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Conte-Inter, Sconcerti: da allenatore a primo uomo azienda del calcio italiano
C’è stato un lungo momento due mesi fa in cui tra crisi economica e virus, è rimasto solo quasi come un superstite: lì ha cominciato a vincere
di Mario Sconcerti
Conte vinse il primo scudetto con la Juve il 6 maggio di 9 anni fa. A dargli il risultato fu l’Inter che battè il Milan di Allegri alla partita numero 37. Fu un derby di grande felicità interista, tre gol di Milito e uno di Maicon contro due di Ibrahimovic, in una stagione in cui il Milan era stato in testa fino alla 30ª giornata ed era forse più forte della Juve. Anche stavolta l’avversario è stato il Milan, ma le vicinanze fra stagioni finiscono qui. Nel confronto emerge un Conte molto diverso. Aveva avuto allora due maestri, Trapattoni e Lippi, poi il fascino di Gianni Agnelli come riferimento. Lui che non avrebbe potuto accontentarlo per qualità, ne diventò l’interprete sul campo. Conte era la parte sudista dell’azienda, quella iniziata con Anastasi e Causio alla fine degli anni 60, la prima a mescolarsi con il ritorno degli stranieri, la prima per disciplina e senso dell’onore, sudditi illuminati e fedeli. Ma già moderni, con il culto dell’azienda e di se stessi, già piccoli imprenditori diffidenti, quindi colti. Conte sembra molto istintivo ma non lo è, è anzi tortuoso, cavilloso, sopportatore. Ma pretende che la fatica abbia uno sbocco. È quello il patto con i suoi giocatori.
Alla prima Juve da allenatore portò questo rigore monarchico che era stato travolto da Calciopoli e interpretò il tentativo di una generazione di ribellarsi alla nuova realtà. Lui c’era prima, aveva fatto la vecchia Juve. Poteva rappresentarla. Fece una squadra logica, non spettacolare, con tre difensore fortissimi, Barzagli-Bonucci-Chiellini, due esterni di corsa e agonismo, Lichtsteiner e Pepe, un centrocampo di qualità e forza, Vidal-Pirlo-Marchisio, più un attaccante atipico, Vucinic, e un centravanti, Matri, che ne fu il cannoniere con appena 10 reti. Anche se Conte giudica Pirlo il suo giocatore ideale, non credo che quella Juve valesse l’Inter di adesso. L’Inter oggi è già più lavorata, soprattutto è molto diverso Conte.
Alla Juve era l’uomo del campo e dello spogliatoio, il dipendente più importante, ma un dipendente. Aveva un presidente presente ogni giorno, una proprietà con abitudini pensate e consolidate in 90 anni e tre generazioni. Conte aveva in sostanza un compito preciso ma unico: allenare la Juve. All’Inter è stato campo e società, il vero manager totale. Alla Juve i compiti del tecnico a un certo punto fatalmente si fermano, entri nell’ambito della proprietà. Nell’Inter era stato cercato e preso perché diventasse lui la società. Il vero compito dell’Inter era realizzare le richieste di Conte, mescolarle e gestirle con l’affare generale. Non più una proprietà presente, solo manager bravi con il suo stesso contratto di dipendenza.
C’è stato un lungo momento due mesi fa in cui tra crisi economica e virus, Conte è rimasto solo quasi come un superstite. Non è un caso che in quel momento l’Inter ha cominciato a vincere tutte le partite. Aveva una guida diretta, semplice, comprensibile al mondo immediato dei calciatori. E attraverso il campo Conte ha gestito la crisi generale. Un uomo molto diverso da quello di Agnelli, Vucinic e Matri 10 anni prima. Passato attraverso la forte esperienza inglese, una stagione a vincere e a portare regole in un mondo che ne ha di proprie e non prevede altri interventi. Più un anno ad accumulare documenti per una causa legale con il tuo datore di lavoro, cioè il peggio per l’orgoglio di un leader. Oggi Conte è il primo vero uomo azienda del calcio italiano. Un ruolo molto parlato, ma finora non esistito.
