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Superlega, Sconcerti: con l’Uefa bisogna rendere sostenibile l’azienda calcio
Lo sproposito è negli stipendi dei calciatori, bisogna regolarlo. Detto questo la questione non si può risolvere con un’intervista: Marotta, Agnelli, Gazidis sono tesserati che devono rispettare le regole
di Mario Sconcerti
C’è una morale, una conseguenza gestibile, nel grande fallimento della Superlega? Qualcosa da cui si possa ripartire per un traguardo che possa costruire un futuro comune migliore? Direi di sì. La discussione, vista a posteriori, ha detto tre cose: la prima è che un accordo su qualcosa d’importante e meno grossolano tra grandi società europee si può comunque trovare. La seconda, è che siamo davanti alla conferma che i giovani si stanno interessando del calcio molto meno delle generazioni dei loro padri. La terza è che la Superlega è crollata in due giorni perché alla base non aveva un’idea industriale corretta, ma era spinta soprattutto dalla disperazione.
Questa disperazione va usata perché è di tutti e dimostra che nel calcio c’è un errore non più sostenibile. La soluzione non è fare un club privato di lusso e lasciare buone mance ai camerieri, la soluzione è rendere gestibile l’azienda collettiva. Lo sproposito è negli stipendi dei calciatori, cresciuti all’infinito per la voglia delle squadre di farsi concorrenza. L’asta continua provoca squilibri e necessita di mediazioni altrettanto costose. Si sono tentati accordi, nessuno ha retto. Ora si può riprovare, la situazione è matura, la disperazione aiuta, la gente ha capito. Serve il tavolo di una ventina di società, non di più, le altre centinaia operano su altri livelli. Organizzarlo sotto il mantello dell’Uefa sarebbe un ottimo nuovo inizio. Per trovare soluzioni al disincanto giovanile, bisogna rendersi conto che siamo davanti a un grande equivoco. Fino a 25 anni fa, si poteva vedere calcio solo negli stadi e solo quello della nostra squadra. Oggi tutti vedono tutto, il risultato elementare è l’inflazione. Più prodotto dai, più quel prodotto si svaluta. Il calcio vive da 20 anni solo dei soldi di chi lo inflaziona. È un giro vizioso che dobbiamo finalmente imparare a gestire. Detto questo non si può chiudere questa storia con un’intervista. Agnelli, Marotta, Gazidis, sono tesserati di un’associazione a cui sono affiliati e hanno lavorato per danneggiarla. Non si può fare. Non serve un processo dei vincitori, ma il rispetto del regolamento dove si parla di lealtà e correttezza, questo mi sembra necessario.
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Inter e Superlega, Marotta: «Mi dimetterò da consigliere federale». Milan, Maldini prende le distanze
La questione gestita dalle due proprietà: Gordon Singer e Zhang hanno deciso di aderire e poi di uscire. Il d.t. rossonero si dissocia e chiede scusa ai tifosi
Un passo indietro rispetto alla Juventus di Andrea Agnelli ma comunque coinvolti nel progetto della Superlega. Non da fondatori, non da promotori, ma da semplici «invitati» e anche all’ultimo — come si affrettano a precisare i due club —, perché i meno ricchi nel club dei ricchi. E anche se non fa bene all’orgoglio di due società che in altre circostanze amano definirsi top, in queste ore di burrasca consente di schivare un po’ di schizzi.
Come escono Inter e Milan dalle 48 ore che hanno travolto il calcio (e che non lo lasceranno uguale a prima)? Con le ossa un po’ rotte. E forse anche un po’ divise al proprio interno se è vero che Paolo Maldini, dt del Milan, ai microfoni di Sky prima della partita con il Sassuolo ha provato a uscirne immacolato: «Vorrei precisare che non sono mai stato coinvolto nelle discussioni sulla Superlega. Ho saputo domenica sera di questa cosa decisa a un livello dirigenziale più alto. Ma questo non mi esenta dallo scusarmi con i tifosi, che si sono sentiti traditi nei principi fondamentali dello sport che al Milan abbiamo sempre rispettato. Ricavi e sostenibilità sono importanti, ma senza rinunciare a meritocrazia e sogni». Una presa di distanza dall’ad Gazidis? In realtà è Gordon Singer, proprietario del fondo Elliott, che ha gestito direttamente il tema Superlega. Perché è chiaro che la decisione di aderire (così come quella di uscirne nella notte tra martedì e mercoledì, dopo aver incassato la ritirata di tutte le inglesi) è stata presa non dai dirigenti, ma dalle proprietà di Milan e Inter. Speranzose di salire sulla zattera della Superlega per aumentare i ricavi in un momento di estrema difficoltà (anche se l’Inter ha comunque bisogno di una soluzione più vicina, pare già trovata nel famoso prestito ponte).
