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Ma cosa catso c'entra? Se Donnarumma tornera' al Milan tra 20 anni...Di certo non lo accoglierò a braccia aperte. E per me il calcio di sicuro non e' la vita.
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I SUOI goals:
-Serie A: 189
-Serie B: 6
-Super League: 5
-Coppa Italia: 13
-Chinese FA Cup: 1
-Coppa UEFA: 5
-Champions League: 13
-Nazionale Under 21: 19
-Nazionale: 19
TOTALE: 270
Addio a Giampiero Boniperti, molto più di un pezzo di storia della Juventus o del calcio italiano. Faceva parte della storia del costume italiano. Grande attaccante, una vita intera in bianconero, da calciatore fino a diventare il presidente più amato dagli juventini. Un pilastro della storia del calcio, è stato tra gli inventori e i creatori del mito del calcio degli anni 70 e 80, fatto di campioni indimenticabili, da Platini a Maradona. Se abbiamo avuto la più straordinaria epoca d’oro del football si deve a personaggi come lui che hanno riversato nel calcio tutto: passione, rabbia, soldi, amore, potere, tutto. Nessuno ci ridarà più gli epici scontri verbali tra Boniperti, Viola, Prisco, Ferlaino e tanti altri. Se ne è andato a 93 anni l’uomo, si moltiplica il mito.
Giampiero Boniperti era una leggenda, non solo della Juventus, ma dell’intero calcio italiano. E siccome il calcio è una parte importante del costume italiano, è come se all’improvviso l’era di cui faceva parte diventi storia. Non sto qui a ripetervi l’uomo, la sua storia, il simbolo, il campione e l’enorme dirigente che Boniperti è stato. Dico solo che Boniperti era, ed è ancora – perché se ne è andato il corpo, ma anzi il mito si è accresciuto – un pilastro del calcio italiano. Visto che lo sport e il calcio di oggi affondano le radici nello sport e nel calcio di ieri, senza non potrebbero vivere. Semplicemente il calcio di oggi non esisterebbe se trenta, quaranta, sessanta fa non ci fossero stati i pionieri come Boniperti. E tanti altri prima di lui, ovvio.
Boniperti è stato uno di quegli uomini che ha fortemente “personificato” il calcio. E’ diventato presto un partito, ha personalizzato il calcio, ha fatto dei duelli feroci con i difensori (lui era un formidabile uomo d’attacco), un sistema di vita e governo eterno. Il calcio degli anni 70 e 80 rimarrà sempre nei nostri cuori perché Boniperti è tra quelli che lo ha immaginato, costruito, fortifificato, portando in Italia campioni meravigliosi, innescando sfide indimenticabili con altri grandi dirigenti e altre grandi squadre. Boniperti è tra gli inventori di quell’epoca d’oro.
Se abbiamo avuto il calcio dei Platini e dei Maradona (che aveva provato a portare alla Juve prima del Napoli), dei Falcao e dei Van Basten, dei Rummenigge e di Batistuta è perché grandi attori come Boniperti hanno riversato nel calcio tutto quello che avevano dentro: passione, rabbia, amore, forza, soldi, potere, filosofia, tutto. Nessuno ci ridarà mai più il calcio utopico e meraviglioso dei Boniperti, Dino Viola, Peppino Prisco,Ferlaino, Moratti, Rizzoli fino a Berlusconi. Un calcio che era una sfida eterna, continua, dal campo alle scrivanie, fino ai microfoni sempre protesi verso i loro volti. “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta” non era una frase sua, ma lui la lanciò sul mondo del calcio italiano, fino a farlo diventare uno slogan. Talvolta un po’ ossessivo. E’ andato via Boniperti all’età di 93 anni: passato un certo tempo, tutti pensiamo che possa anche non accadere mai. Resta tutto quello che ha fatto.