CorSera
i pareri su Conte cambiano di volta in volta...
Esce dalla champion's ed è un mediocre.
Vince il campionato ed è un fenomeno, un condottiero, etc..etc..
"Pensare alla morte, pregare. C'è pure chi ha ancora questo bisogno, e se ne fanno voce le campane.
Io non l'ho più questo bisogno, perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi:
vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori". (L. Pirandello)
Oramai si chiude come si è iniziato e proseguito, ovvero con una concatenazione ininterrotta di indisponibili più o meno importanti.
...ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Dai su ragazzi...era una frase buttata li'. Lo so anche io che e' un bel gesto. Pero', onestamente, da tifoso, non me ne frega niente di avere in squadra della brava gente...mi vanno bene anche dei fdp...basta che giochino e mi facciano vincere.
I SUOI goals:
-Serie A: 189
-Serie B: 6
-Super League: 5
-Coppa Italia: 13
-Chinese FA Cup: 1
-Coppa UEFA: 5
-Champions League: 13
-Nazionale Under 21: 19
-Nazionale: 19
TOTALE: 270
Brutta notizia anche per noi..dovete fermare l'Atalanta..*****.
Inviato dal mio SM-G988B utilizzando Tapatalk
Originariamente Scritto da Sean
Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
Dai su ragazzi...era una frase buttata li'. Lo so anche io che e' un bel gesto. Pero', onestamente, da tifoso, non me ne frega niente di avere in squadra della brava gente...mi vanno bene anche dei fdp...basta che giochino e mi facciano vincere.
Si vede che era di briscola e quindi batteva denari
Originariamente Scritto da Alberto84
Te lo dico io gratis che devi fare per crescere: devi spignere fino a cagarti in mano
Originariamente Scritto da debe
Chi è che è riuscito a trasformarti in un assassino mangiatore di vite altrui?
Originariamente Scritto da Zbigniew
Kurt non sarebbe capace di distinguere, pur avendoli assaggiati entrambi, il formaggio dalla formaggia.
Un indecente crogiuolo di dislessia e malattie veneree.
Napoli-Inter, formazioni e dove vederla. Conte sulle critiche: «Sono io il problema»
Due tecnici in battaglia: Gattuso e il patto con la squadra per la Champions prima dell’addio, Conte che avvisa: «So che il problema sono io, non mi tocchino l’Inter»
Qui Inter: Conte sulle barricate
La meta scudetto è vicina, appena 13 punti, sempre poi che tutte le altre dietro continuino a vincere, ma è come se fosse lontana anni luce. Antonio Conte ha già messo in fila 11 vittorie su 11 nel girone di ritorno e a Napoli può eguagliare la striscia di 12 successi ottenuti quando guidava la Juventus, stagione 2013-14. Non basta però a placare il tecnico, battagliero e deciso a schiacciare l’acceleratore. «Non possiamo fare i ragionieri. Si sta dando per scontato che lo scudetto sia stato assegnato. Non dobbiamo cadere in questa trappola». Insomma, prima si chiude la pratica scudetto meglio è per tutti, soprattutto per Conte, sempre nel mirino, a dispetto di numeri oggettivamente indiscutibili.
«Quanto mi danno fastidio le critiche continue? Ormai ho capito che il problema sono io, quindi me ne faccio una ragione. L’importante è che non tocchino l’Inter».
Avviato verso il quarto scudetto della carriera da allenatore in Italia, Conte respinge le critiche relative al gioco.
«L’allenatore è il più bravo solo se arrivano i risultati. Anzi, a volte non è il più bravo anche se arrivano i risultati. La passione per il calcio ci fa andare oltre i giudizi, a volte giusti e a volte ingiusti», è la sentenza del tecnico, deciso a difendere il gruppo squadra e il suo lavoro.
