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Ripassa le proporzioni [emoji16]
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Originariamente Scritto da Sean
Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
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Avresti ragione qualora fosse da noi da 5 mesi e non avesse giocato mai e restituisse un solo mese di stipendio su 5 percepiti
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Originariamente Scritto da Sean
Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
Avresti ragione qualora fosse da noi da 5 mesi e non avesse giocato mai e restituisse un solo mese di stipendio su 5 percepiti
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Vabbe'...Ho detto dei numeri per dire...Non ho fatto il conto di quanti mesi verra' pagato e di quanto non ha giocato. Per quanto mi riguarda ha giocato ZERO!
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I SUOI goals:
-Serie A: 189
-Serie B: 6
-Super League: 5
-Coppa Italia: 13
-Chinese FA Cup: 1
-Coppa UEFA: 5
-Champions League: 13
-Nazionale Under 21: 19
-Nazionale: 19
TOTALE: 270
Vabbe'...Ho detto dei numeri per dire...Non ho fatto il conto di quanti mesi verra' pagato e di quanto non ha giocato. Per quanto mi riguarda ha giocato ZERO!
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Tranquillo ora torna e ci porta dritti in Champions.
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Originariamente Scritto da Sean
Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
Si dice che l'Inter abbia rifiutato 60 mln dal City....può essere mai ?
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Originariamente Scritto da Sean
Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
Vabbe'...Ho detto dei numeri per dire...Non ho fatto il conto di quanti mesi verra' pagato e di quanto non ha giocato. Per quanto mi riguarda ha giocato ZERO!
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Roma, la rivoluzione silenziosa: immagine, premi e risparmi. E l’idea Sarri in panchina
La semifinale europea per preparare il futuro. La strategia: tenere i migliori giovani, scegliere un allenatore che non sia un «guru»: Sarri favorito, ma attenti alle sorprese
Senza slogan, ma sarà una rivoluzione. Dan e Ryan Friedkin hanno sofferto e gioito come non mai durante Roma-Ajax, che ha aperto la porta delle semifinali di Europa League. Il giorno dopo hanno fatto i complimenti a squadra e staff ma senza dichiarazioni ufficiali. È il loro stile: è stata vinta una battaglia ma non la guerra.
I risultati sono tangibili. Il passaggio del turno vale 2,4 milioni. Nel ranking Uefa la Roma è salita al quattordicesimo posto ed è un biglietto da visita per gli sponsor. Le vittorie aumentano il valore dei calciatori, dai più giovani (Calafiori, Ibanez) a quelli già rodati (Pellegrini, Mancini) e rendono più semplici le situazioni. Vedi quella di Dzeko («Ho dato, do e darò sempre il massimo ma non conosco il mio futuro»). Ancora un anno di contratto a 7,5 milioni di euro netti, per un calciatore di 35 anni, sembrava fino a giovedì sera una palla al piede, ma Edin ha fatto vedere di poter essere ancora decisivo. È possibile, anzi probabile, che il club gli offra la lista gratuita a fine stagione per cercare altrove un contratto biennale o triennale. Tagliare i costi (il patrimonio netto consolidato al 31 dicembre 2020 era negativo per 162,9 milioni di euro) e ringiovanire sono due missioni obbligatorie per il nuovo general manager Tiago Pinto.
I Friedkin hanno scelto il trentasettenne portoghese, ex Benfica, per portare a termine lo smantellamento della gestione Pallotta. Sulla scelta di Pinto attraverso una societa di «cacciatori di teste» e sulla fiducia americana nei database per la scelta dei giocatori si è fatta parecchia letteratura. La scommessa è costruire una forte identità di club, con alcune figure importanti ma nessuna ipertrofica.
Non un d.s. che sia il re delle plusvalenze, non un allenatore guru. Una sfida impegnativa in una città umorale come Roma, ma forse l’unica per restare ad alto livello con i conti più sani. Difficilissimo che resti Fonseca («Non so se sarò ancora qui il prossimo anno, l’importante è la Roma»): in caso di vittoria in Europa League sarà lui a liberarsi.