Giampiero Boniperti era una leggenda, non solo della Juventus, ma dell'intero calcio italiano. E siccome il calcio è una parte importante del costume italiano, è come se all'improvviso l'era di cui faceva parte diventi storia. Non sto qui a ripetervi l'uomo, la sua storia, il simbolo, il campione e l'enorme dirigente che Boniperti è stato. Dico solo che Boniperti era, ed è ancora - perché se ne è andato il corpo, ma anzi il mito si è accresciuto - un pilastro del calcio italiano. Visto che lo sport e il calcio di oggi affondano le radici nello sport e nel calcio di ieri, senza non potrebbero vivere. Semplicemente il calcio di oggi non esisterebbe se trenta, quaranta, sessanta fa non ci fossero stati i pionieri come Boniperti. E tanti altri prima di lui, ovvio. Boniperti è stato uno di quegli uomini che ha fortemente "personificato" il calcio. E' diventato presto un partito, ha personalizzato il calcio, ha fatto dei duelli feroci con i difensori (lui era un formidabile uomo d'attacco),
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Boniperti morto, Sconcerti: il miglior giocatore degli anni 50, dirigente pignolo e ingombrante
Fu un grande centravanti. Da dirigente chiamò la Panini per chiedere che riconoscessero i diritti per il gol rovesciata di Parola. Era abituato a chiudere i contratti in un pomeriggio; quando vide due agenti capì che il calcio era cambiato
Ma ai suoi addendi manca il totale e quello dice che fu un grande centravanti. Era abbastanza alto per i tempi, 1,75, aveva un fisico compatto. Non spaventava i difensori, ma ne anticipava gli sbagli. Ha debuttato talmente giovane che quando si trovò contro la Triestina, Memo Trevisan, una pasta d’uomo ma burbero, gli gridò «cosa fai Puparìn nella mia area di rigore, torna nella tua». E il ragazzo Boniperti tornò nell’area della Juve. Dove trovò Parola che gli gridò ancora: «Va lassù falabrac (lazzarone)».
Boniperti aveva stacco, tecnica, forza, ma anche tempo nella paura. Una volta, contro il Padova di Nereo Rocco, in piena area vide arrivare un pallone dalla destra che sembrava buono. Il problema era che si era già mosso su di lui Scagnellato, difensore duro. Boniperti vide la montagna arrivargli addosso e reagì d’istinto, non si mosse. Nel frattempo alle sue spalle si era messo in movimento anche Azzini in rovesciata per anticiparlo. Il risultato fu che Azzini finì con un calcio sulla faccia di Scagnellato e con la palla tra i piedi di Boniperti che non si era mosso. E fu gol.
Sulle rovesciata c’è una storia bellissima che riguarda il suo grande amico Parola. Ricordate la figurina Panini diventata icona, quella in cui Parola vola compiendo un’incredibile rovesciata? Dopo anni di uso di quell’immagine, l’imprenditore che era dentro Boniperti aveva fatto i conti e non sopportava più l’insulto commerciale. Cercò l’editore Panini, lo trovò e gli chiese: «Si rende conto quanti soldi lei deve a Parola per lo sfruttamento di quella foto?». Panini ci pensò. Pochi mesi dopo alla famiglia Parola arrivò un assegno da cento milioni.
Nella Juve giocò centravanti fino al 1957, da qualche tempo segnava meno, la Juve aveva deciso di rinnovarsi. Arrivarono Charles e Sivori. Charles era il giocatore più alto che la Juve avesse mai avuto. Quando arrivò fu portato a casa del capitano Boniperti per una prima conoscenza. Boniperti rimase stupito dal fisico di Charles. Lo guardò per qualche minuto poi gli disse: «Quando salti ricordati sempre di allargare i gomiti. Li butti tutti a terra come birilli…».
Con la Juve Boniperti ha vinto 14 campionati. Fu poi un presidente pignolo, intrigante, a volte ingombrante perché si occupava di tutto, anche degli spazi di gioco. A Trapattoni chiese perché Di Livio e Marocchi giocavano così vicini: non era meglio che ognuno tenesse il proprio spazio? Il Trap disse: «Presidente, stanno vicini perché così dal centro non passa nessuno, al massimo vanno sulla fascia e lì li prendiamo dieci metri dopo». Boniperti rimase colpito, capì che il calcio era cambiato.
Il suo tempo svoltò con il Mondiale del 1982. Era abituato a risolvere l’aggiornamento dei contratti in un pomeriggio. La sua stanza di venti metri quadri sempre piena del fumo di sigarette e un contratto già compilato sulla scrivania dove mancava solo la firma del giocatore. Si entrava, si cercava di discutere, lui guardava, chiedeva, dava improvvisamente del lei: «Sa dove si trova? Con chi gioca? Firmi, grazie». E fuori dalla porta c’era il suo assistente Giuliano a ributtare dentro chi se ne andava arrabbiato. Nell’estate dell’82 la Juve aveva però due suoi campioni del mondo che si presentarono con l’agente. Era cominciato un altro calcio. Boniperti lo capì subito, ma non lo accettò mai.