L’ad dell’Inter Marotta almeno era informato: «Un’azione gestita, come giusto, dalla proprietà. Magari scoordinata, ma in buona fede per evitare il default e alla fine fare il bene di tutti», la sua sintesi. Ma questo non impedisce che lo stesso Marotta sia al centro delle critiche e che la prima conseguenza è che lunedì in consiglio federale farà un passo indietro: «Per me è una carica di servizio, ma rimetterò il mandato nelle mani dell’assemblea». Che accetterà. È in questa veste di consigliere federale, infatti, che siede in consiglio di Lega. Ed è per le decisioni prese in Lega che è nel mirino, soprattutto per la famosa retromarcia sull’ingresso dei fondi, abbandonati dopo l’adesione alla Superlega (ovviamente inaccettabile per i fondi che volevano tenere alto il valore della A). «Ma le due cose non c’entrano niente — ribatte Marotta —, capisco le critiche, non gli attacchi violenti, come quello del presidente del Torino Urbano Cairo (Qui la sua intervista). Poi ho ricevuto anche minacce. Io non ho tradito nessuno».
Ma la questione fondi resta dirimente. Ed è per la ragione opposta che invece su Paolo Scaroni, presidente del Milan, le critiche sono state meno accese: perché è rimasto favorevole ai fondi, anche dopo l’adesione alla Superlega, considerata «obbligatoria». Adesso però che è naufragata sotto una marea di (giusta) indignazione, a Inter e Milan restano i problemi.
Elliott negli ultimi tre anni ha immesso nel Milan 400 milioni, l’Inter ha 600 milioni di debiti. «Gli stipendi sono al 65-70%, nessuna azienda può sopravvivere così», ricorda Marotta. Le strade sono due: aumentare i ricavi, non più con i soldi della Superlega, ma magari con il tormentato progetto stadio. Su questo le due società hanno proposto al sindaco Sala di andare avanti, dando al Comune la possibilità di verificare lo stato finanziario dei club da qui alla costruzione (nel frattempo gli assetti societari dell’Inter saranno definiti). L’altra è tagliare i costi: significa fare sacrifici (una corrente di pensiero al Milan non vede per esempio favorevolmente gli aumenti di ingaggi chiesti da Donnarumma e Calhanoglu, con cui le trattative comunque proseguono). Ed è per questo che i due club sono d’accordo nell’avviare una discussione su norme come il salary cap. Da oggi inizia una nuova partita.
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Agnelli e la Superlega: ultimo ad arrendersi e smentito anche da Boris Johnson. Beffa dopo la sconfitta
Exor smentisce le voci di dimissioni: «Adesso mi concentrerò solo sulla Juve». ll possibile successore con uno schema diverso è Nasi. Il piano B per risanare i conti: l’ingresso di un fondo come socio di minoranza
Nei tre giorni che hanno sconvolto il calcio mancava solo la smentita ufficiale di un primo ministro alle parole del presidente di un club di calcio, per giunta di un altro Paese. All’ora del tè, il portavoce di Downing Street colma questo vuoto nella ricca sceneggiatura del crollo della Superlega replicando ad Andrea Agnelli. Il numero uno juventino all’agenzia Reuters aveva affermato che la dura opposizione del premier Boris Johnson al progetto della Superlega sarebbe stata dettata dal fatto che «se sei squadre si fossero staccate e avessero minacciato la Premier League, la politica l’avrebbe visto come un attacco alla Brexit e ai loro schemi politici».
Il portavoce del premier britannico ha risposto «respingendo» le parole del presidente della Juventus: «Il primo ministro è stato molto chiaro sul perché era giusto che il governo intervenisse e contribuisse alla marcia indietro dei club da questa proposta. Il governo è stato unicamente motivato dalla importanza del calcio, che è nel cuore delle comunità di tutto il Paese».