Implicitamente una mano tesa anche a Gattuso, sopportato a Napoli e spesso esposto a giudizi malevoli, una situazione simile a quella già vissuta da Conte, in vari momenti delle sue annate nerazzurre. «Rino sta facendo bene, è bravissimo, ma tutti noi sappiamo che l’allenatore, se non arrivano i risultati, è la persona più soggetta ad andare incontro a situazioni poco piacevoli».
Eppure la percezione di buona parte della tifoseria interista è cambiata intorno a Conte. Quattro mesi fa, dopo l’eliminazione in Champions, c’era chi ne chiedeva addirittura l’esonero, come lui stesso ha ricordato la scorsa settimana. Oggi l’Inter, prima con un distacco imponente sulle avversarie, è la prova di quanto costruito dal tecnico, punto di riferimento di un ambiente che ha dovuto fronteggiare situazioni non lineari fuori dal campo. «È cambiata la percezione intorno a me solo per i risultati o anche per la gestione che ho mostrato complessivamente? Solo per i risultati», spiega asciutto. In fondo ha sempre ribadito che era meglio pensare solo al campo, perché altre situazioni non erano controllabili.
Il ruggito di Conte è quello del padrone del campionato e Napoli è forse l’ultima imboscata sulla strada che può allontanare un pochino il traguardo scudetto. L’Inter giocherà un po’ anche per il Milan, dovesse strappare un’altra vittoria appesantirebbe la rincorsa del Napoli a un posto Champions. Gattuso però trema, perché contro Conte in campionato ha perso tre volte su tre, anche se in Coppa Italia fu Ringhio a spuntarla e a prendersi poi il trofeo.
«Ho sempre messo il Napoli tra le 2-3 squadre che potevano competere per lo scudetto, perché conosco la forza della rosa», sottolinea Conte, oramai a pochi passi dal traguardo, ma deciso a restare sulle barricate, per poi godersi la parata scudetto che ai nerazzurri manca da 11 anni.
Qui Napoli: Gattuso, mutismo e nessuna rassegnazione
I conti con l’Inter sono aperti, la corsa Champions lo è ancor di più. Gattuso incassa i complimenti di Conte senza lasciarsi troppo blandire dall’avversario contro cui l’ha spuntata soltanto in Coppa Italia l’anno scorso. Entrambi hanno in testa un’idea unica e non si risparmieranno nelle rispettive aree tecniche: vincere per centrare l’impresa. Scudetto e quarto posto, questione di obiettivi e anche di riscatto personale.
Sei vittorie nelle ultime otto partite per Rino sono un biglietto da visita significativo per immaginare di dare filo da torcere alla squadra che arriva al Maradona con l’intenzione di mettere una seria ipoteca sul campionato. Ma in casa Napoli i passi falsi restano un limite che puntualmente ha frenato le ambizioni azzurre.
Tira aria però di grande rivincita, personale e di squadra. E per la prima volta Gattuso si blinda con le certezze. In campo ci va la stessa squadra che ha battuto la Sampdoria domenica scorsa, eccezion fatta per Ospina infortunato (tra i pali Meret). Adesso che ha il privilegio di avere tutta la rosa a disposizione, Rino difende l’identità del Napoli, insistendo su sistema e interpreti. Il quarto posto con una classifica così affollata nella zona alta, passa dai prossimi due scontri diretti, Inter e Lazio. Il primo step ha l’indice di difficoltà più alto contro una squadra molto fisica che colpisce in contropiede. Il Napoli si affida al palleggio e al dominio del campo, sceglie di attaccare con Osimhen centravanti puro, assistito dall’imprevedibilità di Insigne e dalla tecnica tra le linee di Zielinski. Dalle parti di Lukaku c’è Koulibaly («tra i difensori più forti al mondo», ha sottolineato Conte che lo voleva al Chelsea): una sfida nella sfida giocata sulla fisicità, per certi versi il duello-chiave della partita.