A Pinto piace(va) Conceiçao ma non andrà allo scontro con tutta la piazza per testardaggine. Sarri potrebbe essere il profilo giusto, ma non si escludono sorprese. Si spenderà per il centravanti (Belotti è un nome) più che per un portiere. Non si toccano i giovani migliori, si deve arrivare a una rosa con massimo 18/20 contratti e introdurre giovani della Primavera. Sarà affidata a un nuovo allenatore e verrà rinnovato il contratto a Morgan De Sanctis. Lo stadio non è, come era per Pallotta, un business irrinunciabile e ad ogni costo. È già cambiato tanto, cambierà tutto.
CorSera
...ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Roma, partenti e vincenti: il paradosso di Dzeko e Fonseca che tiene in piedi i giallorossi
L'obiettivo, anche se lo United è avversario difficile, è tornare in una finale europea dopo 30 anni e magari vincere un trofeo continentale, impresa riuscita solo una volta 60 anni fa
di Matteo Pinci
Se deve essere un addio, che almeno faccia rumore. Chissà quanti, nello spogliatoio della Roma, ci pensano. O magari se lo sono addirittura promesso. Separarci sì, ma non senza regalarci un ultimo, abbagliante momento di gloria. O almeno un sogno. La seconda semifinale europea degli ultimi 3 anni somiglia a un dorato sunset boulevard. Lo percorrono affiancati Edin Dzeko e Paulo Fonseca. Il capitano spogliato dei gradi, l’allenatore esautorato dalle voci che centrifugano quotidianamente nomi dei possibili sostituti. Eppure sono loro il volto della Roma di oggi. Due che a fine stagione andranno via: su questo, nessuno nutre grandi dubbi. Se ogni agente che si siede al tavolo coi dirigenti romanisti due cose porta sul tavolo: un centravanti e un allenatore.
Una finale europea che manca da 30 anni
Provate a immaginare: il divorzio consumato, l’addio inevitabile. Da una parte il campionato triste con la Roma settima. Dall’altra, l’Europa. La radiografia della notte epica dell’Olimpico contro l’Ajax restituisce la stessa immagine di sette giorni prima ad Amsterdam: una squadra che ha limiti, ma anche una incredibile determinazione. Che nella lotta anziché soccombere si esalta. Che quando i giochi sembrano chiusi, sa scoprire risorse ignote. Frutto di una sorta di patto interno: “Tutto sulla coppa”. Il risultato è che la coppa, l’Europa League, è oggi tutto quello che la Roma ha. L’unico obiettivo reale. Ma un obiettivo enorme: la storia dice che l’unico trionfo europeo risale al ‘’61 e in una coppa a inviti, la Coppa delle Fiere. Dice che l’ultima finale europea risale a 30 anni fa, 1991, in Coppa Uefa contro l’Inter. Una delusione come quella precedente, nel 1984, la finale di Coppa Campioni persa in casa, all’Olimpico, col Liverpool, la madre di tutte le delusioni, forse la più indigeribile che un tifoso possa immaginare.
Riscattare una serie di sconfitte umilianti
In più c’è il presente. L’ultimo trofeo, una Coppa Italia, risale addirittura al 24 maggio 2008: nessuna grande in Italia non vince nulla da così tanto tempo. Un’astinenza che arriva a contare 20 anni il prossimo 17 giugno, se invece parliamo di scudetto. Insomma, battere lo United in semifinale e staccare un biglietto per la finalissima di Danzica non riscatterebbe solo il 7-1 subito a Old Trafford nel 2007, primo di una triste serie. Riscatterebbe l’intero destino della Roma. E consegnerebbe un ciclo arrivato alla sua naturale fine alla storia.