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Boniperti morto, Cabrini: «Conosceva i giocatori e li voleva sposati»
L’ex juventino ricorda il suo vecchio presidente: «Sbagliava pochissimi acquisti. Un duro? Le sue famose trattative lasciavano tutti soddisfatti, alla fine».
Antonio Cabrini, c’è una bella foto di lei, Brady e Boniperti in accappatoio, dopo la festa per lo scudetto ’81. Lo avevate gettato in vasca?
«Probabilmente sì: non era così raro che Boniperti si lasciasse andare, perché da ex grande calciatore è sempre stato vicino allo spirito dello spogliatoio. Questo gli ha sempre fatto interpretare il suo ruolo nel modo giusto».
Qual era il segreto della grande Juve di Boniperti, costruita negli anni 70?
«La competenza: aveva giocato più di quattrocento partite ad alto livello, sapeva riconoscere le qualità di un calciatore e anche quella dei propri collaboratori più stretti. Sbagliava pochissimi acquisti».
Era un duro o era capace di comprendere le persone?
«Non era duro. Conosceva l’ambiente, sapeva valutare i momenti con grande attenzione. Il fatto di essere sempre molto vicino alla squadra lo aiutava molto».
Trapattoni ha ammesso che i suggerimenti di Boniperti gli erano utili anche nelle scelte di formazione.
«Non mi stupisce, perché Trapattoni arrivò alla Juventus molto giovane e avere un presidente così è stato un grosso aiuto, soprattutto all’inizio».
Le famose trattative con lui per il reingaggio erano così spietate come si dice?«No, più che altro erano molto rapide. Però alla fine erano tutti soddisfatti, sia da una parte che dall’altra».
Lei è stato fin da subito il «Bell’Antonio»: che ne pensava del consiglio di sposarsi presto, uno dei capisaldi del «bonipertismo»?
«Dopo anni, ha ammesso di aver commesso un grande errore ad aver fatto sposare molti giocatori troppo presto: il novanta per cento di quei matrimoni sono falliti».
La sua necessità era quella di avere giocatori tranquilli sentimentalmente?
«Sì, ma probabilmente i tempi stavano cambiando».
Anastasi fu mandato a tagliarsi i capelli prima della presentazione. Lei è stato mai mandato dal barbiere?
«No, li ho sempre tenuti così: non erano così lunghi».
La juventinità di Boniperti in cosa consisteva?
«Nel Dna vincente. La sua maggior dote era quella di insegnarti e farti capire cosa vuol dire essere della Juve: è essere vincenti».
L’ha mai visto furibondo per una sconfitta?
«No, ma molto teso sì. Però perdevamo poche volte».
La frase «vincere non è importante, è l’unica cosa che conta» a volte viene considerata poco sportiva: qual è il vero significato?
«Chi la intende in questo modo, non capisce e non sa come era fatto Boniperti. La sconfitta per lui era un fallimento. E questo modo di pensare l0 trasmetteva a tutti i calciatori».
CorSera
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«nessun vincolo univa questi morti
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Platini: "Forte e freddo, se un grande giocatore non era più utile non si faceva scrupoli"
"Boniperti era la Juventus, soprattutto la sua Juventus, era l'uomo azienda, cercava di avere dentro la squadra soltanto gente capace di vincere", le parole di Michel Platini. "Non aveva sentimenti particolari, simpatie o empatie, se si rendeva conto che giocatori anche grandi non erano più utili, nonostante la loro leggenda non si faceva scrupoli. Era un uomo forte e molto freddo, ma capace di accendersi per situazioni di gioco, di vigilia e post partita".
Repubblica
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Boniperti, Aldo Serena: "Leale e corretto, per lui avrei fatto di tutto"
L'attaccante ha giocato dal 1985 al 1987 con la Juve: "Quando entrava nello spogliatoio se giocavamo male prendeva posizione, non le mandava a dire se vedeva che qualcuno non si impegnava"
Aldo Serena ha giocato nella Juventus per due stagioni, dal 1985 al 1987. Abbastanza per conoscere e apprezzare il presidente Boniperti, scomparso questa notte a 92 anni, nel periodo migliore della sua reggenza. Una persona "leale", da cui il centravanti ha imparato molto sia in termini calcistici che umani.