Ma l’idea di Rino resta il gruppo, con il quale ha stretto il patto-Champions, isolandosi dalle polemiche e dai veleni di una stagione tormentata. Risultato che diventa occasione per andar via a fine stagione a testa alta e replicando alle critiche che ha ricevuto.
Aurelio De Laurentiis fa la sua parte: ieri sera ha fatto visita alla squadra in ritiro. Con l’allenatore (al quale ha imposto ormai da due mesi e mezzo il silenzio stampa) i rapporti oggi sono formali ma cordiali. Un patto, anche questo, di non belligeranza finalizzato all’obiettivo finale.
Napoli (4-2-3-1): Meret; Di Lorenzo, Manolas, Koulibaly, Mario Rui; Demme, Ruiz; Politano, Zielinski, Insigne; Osimhen. All. Gattuso. Inter (3-5-2): Handanovic; Skriniar, De Vrij, Bastoni; Hakimi, Barella, Brozovic, Eriksen, Darmian; Lukaku, Lautaro. All. Conte.
Arbitro: Doveri.
Tv: ore 20.45, Sky
CorSera
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popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Atalanta-Juventus, formazioni e dove vederla. Ronaldo non va in battaglia, ci prova Dybala. C’è Pessina
Il portoghese colpito da un sovraccarico ai flessori che dura da lunedì. Pirlo: «Non si sentiva in grado di spingerlo, non avrebbe dovuto giocare la terza partita col Portogallo»
Ronaldo non va in battaglia contro l’Atalanta. Per un sovraccarico ai flessori che dura da lunedì, Andrea Pirlo dovrà fare a meno della sua stella nell’ennesimo snodo delicato della corsa Champions. Non è nulla di così grave, tanto è vero che mercoledì per la sfida con il Parma, Cristiano può tornare a disposizione. Ma a Bergamo non andrà nemmeno in panchina: una disdetta per l’allenatore, che già aveva dovuto fare i conti con il palese nervosismo del suo campione, rimasto con il gol in canna nella partita vinta con il Genoa.
«Non si sentiva in grado di spingere. Abbiamo preferito lasciarlo a riposo e recuperarlo per la prossima partita» chiosa il tecnico, che fa risalire la stanchezza ronaldiana alle 3 partite in 6 giorni giocate con il Portogallo a fine marzo: «È sempre stato in buone condizioni, purtroppo le tre gare in Nazionale si sono accumulate. Anche lui mi diceva che non avrebbe dovuto giocare la terza partita, poi quel gol annullato con la Serbia l’ha costretto a giocare, altrimenti sarebbe tornato prima a disposizione della Juve».
La gara di troppo era quella contro il Lussemburgo: Ronaldo, a secco nelle prime due, ha giocato novanta minuti, segnando un gol buono per la sua rincorsa all’iraniano Ali Daei (distante 6 gol) come bomber di tutti i tempi nelle Nazionali, mentre in panchina c’era André Silva, 24 reti stagionali con l’Eintracht. E quindi? Quindi Cristiano, che ha saltato due partite (pareggiate dalla Juve) in ottobre a causa del Covid preso in Nazionale, quando è con il Portogallo si muove in totale autogestione. E contro l’Atalanta, che marca a uomo e che all’andata lo ha annullato, che senso avrebbe avuto rischiare di farsi male davvero per poi compromettere la volata per la Champions, quella per la classifica marcatori e magari anche la preparazione per l’Europeo?
Per gli amanti delle coincidenze, la versione migliore della Juventus negli ultimi due mesi è stata quella dei primi settanta minuti contro la Lazio, senza Ronaldo, entrato al posto di Morata ormai sul 3-1. Per giunta, l’unica vittoria nelle ultime otto partite contro la banda Gasperini è arrivata a Bergamo nel novembre 2019 con Cristiano assente: furono una doppietta di Higuain e un gol nel finale di Dybala a risolvere una sfida sempre molto complicata per la Juve, anche se in campionato l’Atalanta non batte Madama addirittura da vent’anni.