La mattinata era cominciata con la Juventus ancora ufficialmente dentro alla Superlega. Ma ben presto Agnelli era stato costretto ad ammettere il fallimento del progetto, già evidente dalla notte precedente: «Dobbiamo essere franchi e onesti, non può andare avanti. Resto convinto della bellezza del progetto, avremmo creato la migliore competizione del mondo».
Da lì a breve seguirà l’annuncio del club, senza tracce di scuse — del resto nei sondaggi il popolo juventino era l’unico in maggioranza favorevole al nuovo scenario — e anche senza alcuna menzione ai tifosi stessi. Il tonfo in Borsa per il secondo giorno consecutivo (-13,7% ieri a Piazza Affari), dopo il +18% all’apertura dei mercati lunedì mattina, completa un quadro più grigio che bianconero perché anche i presidenti sono giudicati dai risultati, soprattutto quelli economici.
E la Juve dei nove scudetti consecutivi oggi è una società attraversata da una crisi profonda alla quale si aggiunge adesso un danno di immagine globale anche nelle relazioni con le istituzioni e con gli altri club in Italia e all’estero. «Le relazioni ci sono, ne ho viste tante cambiare nel tempo — chiosa Agnelli con realismo —. Sono certo che le persone saranno aperte al dialogo, però non credo che questa industria sia sincera, affidabile e credibile».
Nel dubbio, il presidente della Uefa, Ceferin, padrino della figlia del numero uno juventino, tra mercoledì e martedì ha chiamato al telefono tutti gli scissionisti tranne Agnelli, dopo averlo apostrofato lunedì come bugiardo.
Exor smentisce in modo categorico le voci sempre più insistenti di un addio di Agnelli alla presidenza bianconera: «Ora mi concentrerò solo sulla Juve» rilancia lui, che dal 2017 era diventato anche numero uno di Eca, l’associazione dei club europei. La mossa della Superlega è stata concordata, come è naturale, con Exor e quindi con John Elkann. L’esito è stato catastrofico sia sul piano pratico che su quello dell’immagine internazionale. L’ossigeno ai conti potrebbe arrivare in tempi brevi dall’ingresso di un fondo di private equity come socio di minoranza. E anche sul fronte puramente sportivo c’è una qualificazione alla Champions tuttora da conquistare. Il campionato termina tra un mese, un arco di tempo che permette di approfondire eventuali soluzioni per la successione: la figura di Alessandro Nasi, cugino di Andrea e John, oltre che compagno di Alena Seredova ex moglie di Gigi Buffon, resta quella più accreditata.
Quarantasei anni, manager dal curriculum molto solido, riservato a dir poco, Nasi ha vissuto a lungo a New York, con esperienze in Merryl Linch e Jp Morgan, prima di tornare nel gruppo di famiglia, dove è cresciuto sotto l’ala di Sergio Marchionne. Oggi è vicepresidente di Exor e presidente di Comau, azienda del gruppo Stellantis che si occupa di robotica.
Se dovesse vincere la «volata» tra cugini, Nasi non sarebbe un presidente in prima linea nella gestione sportiva: in questo senso, pensare a un ritorno a Torino dell’ex ad Beppe Marotta, per quanto lui stesso abbia smentito con forza l’ipotesi anche di recente, non è fantamercato: i rapporti con John Elkann sono eccellenti.
Come non lo è il possibile sbarco a Torino di due leggende del recente passato: David Trezeguet, che studia da d.s., e Alessandro Del Piero, che potrebbe prendere il posto di vicepresidente, oggi di Pavel Nedved: i più amati dai tifosi per completare una rivoluzione completa. Anche se nessuno come Agnelli sa che certe rivoluzioni possono finire prima di cominciare.