Aldo Serena, cosa le piace ricordare di Giampiero Boniperti?
"Ho un ricordo di una persona leale, corretta, che mi ha insegnato prima di tutto a comportarmi. Per quello che ha fatto con me, se mi avesse chiesto di dare una testata contro il muro l'avrei fatto. Mi ha reso partecipe di un progetto, di un gruppo, di una famiglia: mi ha spronato a dare il massimo, non ho mai lesinato l'impegno e l'ho fatto con entusiasmo spinto anche dalle sue parole".
Com'era come presidente?
"Io con lui non ho mai discusso un contratto con lui, ero in prestito biennale dall'Inter. Non ho parlato di denari con lui ma di tutt'altro".
Ad esempio?
"Lui sapeva che io in campo davo tutto. Mi ricordo in un Inter-Juve finito 0-0 a San Siro, che ho giocato con la maglia bianconera, non avevamo quasi mai tirato in porta. Fu una partita fallosa e io ce l'avevo messa tutta, anche se il cartellino era di proprietà dell'Inter, ma non avevo mai tirato in porta. Il giorno dopo la segretaria mi chiamò dicendo che il presidente voleva parlare con me e io iniziai a pensare alla mia prestazione, credevo mi rimproverasse. Quando entrai mi guardò e mi disse: "Volevo dirti solo una cosa, se giochi con questa grinta anche se non fai gol per me va benissimo". Dopo quello avrebbe potuto chiedermi qualunque cosa, aveva capito che mi sarei potuto demoralizzare per i voti e per la prestazione e mi rincuorò".
Un presidente carismatico...
"Quando entrava nello spogliatoio se giocavamo male prendeva posizione. Mi ricordo un primo tempo a Firenze, un altro a Udine: lui entrava in spogliatoio e non le mandava a dire se vedeva che qualcuno non si impegnava, e lo diceva davanti a tutti. Era deciso e concreto ma giusto, e questo ti rende credibile".
La aiutò anche calcisticamente?
"Gli sono grato perché quando venne nominato delegato per Italia '90, e io ero in ballottaggio per la convocazione, so che lui spese delle parole per me e quando ho segnato ho pensato che in parte avevo ripagato la sua stima".
Quando l'ha sentito l'ultima volta?
"Tanto tempo fa, si era ritirato a vita privata. Ma è stata una persona importante".
Era anche un gran comunicatore?
"Parlava con frasi brevi e una volta mi disse durante un ritiro "Aldo, quando parli in pubblico usa frasi corte non tanto lunghe. Spiega il concetto con quattro parole che se poi ti allunghi rischi di ingarbugliarti e di dare all'altro la possibilità di contestarti". Dava delle perle di saggezza in ritiro che io ho sempre tenuto da conto, dietro c'era un'esperienza forte che aveva maturato in campo e fuori".
La sua frase più famosa è "Vincere non è importante, ma è l'unica cosa che conta". Si riferiva all'impegno?
"Certo, era proprio quello. Bisogna accettare la sconfitta ma dare il massimo per evitarla. Soprattutto lui aveva questa grande capacità di farti sentire forte. Si ricorda la frase di Mourinho sul rumore dei nemici? Lui ci faceva capire con frasi e slogan che noi eravamo accerchiati e quindi era necessario essere uniti. Più saremmo stati uniti più gli avversari avrebbero cercato di batterci. E noi avremmo dovuto essere ancora più uniti".
Un pezzo di calcio romantico che se ne va...
"Lui era un calciatore splendido nel periodo pionieristico. Il calcio è cambiato, oggi segue il mondo, per chi ha la mia età può esserci nostalgia ma il mondo muta, è dei giovani e lo porteranno nella direzione che ritengono giusta. Spero non accettino tutto quello che arriva e che abbiano anche la voglia di ribellarsi ad alcune scelte, senza dimenticare le buone maniere e qualche consiglio. Due aspetti, tra i tanti, che mi ricordano Boniperti".
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...E potremmo continuare nella rassegna dedicata alla morte di Boniperti, ma non è a noi che dovrebbero essere rivolti quegli articoli e quelle interviste ma ai dirigenti e ai giocatori odierni, perchè Boniperti è stato la Divina Commedia del calcio, e basterebbe leggere e seguire quello che ha fatto e quello che ha detto per avere in mano il manuale di "come si fa" - a condurre una squadra, un club, uno spogliatoio. Come si fa a vincere.