Gasperini, privo di Romero ma con Pessina guarito dal Covid, non si accontenta dell’assenza di Ronaldo e dopo l’1-1 allo Stadium sogna il colpo del sorpasso: «Avrei preferito che Dybala fosse rimasto fuori ancora una settimana o due...». Invece la Joya torna titolare a 98 giorni dall’ultima volta e dopo il gol fondamentale con il Napoli al suo rientro può dare la possibilità a Pirlo di provare anche una sorta di 4-2-3-1: «Abbiamo in testa l’obiettivo di arrivare il più in alto possibile. Non è quello idoneo alla Juve, visto che abbiamo sempre lottato per vincere il campionato, ma vogliamo chiudere alla grande». Anche con CR7 ai box.
CorSera
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Milan-Genoa, formazioni e dove vederla: Ibra non c’è, staffetta Leao- Mandzukic per la Champions
Contro i rossoblù c’è da sfatare la maledizione di San Siro: sei partite senza vittorie. L’ultimo successo risale al 7 febbraio col Crotone. Pioli: «Pedaliamo»
Tenerlo un anno in più è una mossa sensatissima, dal punto di vista tecnico e anche mediatico, ma bisogna iniziare a progettare il futuro. Significa, molto semplicemente, che per la prossima stagione occorre individuare un centravanti che sia qualcosa di più di un vice Ibra. I nomi sull’agenda di Maldini e Massara sono diversi, fra loro compaiono anche quello di Vlahovic e quello di Scamacca, che sarà in campo oggi, anche se uno che farebbe al caso è l’olandese Depay, in scadenza col Lione a giugno: ha 27 anni e ai piani alti di Casa Milan piace parecchio. Da tempo.
Da qui a fine stagione ci sono però ancora 8 partite e Leao e Mandzukic faranno di tutto per guadagnarsi un pezzo di futuro. Oggi contro il Genoa, con Ibra squalificato per la discussione con Maresca, partirà il portoghese. «È nettamente migliorato rispetto allo scorso anno» assicura Pioli. Dovrebbe essere un’arma da partita in corso Mario Mandzukic, che in questi giorni si è meritato la ribalta per via della decisione di rinunciare allo stipendio di marzo. Fin qui il croato ha giocato 156 minuti, il suo contratto scade a giugno e il Milan ha un’opzione per il rinnovo. Lo scenario è chiaro: sarà il rendimento di questo finale di stagione a far decidere a Elliott se tenerlo o meno. «Sulle sue qualità morali e tecniche non ho mai avuto dubbi, adesso ci potrà aiutare sul campo fino alla fine» dice convinto il suo allenatore.
Più ancora che l’assenza di Ibrahimovic e il tormentone del rinnovo di Donnarumma che ha tenuto banco per tutta la settimana, a preoccupare è ora soprattutto la perdurante maledizione di San Siro: dopo il 4-0 al Crotone del 7 febbraio sono arrivate 6 partite senza vittorie. In casa il Milan ha ottenuto la metà dei punti disponibili, 23 su 45: è un dato che lo inchioda alle proprie responsabilità e che dice in maniera eloquente che con questa doppia andatura il rischio di farsi soffiare il posto Champions da sotto il naso esiste. «Siamo a metà salita, finché non vedi la rampa finale devi stare giù sul manubrio e pedalare» raccomanda Pioli. Giocare alle 12.30, prima delle concorrenti dirette, potrebbe essere un piccolo vantaggio, come il fatto che Ballardini stia pianificando un turnover ragionato con l’obiettivo di avere i suoi al meglio per le sfide salvezza con Benevento e Spezia. Vediamo.
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