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Superlega, club di serie A: causa ad Agnelli per aver fatto fuggire i fondi
Il presidente bianconero rappresentava tutti nelle trattative con Cvc-Fsi-Advent: sfumati 1,7 miliardi. Più difficile rivalersi anche sull’ad dell’Inter Marotta
«Sono fortunati perché gli stadi sono chiusi, sennò chissà che fischi». C’è chi la butta sul ridere, nelle ore successive alla notte più pazza del calcio, quella in cui i rivoluzionari si sono dovuti arrendere e dopo due giorni hanno ripiegato sulla ritirata. Il rientro nei ranghi dei tre club scissionisti (Juventus, Milan e Inter) non potrà avvenire però in maniera naturale, senza conseguenze, come se fosse la semplice ricomparsa del figliol prodigo. Perché se è vero che dalla sede della Uefa trapela un messaggio distensivo — nessuno in questo momento desidera guerre tanto meno mediatiche e si attende dai ribelli un ritorno al rispetto del calcio, della sua storia e delle sue istituzioni —, dal contesto rissoso della Lega provengono altri segnali.
Mercoledì le telefonate fra i presidenti si sono moltiplicate, fra commenti, propositi e qualche minaccia. Più di un presidente non ha dimenticato il dietro-front operato da Andrea Agnelli e da Beppe Marotta nella vicenda che ha riguardato l’ingresso dei fondi di private equity. Operazione che è sempre utile ricordare avrebbe garantito 1,7 miliardi alle moribonde casse delle società. Con il senno di poi non può non destare sospetto la retromarcia del presidente della Juventus sulla vicenda, dopo lo sbarco a Torino nel gennaio scorso di Florentino Perez. Ciò che aggrava la posizione del n.1 bianconero, rispetto all’ad interista, è che Agnelli al contempo rappresentava tutti e 20 i club nel comitato dei cinque manager incaricati di trattare con il consorzio. Ecco perché più di un presidente, pur consapevole che il comitato non è un organo istituzionale della Lega, sta ora valutando l’ipotesi di far causa per danni ad Agnelli, considerato come il principale colpevole del fallimento dell’operazione. I più agguerriti vorrebbero rivalersi anche su Marotta, a cui si imputa il voltafaccia effettuato solo quando è spuntata nell’accordo preliminare con i fondi la clausola che imponeva ai club di non costituire la Superlega nei dieci anni successivi.
Di certo lo scisma tentato produrrà effetti collaterali: fra questi, Beppe Marotta lunedì rimetterà il mandato di consigliere federale. Se le dimissioni saranno accettate, chissà se al suo posto verrà ripescato Claudio Fenucci del Bologna che dopo essersi proposto aveva poi ritirato la candidatura. La nota positiva del terremoto degli ultimi giorni è aver indotto i presidenti nei contatti di ieri a valutare l’ipotesi di introdurre il salary cap, per contenere i costi e accompagnare le società su un percorso di calcio sostenibile.
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Passerà pure questa burrasca. Ho apprezzato la schiena dritta di Agnelli, il suo non abiurare all'idea nella quale ha creduto portandola avanti fino in fondo, sull'esempio del noto ammonimento di Pound: "Se uno non corre qualche rischio per un'idea, o non vale niente l'idea o non vale niente lui“ e Agnelli non manca di coraggio e coerenza, questo gli va riconosciuto.
Vedo la corsa dei giornali milanesi a cercare di nascondere o diminuire le responsabilità delle due smandrappate cugine dei navigli, quasi fossero passate alla superlega per caso, con la Rovelli che parla di "invitate e invitate per ultimo" quando invece erano tra le 12 fondatrici, quelle che si sarebbero spartite per 23 anni il malloppo: le 5 a giro sarebbero state altre: ma queste difese del circondario serviranno a poco, per questo trovo che risalti, pur nella clamorosa sconfitta personale e del progetto, la coerenza di Agnelli.
La Juventus è un grandissimo club, dopo il Genoa il più antico d'Italia, con alle spalle la proprietà più antica e ricca d'Italia, col tifo più ampio d'Italia: in 124 anni ne ha superate tante rinascendo sempre come fenice verso nuovi successi. Ha in sè tutte le risorse per rimodellarsi e ripartire, tanto più che il quadro complessivo del circondario sta pure messo peggio....ma di noi
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Nelle aziende se non si condivide un progetto od una direzione si traggono le conseguenze: Marotta condivideva o no questo progetto portato avanti, secondo lui, da Zhang? Se sì, allora sei "complice" (termine sbagliato, visto che non si parla di nessun delitto, ma lo uso come esempio) pure tu, se no allora ti devi smarcare, mostrare visibilmente il tuo dissenso se non sei più in linea con le derteminazioni della società dove lavori, e lo strumento è uno: le dimissioni.