L'ultimo gigante.
Ha incarnato i principi e gli arcani del calcio e del successo, ma il suo esempio resta lettera morta per tanti, troppi suoi "colleghi" e tanti, troppi club e tanto, troppo calcio. Credo ci sia, in fondo, una impossibilità ontologica, da parte di alcuni, nel poter riconoscere o replicare la grandezza: d'altro canto, se fosse così facile, questa grandezza non sarebbe per i pochi ma per i tanti, non sarebbe cosa rara ma comune, non sarebbe un diamante ma un pezzo di vetro alla portata di tutti.
L'eredità che lascia è però immensa e ancora oggi fondante, se ci fosse la voglia di andare a coglierla, di carpirne i segreti. Una univerità del calcio. Ma ci si crede arrivati fin da subito, si manca di umiltà, si pensa di sapere già tutto e di non avere bisogno di maestri, e i risultati infatti si vedono.
Meglio così. La vittoria in fondo è affare di pochi.
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Mourinho lancia la sfida: "Roma la mia mission impossible"
Il tecnico a Gq portogallo: "Il primo contatto con i giallorossi il pomeriggio dell'esonero dal Tottenham. I Friedkin mi hanno colpito, avevano bisogno di una persona di esperienza. Per vincere la strada è lunga, se alleni il Belenenses aver successo non significa vincere"
“Il Tottenham mi ha mandato via la mattina, il pomeriggio avevo già avuto il primo contatto con la Roma, fu quasi istantaneo”. Così José Mourinho racconta l’alba del corteggiamento che lo ha portato a scegliere di ripartire dall’Italia, dallo stadio Olimpico. A ben vedere, la prima vera immersione nel futuro, con la Roma al centro di ogni discorso. Ma anche una provocazione: “Vado incontro a una nuova mission impossible”.
Ai Friedkin serviva l’aiuto di qualcuno con esperienza
Mourinho spiega intanto perché abbia scelto la Roma in così poco tempo, dopo la rottura con gli Spurs: “Mi hanno voluto fortemente. Ho già sentito fino in fondo negli anni che ho passato in Italia la passione degli italiani quando si parla di calcio. E in modo più specifico a Roma, un club che ha passato quasi 20 anni senza vincere un trofeo. Ha nuovi proprietari, che hanno avuto un approccio molto umile, nel modo in cui hanno riconosciuto che in un nuovo capitolo della loro straordinaria vita professionale avevano bisogno di un aiuto da qualcuno con una esperienza importante. Sono stati straordinariamente diretti, onesti, e mi hanno fatto sentire immediatamente la mia passione che ho per questo lavoro. Non ho dovuto pensarci molto, perché mi hanno veramente colpito col loro approccio. Mi piacciono molto”.
Tratto in errore in modo disonesto
Più difficile per lui spiegare come si sia ritrovato in questa situazione: “A volte faccio errori. Non è sempre facile scegliere il progetto giusto: ho fatto errori, oppure sono stato tratto in errore in modo disonesto, per accettare cose che non avrei dovuto. Ma queste non sono parole mie, sono state dette da qualcuno molto più importante di me: “chi ha obiettivi e vuol raggiungerli, non invecchia mai”. E io ancora non posso credere di avere 30 anni di esperienza professionale, che ho 58 anni, perché non ho la sensazione di invecchiare, perché perseguo le mie motivazioni. E ultimamente ho scelto progetti molto diversi dal passato. Ho scelto il Manchester United quando era in una fase di transizione, per non dire di decadenza. Sono andato al Tottenham, e la sua storia non è una storia di successo”.
Roma? Una missione impossibile
E ora Roma. “Sì, ora Roma, con un nuovo management, nuova proprietà. Ho sentito immediatamente empatia con i proprietari, con il direttore generale, hanno riacceso subito il fuoco e la passione che ho per il mio lavoro. E ora vado incontro a un’altra missione impossibile. Dico impossibile perché la gente tende sempre a guardarmi negli occhi, e nei loro occhi leggo un solo modo di misurare il successo, ed è che io devo vincere. Ma è una strada lunga. Se andassi in Portogallo ad allenare il Belenenses o il Gil Vicente, non dovrei vincere per chiamarlo successo”.
