miliardi di euro) con la promessa che, nel caso in cui l’affare non si fosse materializzato, gli investimenti sarebbero stati ripagati entro marzo 2021. Cosa che non è avvenuta, complice il veto della Borsa a quotare la società immobiliare. Zhang è rimasto con il cerino in mano, cioè con quasi 3 miliardi di cambiali.
La linea di Xi
Vista la crisi dei grandi gruppi cinesi del real estate, oberati da debiti miliardari, non si vede una luce in fondo al tunnel. O, tantomeno, la benevolenza del presidente Xi, per niente intenerito dalla comune passione calcistica. ”Xi Jingping resta un grande appassionato – spiega il sinologo dell’Università di Nottingham Jonathan Sullivan – Così come resta intatto il sogno di portare il grande calcio in Cina. Ma il presidente non ha alcuna fiducia nel ruolo dei grandi miliardari”. E per quel che riguarda i Mondiali, il presidente è convinto che buona parte delle federazioni di Asia, Africa e America Latina si schiereranno con la Cina, che ha garantito i finanziamenti della Via della Seta.
Insomma, corrono brutti tempi per Zhang, cui restano poche carte da giocare. A partire dalla vendita della catena logistica, una delle più importanti della Cina. Oppure sfruttare a fondo l’online, che è stata una delle cause della crisi. La stessa piattaforma di e-commerce di Suning ha annunciato partnership con oltre cento costruttori per l’offerta online di circa cinquecento case, messe in vendita con sconti tra il 30% e il 50%. Magari Zhang convincerà Lukaku a farsi pagare con bilocali a Shanghai o Suzhou.
Una delle foto più famose della “Cina da bere” è probabilmente quella che ritrae i due padroni del calcio brindare con un bicchiere di baiju. Da una parte c’era Hui Ka Yan, già l’uomo più ricco del Paese, che, tra le mille attività di Evergrande, la più grossa società immobiliare del pianeta, vantava anche la sponsorizzazione dell’Evergrande Guangzhou, allenato da Fabio Cannavaro. Dall’altra Zhang Jindong, il re delle vendite di elettrodomestici, patron dell’Inter fresca di scudetto e dello Jiangsu, il club che ha infranto l’egemonia dello stesso Guangzhou e conquistato il titolo nazionale. Sembra una foto dell’Italia degli anni ’60 o ‘70, quando i grandi del business del miracolo economico si sfidavano sui campi di calcio.
Stavolta, poi, la sfida non era solo una questione di prestigio. Il boom del calcio obbediva a un preciso mandato politico: il presidente Xi Jingping, grande appassionato di pallone, vorrebbe portare in Cina i Mondiali del 2030. Di qui la necessità di investire, in patria e fuori, per consolidare i legami con il calcio che conta. Insomma, investire nei club era un modo sicuro per guadagnare il gradimento del leader supremo. O no?
La crisi di Suning
Quella foto, scattata nel 2017, racconta una favola finita nella polvere. Da martedì 15 giugno il titolo di Suning è sospeso sine die dalle contrattazioni alla Borsa di Shenzhen. La decisione è stata presa dalle autorità di mercato dopo che il tribunale di Pechino ha ordinato il sequestro del 5,8% del capitale detenuto da Zhang – il cui patrimonio è stimato da Forbes in 6,6 miliardi di dollari – a garanzia dei creditori. Prima della sospensione, il titolo aveva perso oltre il 10% nella mattinata. E la voragine sembra senza fine: non è bastato cedere una parte del gruppo a due finanziarie pubbliche per 2,3 miliardi di dollari (ma a un prezzo inferiore del 70% rispetto ai prezzi del 2015) per mettere in sicurezza la casa madre, che entro l’anno dovrà far fronte a scadenze per 2,45 miliardi. La punta di un iceberg da oltre 6,6 miliardi, di cui due terzi in obbligazioni a breve, su un’esposizione complessiva per 30 miliardi.
Tramontano così i sogni di gloria sportiva del gruppo che fu il fiore all’occhiello dello Jiangsu, la regione ove oggi primeggia JD.com, il colosso internet che oggi vale tre volte il fatturato di Suning. La prima ritirata, nello scorso settembre, ha riguardato Pptv, il network che si era assicurato l’esclusiva dei diritti di trasmissione della Premier League per 700 milioni di dollari. Ma la partita decisiva, ovviamente, si gioca attorno all’Inter. Il presidente del club, Steven Zhang, figlio del tycoon, ha garantito al sindaco di Milano, Beppe Sala, che Suning non intende cedere il controllo dei campioni d’Italia. “Zhang mi ha detto che non ha intenzione di mollare e mi ha garantito che la famiglia resterà alla guida dell’Inter”, ha assicurato Sala. Ma non sarà facile far fronte alle pressioni dei mercati finanziari.