Repubblica
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Conte-Inter, Sconcerti: da allenatore a primo uomo azienda del calcio italiano
C’è stato un lungo momento due mesi fa in cui tra crisi economica e virus, è rimasto solo quasi come un superstite: lì ha cominciato a vincere
di Mario Sconcerti
Conte vinse il primo scudetto con la Juve il 6 maggio di 9 anni fa. A dargli il risultato fu l’Inter che battè il Milan di Allegri alla partita numero 37. Fu un derby di grande felicità interista, tre gol di Milito e uno di Maicon contro due di Ibrahimovic, in una stagione in cui il Milan era stato in testa fino alla 30ª giornata ed era forse più forte della Juve. Anche stavolta l’avversario è stato il Milan, ma le vicinanze fra stagioni finiscono qui. Nel confronto emerge un Conte molto diverso. Aveva avuto allora due maestri, Trapattoni e Lippi, poi il fascino di Gianni Agnelli come riferimento. Lui che non avrebbe potuto accontentarlo per qualità, ne diventò l’interprete sul campo. Conte era la parte sudista dell’azienda, quella iniziata con Anastasi e Causio alla fine degli anni 60, la prima a mescolarsi con il ritorno degli stranieri, la prima per disciplina e senso dell’onore, sudditi illuminati e fedeli. Ma già moderni, con il culto dell’azienda e di se stessi, già piccoli imprenditori diffidenti, quindi colti. Conte sembra molto istintivo ma non lo è, è anzi tortuoso, cavilloso, sopportatore. Ma pretende che la fatica abbia uno sbocco. È quello il patto con i suoi giocatori.
Alla prima Juve da allenatore portò questo rigore monarchico che era stato travolto da Calciopoli e interpretò il tentativo di una generazione di ribellarsi alla nuova realtà. Lui c’era prima, aveva fatto la vecchia Juve. Poteva rappresentarla. Fece una squadra logica, non spettacolare, con tre difensore fortissimi, Barzagli-Bonucci-Chiellini, due esterni di corsa e agonismo, Lichtsteiner e Pepe, un centrocampo di qualità e forza, Vidal-Pirlo-Marchisio, più un attaccante atipico, Vucinic, e un centravanti, Matri, che ne fu il cannoniere con appena 10 reti. Anche se Conte giudica Pirlo il suo giocatore ideale, non credo che quella Juve valesse l’Inter di adesso. L’Inter oggi è già più lavorata, soprattutto è molto diverso Conte.
Alla Juve era l’uomo del campo e dello spogliatoio, il dipendente più importante, ma un dipendente. Aveva un presidente presente ogni giorno, una proprietà con abitudini pensate e consolidate in 90 anni e tre generazioni. Conte aveva in sostanza un compito preciso ma unico: allenare la Juve. All’Inter è stato campo e società, il vero manager totale. Alla Juve i compiti del tecnico a un certo punto fatalmente si fermano, entri nell’ambito della proprietà. Nell’Inter era stato cercato e preso perché diventasse lui la società. Il vero compito dell’Inter era realizzare le richieste di Conte, mescolarle e gestirle con l’affare generale. Non più una proprietà presente, solo manager bravi con il suo stesso contratto di dipendenza.
C’è stato un lungo momento due mesi fa in cui tra crisi economica e virus, Conte è rimasto solo quasi come un superstite. Non è un caso che in quel momento l’Inter ha cominciato a vincere tutte le partite. Aveva una guida diretta, semplice, comprensibile al mondo immediato dei calciatori. E attraverso il campo Conte ha gestito la crisi generale. Un uomo molto diverso da quello di Agnelli, Vucinic e Matri 10 anni prima. Passato attraverso la forte esperienza inglese, una stagione a vincere e a portare regole in un mondo che ne ha di proprie e non prevede altri interventi. Più un anno ad accumulare documenti per una causa legale con il tuo datore di lavoro, cioè il peggio per l’orgoglio di un leader. Oggi Conte è il primo vero uomo azienda del calcio italiano. Un ruolo molto parlato, ma finora non esistito.
CorSera
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