Il tecnico a GQ Portogallo: "Il primo contatto con i giallorossi il pomeriggio dell'esonero dal Tottenham. I Friedkin mi hanno colpito, avevano bisogn…
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Ibrahimovic si opera al ginocchio, due mesi di stop: punta a tornare per la prima di campionato
L’attaccante del Milan sottoposto a una pulizia in artroscopia, 8 settimane prima di tornare a giocare. Maldini accelera sul mercato per Giroud dal Chelsea
CorSera
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Fiorentina, ufficiale la rottura con Gattuso. Club a caccia di un nuovo tecnico
Non è durato neanche un mese il matrimonio tra l'ex allenatore del Napoli e la società viola, alla base della separazione il mercato e la figura del potente procuratore Mendes
La separazione diventa ufficiale nella mattinata. "ACF Fiorentina e Mister Rino Gattuso, di comune accordo, hanno deciso di non dare seguito ai preventivi accordi e pertanto di non iniziare insieme la prossima stagione sportiva - si legge nella nota della Fiorentina - La Società si è messa immediatamente al lavoro per individuare una scelta tecnica che guidi la squadra Viola verso i risultati che la Fiorentina e la Città di Firenze meritano".
Un incredibile epilogo di una storia terminata sul nascere. Quella tra Gattuso, ex allenatore del Napoli, e la società di Rocco Commisso. Ventritrè giorni esatti da quel 25 maggio, quando la Fiorentina annunciava l'arrivo di un campione del mondo sulla sua panchina. Dopo due stagioni molto complicate, dove Iachini aveva portato la squadra alla salvezza e niente più. Neanche un mese e le strade si separano, al termine di giorni infuocati e che hanno come assoluti protagonisti, oltre alla Fiorentina, il potente procuratore Jorge Mendes. Agente anche di Gattuso.
Ma cosa è successo e come si è arrivati a un epilogo che ha davvero dell'incredibile? Tutto nasce dal mercato. Dalle strategie concordate con l'allenatore e la dirigenza. Servono rinforzi mirati per migliorare la squadra e renderla competitiva, ambiziosa. Gattuso individua alcuni profili e li sottopone al club viola. Fin qui tutto ok. La dirigenza parte sul mercato e avvia le trattative. Tra i giocatori richiesti tre sono assistiti da Mendes: gli esterni d'attacco Guedes e Corona, il centrocampista Sergio Oliveira. E' proprio su quest'ultimo che salta letteralmente il banco. La Fiorentina tratta, è in prima fila. Avanza l'offerta di 13 milioni ma il Porto alza la richiesta, arriva a 20. Troppi per i viola, così come eccessivi quei 3 milioni di ingaggio richiesti dal giocatori. La mediazione di Mendes, sollecitato dai viola, non arriva. La Fiorentina si infuria, non vuole sottostare alle imposizioni e alle ingerenze del procuratore portoghese. Salta tutto. Così come per Guedes e Corona.
Salta anche la trattativa che porta a Nicolas Gonzalez dello Stoccarda, non assistito da Mendes, ma altro vero obiettivo di mercato. Il Brighton lo sfila con una super offerta da 30 milioni e la Fiorentina così valuta altri profili. Gattuso cerca di capire, chiama i dirigenti, le linee sono infuocate. Si aspettava tutt'altro mercato, tutt'altra impostazione. E invece niente. La Fiorentina, tramite il presidente Commisso, ribatte che non si piegherà mai alle imposizioni di Mendes così come di qualsiasi altro procuratore che voglia speculare sui suoi assistiti. Gattuso si sfila.
Per giorni la trattativa sulla via d'uscita va avanti. Poi nella serata di ieri arriva l'atto finale. In mattinata la risoluzione di un contratto mai depositato in Lega. Soltanto due settimane fa Gattuso aveva visitato il centro sportivo e le strutture della Fiorentina, tra presente e futuro. Un primo abbraccio anche con Antognoni, bandiera della Fiorentina che adesso è sul punto di lasciare. Un terremoto a tutti gli effetti. I viola pensano a Garcia o Ranieri ma sono soltanto nomi. Tutto da rifare, tutto da ricostruire. Con Ribery e Vlahovic sullo sfondo in attesa, nell'estate più bollente per i tifosi viola.