I conti dell’Inter
Il prestito da 275 milioni elargito dal fondo Oaktree (noto per lucrare alti interessi da debitori a rischio; in questo caso, il 9% annuo, pari a 72 milioni nel triennio) è servito a coprire le esigenze più immediate, i buchi contabili del recente passato. Tra tre anni saranno necessari 340 milioni circa, tra capitale e interessi, per evitare di cedere il 68% dell’Inter detenuto da Great Horizon (interamente a garanzia del debito). Ma gli esami non finiscono qui: entro dicembre 2022 l’Inter dovrà far fronte a due bond da 375 milioni totali. In tutto, almeno 700 milioni che difficilmente potranno uscire dalla casa madre cinese. Insomma, al di là dei propositi dichiarati dalla famiglia Zhang, è possibile, se non probabile, lo scenario B: Inter in vendita per una cifra attorno agli 800 milioni (comprensivi dei debiti), passando da OakTree secondo lo schema Elliott/Milan. Difficile, salvo l’ennesimo miracolo dell’ad Beppe Marotta, conciliare questa strategia con il rafforzamento della squadra.
Ma a che si deve la crisi di quello che appariva un gruppo più che solido, forte di 16 mila punti vendita e un quasi-monopolio per gli elettrodomestici nelle città chiave dello sviluppo cinese? Caixin, la più autorevole rivista finanziaria cinese, ha dedicato la copertina al declino di Suning. Il giornale descrive un ciclo perverso che ha portato a una grave crisi di liquidità. Per prima cosa, l’avanzata di Internet ha, in pratica, azzerato il valore della sterminata rete di vendita sul mercato interno, perché l’azienda non ha saputo reggere la concorrenza sui prezzi di Alibaba (che pure ha rilevato una quota del gruppo) o dei competitor online.
La strategia di Zhang
Invece di reagire con il taglio dei costi o la riduzione della rete di vendita, Zhang ha cercato la via d’uscita della diversificazione: non solo sport, ma anche una quota rilevante di China Unicorn e di Carrefour China, assieme ad altri accordi non particolarmente fortunati, condotti attraverso una rete di controllate quasi inestricabile. Quel che è peggio, però, è che, una volta prosciugate le casse, ha cercato di far squadra con i vecchi amici, magari contando su un occhio benevolo da parte di Xi, il presidente tifoso.
Di qui la risposta all’appello del proprietario di Evergrande, anche lui scivolato in acque tempestose assieme a un’altra potenza all’apparenza inaffondabile, la finanziaria Huarong, specializzata nell’acquisto di junk bond. Un gioco da ragazzi fino a ieri, perché Pechino, pur di garantirsi la fiducia delle controparti occidentali, ha impedito ogni fallimento, specie nell’area pubblica. Ma il clima è cambiato: l’impero di Hui Ka Yan, il signore del mattone, 21,9 miliardi di dollari di patrimonio secondo Forbes, vacilla sotto i colpi delle indagini delle autorità, che stanno rivelando una realtà da incubo, fatta di prestiti allegri ad amici e amici degli amici.
I debiti di Evergrande
I debiti di Evergrande, una mega-holding che si è allargata a molteplici attività, hanno superato i 120 miliardi di dollari. Per ora, perché ogni giorno saltano fuori novità imbarazzanti: la Evergrande New Energy Vehicle, la controllata dedicata all’auto elettrica, è salita quest’anno dell’81% all’astronomica quotazione di 63 miliardi di dollari (più di Stellantis). La produzione? Zero. L’azienda non ha ancora sfornato un solo pezzo, ma questo non ha impedito a un gruppo di investitori di spingere il prezzo alle stelle con operazioni di vario genere ai limiti della legalità (o, forse, oltre).
Le indagini hanno permesso di scoprire che gli investitori altro non erano che parenti o soci d’affari del boss, prima fra tutte la moglie di un proprietario di case da gioco di Macao. Messo alle strette, il patron di Evergrande ha fatto appello a un gruppo di investitori, tra cui Suning, per investire in Hengda, garantendo forti dividendi.Evergrande ha raccolto 130 miliardi di yuan (circa 16,65 miliardi di euro) con la promessa che, nel caso in cui l’affare non si fosse materializzato, gli investimenti sarebbero stati ripagati entro marzo 2021. Cosa che non è avvenuta, complice il veto della Borsa a quotare la società immobiliare. Zhang è rimasto con il cerino in mano, cioè con quasi 3 miliardi di cambiali.
La linea di Xi
Vista la crisi dei grandi gruppi cinesi del real estate, oberati da debiti miliardari, non si vede una luce in fondo al tunnel. O, tantomeno, la benevolenza del presidente Xi, per niente intenerito dalla comune passione calcistica. ”Xi Jingping resta un grande appassionato – spiega il sinologo dell’Università di Nottingham Jonathan Sullivan – Così come resta intatto il sogno di portare il grande calcio in Cina. Ma il presidente non ha alcuna fiducia nel ruolo dei grandi miliardari”. E per quel che riguarda i Mondiali, il presidente è convinto che buona parte delle federazioni di Asia, Africa e America Latina si schiereranno con la Cina, che ha garantito i finanziamenti della Via della Seta.
Insomma, corrono brutti tempi per Zhang, cui restano poche carte da giocare. A partire dalla vendita della catena logistica, una delle più importanti della Cina. Oppure sfruttare a fondo l’online, che è stata una delle cause della crisi. La stessa piattaforma di e-commerce di Suning ha annunciato partnership con oltre cento costruttori per l’offerta online di circa cinquecento case, messe in vendita con sconti tra il 30% e il 50%. Magari Zhang convincerà Lukaku a farsi pagare con bilocali a Shanghai o Suzhou.
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