Idem con patate Maldini: a suo dire non è stato nemmeno informato delle intenzioni di Elliott...benissimo, e allora resti in una azienda dove conti meno di un addetto alle pulizie?
Qua a parole ciascuno cerca si pararsi il sedere come può, nei fatti però tutti loro mantengono le chiappe sulle rispettive poltrone. Che gioco è? Ma un minimo di orgoglio e amor proprio ancora alberga negli spiriti e nei caratteri? Mica dico di fare seppuku come i samurai, ma almeno di trarre le conseguenze degli esiti della situazione e dare le dimissioni da quegli uffici di cui non si condivide la linea operativa. Mi pare il minimo, altrimenti le parole restano soltanto vuota retorica difensiva, con uno spizzico di vigliaccheria....ma di noi
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Originariamente Scritto da germanomosconi Visualizza Messaggioeh ma ci sono le penali
Che penali? Licenziarsi dal proprio posto di lavoro è ancora un diritto in Italia come altrove. Maldini è un dirigente, non lo informano di un passo simile, di portata tale da modificare le direzioni del club: che ci resti a fare in quella azienda?
Marotta è addirittura l'amministratore delegato: ha condiviso o no le decisioni della proprietà? Se non le ha condivise, e lo scavalcano su di una tale importantissima e decisiva questione, che sta a fare lì, il passacarte?Last edited by Sean; 22-04-2021, 10:15:31....ma di noi
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Originariamente Scritto da Sean Visualizza MessaggioPasserà pure questa burrasca. Ho apprezzato la schiena dritta di Agnelli, il suo non abiurare all'idea nella quale ha creduto portandola avanti fino in fondo, sull'esempio del noto ammonimento di Pound: "Se uno non corre qualche rischio per un'idea, o non vale niente l'idea o non vale niente lui“ e Agnelli non manca di coraggio e coerenza, questo gli va riconosciuto.
Vedo la corsa dei giornali milanesi a cercare di nascondere o diminuire le responsabilità delle due smandrappate cugine dei navigli, quasi fossero passate alla superlega per caso, con la Rovelli che parla di "invitate e invitate per ultimo" quando invece erano tra le 12 fondatrici, quelle che si sarebbero spartite per 23 anni il malloppo: le 5 a giro sarebbero state altre: ma queste difese del circondario serviranno a poco, per questo trovo che risalti, pur nella clamorosa sconfitta personale e del progetto, la coerenza di Agnelli.
La Juventus è un grandissimo club, dopo il Genoa il più antico d'Italia, con alle spalle la proprietà più antica e ricca d'Italia, col tifo più ampio d'Italia: in 124 anni ne ha superate tante rinascendo sempre come fenice verso nuovi successi. Ha in sè tutte le risorse per rimodellarsi e ripartire, tanto più che il quadro complessivo del circondario sta pure messo peggio.
Questo, e i suoi compari, hanno escogitato tutto per salvarsi le chiappe coperte dai debiti, a dispetto degli altri club, sia nazionali che non, calpestando i principii dello sport.
Io invece sarei molto critico nei confronti di questi utopisti, li metterei proprio alla berlina, facendoli uscire il prima possibile dal mondo dello sport.
Se avesse rassegnato le dimissioni, magari mettendoci la faccia, ecco quello l'avrei apprezzato.sigpic
Free at last, they took your life
They could not take your PRIDE
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Originariamente Scritto da Sean Visualizza MessaggioChe penali? Licenziarsi dal proprio posto di lavoro è ancora un diritto in Italia come altrove. Maldini è un dirigente, non lo informano di un passo simile, di portata tale da modificare le direzioni del club: che ci resti a fare in quella azienda?
Marotta è addirittura l'amministratore delegato: ha condiviso o no le decisioni della proprietà? Se non le ha condivise, e lo scavalcano su di una tale importantissima e decisiva questione, che sta a fare lì, il passacarte?
intendo quelle per aver aderito alla superlegaOriginariamente Scritto da Marco pli 200 kg di massimale non siano così irraggiungibili in arco di tempo ragionevole per uno mediamente dotato.Originariamente Scritto da master wallaceIO? Mai masturbato.Originariamente Scritto da master wallaceIo sono drogato..
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