Non è durato neanche un mese il matrimonio tra l'ex allenatore del Napoli e la società viola, alla base della separazione il mercato e la fig…
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Gattuso già condannato dai social. Ma Rino non è questo
di Enrico Currò
Quattro mesi fa al Napoli era totalmente incapace, roba da stracciargli il patentino da allenatore. Ieri alla Fiorentina è diventato un marchettaro e un violento, uno che fa affari col suo procuratore a spese del club e per di più insulta il presidente. Adesso a Londra è sessista e omofobo, immeritevole della panchina del Tottenham. La vicenda di Rino Gattuso è l'esempio perfetto del calcio al tempo dei social, il terreno ideale per l'odio a prescindere, per la condanna basata sul sentito dire, in nome del quale si emettono sentenze irrevocabili: la gogna londinese sul web gli è forse costata il posto che non aveva ancora preso, perché i tifosi in Inghilterra contano, in fondo sono stati loro a fermare la Superlega.
Fumo di Londra
Conviene partire da qui. A Londra si è appena sparsa la voce che Gattuso potrebbe allenare il Tottenham, del quale è da poco direttore sportivo l'ex dirigente juventino Fabio Paratici, e già sulla rete fioccano gli attacchi all'italian, mentre l'hashtag #NoToGattuso in pochi minuti si issa tra i quattro più di tendenza su Twitter nel Regno Unito. I tifosi degli Spurs esprimono indignazione per la trattativa con chi in passato "si è reso protagonista di commenti sessisti, omofobici e razzisti" e nella partita di Champions League del febbraio 2011 a San Siro, con la maglia del Milan, ha aggredito Joe Jordan, all'epoca viceallenatore del Tottenham. "Sarà interessante verificare come il presidente Levy reagirà a queste pressioni", commentano i giornalisti inglesi. Non bisogna aspettare troppo: la trattativa tramonta subito e con questa le illazioni sul cartello tra Jorge Mendes e Paratici, gli artefici dell'operazione Cristiano Ronaldo-Juventus, per obbligare Levy a ingaggiare Gattuso.
Le accuse fasulle
Peccato che i social abbiano filtrato le dichiarazioni e le notizie d'archivio come volevano, trasformandole in verità assolute. Gattuso ha aggredito Jordan durante quella partita? Sì, lo ha preso per il collo, le foto lo documentano. Peccato che pochi minuti dopo si sia presentato alla stampa e abbia, molto semplicemente e molto chiaramente, chiesto scusa: "Jordan mi ha provocato per tutto il secondo tempo, ma questo non giustifica la mia reazione. Ho fatto cose che non dovevo fare e me ne assumo la responsabilità. Se arriverà la squalifica, sarà giusta". La squalifica arriva: 5 giornate, fine della carriera di Rino in Champions. Ma lui non batte ciglio, sa che è giusto così. Gattuso ha fatto commenti omofobi? No. Nel 2008 disse queste parole: "Il matrimonio in chiesa dovrebbe essere tra uomo e donna, quello tra persone dello stesso sesso è strano. Ma siamo nel 2008 e tutti possono fare come vogliono". Gattuso ha fatto commenti sessisti? No: nel 2013, richiesto di una valutazione sull'ingresso di Barbara Berlusconi nel Milan, rispose che lui le donne nel calcio sinceramente non le vedeva, ma nel 2019 la sua prospettiva era certamente cambiata. Parlando di Carolina Morace, che allenava il Milan femminile mentre lui era sulla panchina dei maschi, disse: "Tre volte alla settimana parlo con lei, è molto preparata. Nel mondo del calcio ci sono tantissime donne che capiscono di calcio e quando parlo con Carolina è sempre un confronto aperto e interessante". Gattuso è razzista? Questa insinuazione, per uno abituato da una vita a sentirsi dare del terrone e che nelle sue squadre ha costruito alcuni dei rapporti più stretti con calciatori di ogni parte del mondo, è più che un'eresia.
Un caso di mercato
Il web e i social, però, sono da tempo il terreno perfetto per inquinare la realtà, senza verificare. Piccolo passo indietro, qualche ora prima. Gattuso e la Fiorentina si accordano consensualmente per divorziare senza essersi mai sposati. Troppi malintesi, conviene a tutte e due le parti: il tecnico può provare a cercare un'altra panchina prima che inizi la stagione, il club lo può sostituire in tempo. Accade due settimane dopo la visita a Firenze del futuro allenatore, che era stato fotografato con lo staff dirigenziale, col quale stava preparando stagione e mercato. Appunto, il mercato, il casus belli: l'allenatore non è soddisfatto, il patto non scritto prevedeva un rafforzamento della squadra, che lui non vede. I toni delle conversazioni si fanno vivaci. La vulgata, circolata subito sui social senza alcuna smentita e precisazione da parte della società, parla di accordo saltato perché il potente procuratore Jorge Mendes, rappresentante di Cristiano Ronaldo e anche di Rino, avrebbe chiesto alla Fiorentina commissioni altissime, rifiutate dal club, per portare calciatori suoi assistiti. Traduzione nient'affatto implicita: Gattuso faceva affari con Mendes e il presidente viola Commisso, indignato anche per una lite in cui l'allenatore avrebbe alzato troppo i toni, ha fatto saltare il banco. Peccato che la storia personale di Gattuso allenatore dica il contrario: mai un calciatore di Mendes fatto acquistare dai suoi presidenti, André Silva che di fatto lascia il Milan quando in panchina arriva lui, che le società ha sempre cercato di farle risparmiare: al Milan se n'è andato rinunciando allo stipendio residuo, al Pisa e all'Ofi Creta ha lavorato a lungo gratis, al Napoli non ha accettato il rinnovo del contratto perché le condizioni poste da De Laurentiis non lo convincevano.
Il lusso impossibile della sincerità
Ecco, il Napoli. Altro passo indietro. Insultato per mesi sui social come se fosse stato un dilettante, ha nuotato controcorrente fino a perdere la qualificazione Champions per un solo punto. De Laurentiis gli ha imposto il silenzio stampa, che ancora prosegue fino al 30 giugno, quando scadrà il contratto. Sorge a questo punto un dubbio, nel riguardare alcune tra le conferenze stampa e le interviste più recenti del dopo partita, quando ancora Rino non aveva il bavaglio. Diceva cose sensate, appropriate, autocritiche, a volte spiritose e a volte serie, ma soprattutto sincere: non nascondeva niente, a costo di pagarne le conseguenze. Era una ventata nuova, nel linguaggio paludato e spesso fasullo del calcio, e molti glielo riconoscevano. Poi la finestra è stata chiusa e hanno potuto parlare solo gli altri: quelli che aggiustano la realtà sulle loro convinzioni o sulle loro convenienze, magari attraverso i mille filtri dei social, che dovrebbero rappresentare la famosa disintermediazione - il contatto diretto tra i tifosi e gli attori del calcio - e invece sono mediati, eccome, perché fabbricano una realtà parallela. Gattuso non ha un profilo social, non si mette in posa mentre mangia la pastasciutta, non twitta complimenti più o meno artefatti, non mette like e faccine. Non è un santo e nemmeno un dannato. Fa l'allenatore, se più o meno bene lascia che lo dicano gli altri. Però meriterebbe almeno la vera rappresentazione dei fatti: un lusso evidentemente impossibile, nel calcio al tempo dei social.
Repubblica
...ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Il Tottenham...due (2) campionati vinti in tutta la sua storia, l'ultimo nel '61, 60 anni fa...e i suoi tifosi si permettono di dare le patenti di legittimità per decidere chi deve o non deve sedere su quella panchina, o meglio su quel sottoscala.
Lo spettacolo dell'idiozia umana, che in un secondo si concentra tutta in un solo punto della mappa terrestre, è sempre stupefacente e raggiunge continuamente nuove profondità, per questo è un ancor oggi inesplorato mistero.
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La Juve studia un aumento di capitale: ipotesi 300-400 mln
Si fa largo l’ipotesi di un aumento di capitale per la Juventus. Attualmente non sarebbe stato avviato alcun processo, ma secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore l’indiscrezione comincia a circolare nell’ambiente delle banche d’affari.
Le casse della società bianconera richiedono risorse, a causa dell’emergenza Covid e di bilanci in rosso negli ultimi anni, così Exor – la holding della famiglia Agnelli-Elkann che controlla il club bianconero –, assieme alla società, starebbero valutando la situazione, in attesa di capire le esigenze di cassa e l’entità dell’eventuale operazione al termine della sessione estiva di mercato.
Un valore della nuova possibile ricapitalizzazione non è al momento preventivabile, anche se – in base alle indiscrezioni – si parla di una cifra compresa tra 300 e 400 milioni, quindi a un livello simile all’ultima operazione di iniezione di risorse. Exor sottoscriverebbe pro quota il possibile aumento.
Juventus aumento capitale, le casse della società bianconera richiedono risorse, a causa dell’emergenza Covid e di bilanci in rosso negli ultimi anni
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