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"Pensare alla morte, pregare. C'è pure chi ha ancora questo bisogno, e se ne fanno voce le campane.
Io non l'ho più questo bisogno, perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi:
vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori". (L. Pirandello)
Navas ha solo 12anni in piu'di Donnarumma...e c'e' il rischio che se lo prenda qualcun'altro. Un portiere cosi' (un top nel suo ruolo) a parametro ZERO quando ricapita? Se lo prendi sei a posto per almeno 10 ann!
Navas se non erro ha altri 3 anni di contratto.. Mi pare difficile
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Originariamente Scritto da Sean
Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
Milan-Inter allo specchio: non è solo Ibra contro Lukaku
Reparto per reparto i punti forti (tanti) e punti deboli (pochi) delle due formazioni in vista del derby di domenica
Lukaku e Ibra, certo. Ma anche la guerra sulle fasce, il controllo del centrocampo e la tenuta delle difese. Il derby di domenica sarà sfida a tutto campo, fra un Milan che quando funziona si diverte e costruisce e un'Inter che quando è in palla si dimostra organizzata e micicidiale nelle ripartenze. Vediamo, reparto per reparto, punti forti (tanti) e punti deboli (pochi) delle due formazioni.
La difesa: Handanovic contro Donnarumma
Con 24 gol presi in 22 partite l'Inter è, al pari del Verona, la terza squadra del campionato ad avere subito meno reti. Meglio hanno fatto finora solo Juventus (19) e Napoli (21) che però hanno giocato una gara in meno. Alla fase difensiva nerazzurra partecipa ovviamente l'intera squadra, che Conte dopo un avvio di stagione all'arrembaggio ha arretrato di una ventina di metri. Ma sono soprattutto i tre centrali ad avere trovato in corso di campionato forma individuale e compattezza di reparto: Skriniar, De Vrij e Bastoni da novembre in poi hanno cominciato a sbagliare molto poco. Il Milan di gol ne ha incassato uno in più 25. Il pilastro è Kjaer, ma quando è mancato si sono fatti trovare pronti Kalulu e Tomori. Al suo fianco, Romagnoli. Poi c'è Donnarumma, uno dei migliori portieri d'Europa. Handanovic, bersaglio delle critiche dei tifosi, ha sbagliato qualche partita. Ma mai in campionato nelle gare cruciali: contro Napoli, Juve e Lazio ha fatto le sue migliori prestazioni.
Il centrocampo
Chi tiene il centrocampo vince la partita. Al netto degli episodi e delle giocate dei singoli, il più antico degli adagi sulla tattica del calcio ha ancora una sua validità. Giocando di preferenza con un regista arretrato e due mezzali, Antonio Conte ha sempre cercato densità e inserimenti. Ma la condizione di Vidal, ancora in recupero da guai muscolari, spinge per l'impiego di Eriksen dal primo minuto. Più che una mezzala, un regista aggiunto. Preferendo il modulo con due mediani e l'uomo dietro le punte, Stefano Pioli vuole invece dal centrocampo copertura alla difesa e fantasia in costruzione. Uomini cardine della mediana nerazzurra sono Brozovic, regista arretrato, e Nicolò Barella, giocatore completo e instancabile. Punto fermo per il Milan è Kessie (che con lo Stella Rossa ha riposato), a cui non si potrà però affiancare Bennacer, che s'è fatto male a Belgrado. Spazio quindi a uno fra Tonali, favorito dopo la buona prestazione in Serbia, e Meité.
Le fasce
Discorso a parte meritano le fasce. Quella più pirotecnica è la sinistra, per il Milan, e quindi destra, per l'Inter. Uno di fronte all'altro si troveranno Theo Hernandez e Hakimi, entrambi cresciuti al Real Madrid, esterni totali in grado di partecipare alla fase offensiva delle proprie squadre (4 gol in campionato per il francese, 6 per il marocchino) e sfornare assist in continuità. Anche a discapito della copertura. Sull'altra corsia, se nel Milan è ormai intoccabile il giovane e forte Calabria, Conte ha più opzioni, nessuna delle quali perfetta per il suo gioco. L'ex ct può scegliere fra l'arrembante Perisic, attaccante adattato che ultimamente non perde un colpo, e i più completi Young e Darmian, nessuno dei quali sembra però attraversare il miglior momento di forma.
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forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Attaccanti spariti e Ronaldo solitario. Perché la Juve si è inceppata
Nel 2021 crollata la media gol dei bianconeri e anche quella di CR7 che continua ad non avere alternative.Le fatiche di Morata e Dybala e Chiesa diventa il bomber di scorta
Sono due mesi che la mutazione di Ronaldo s’è incagliata, che il suo adattamento al modo di giocare (e anche di pensare) che Pirlo gli aveva proposto si è bruscamente arenato: fino alla fine del 2020, Cristiano ha segnato come in Italia non aveva mai fatto, ha accettato di fare non proprio il centravanti ma comunque la punta centrale (e non più l’anomala ala sinistra che era), si è rassegnato all’idea di giocare senza un attaccante gregario al suo fianco (e senza un mediano gregario alle sue spalle) e per lungo tempo le cose sono andate benone. Anzi, come meglio non avrebbero potuto. L’unica controindicazione era l’eccessiva dipendenza della squadra dai gol del portoghese: con lui in campo, una rete su due della Juve era sua.
Nel 2021 segna la metà
È da quando è cominciato il 2021, che tuttavia aveva cominciato benissimo (doppietta all’Udinese), che il portoghese si è trasformato nella controfigura di sé. I numeri la raccontano bene, questa strana metamorfosi: tra settembre e dicembre Cristiano, che ha saltato quattro partite per coronavirus e una per turn over, ha segnato 16 gol in 14 gare, che poi tra gennaio e febbraio (ha saltato solo i primi turni di Coppa Italia, tranne i supplementari degli ottavi) sono diventati 7 in 13. La media realizzativa si più che dimezzata: da 1,14 a 0,53. Valeva mezza squadra, adesso invece è un Ronaldo dimezzato.
Dopo la Supercoppa, digiuno e nervosismo
Si pensava alla solita pausa di rigenerazione – una specie di riposo attivo - che CR7 si prende in attesa che ricominci la Champions, l’unica cosa che gli interessa veramente assieme ai record individuali, e invece più si sono avvicinati gli ottavi di finale e più il suo rendimento è calato, mentre nel frattempo festeggiava il trentaseiesimo compleanno. Fino alla Supercoppa del 20 gennaio ha viaggiato alla media di una rete a partita (20 su 20), ma da lì in avanti ha perso completamente il ritmo, segnando solamente 3 volte in 7 match: la doppietta all’Inter in Coppa Italia a l’1-0 alla Roma. Nelle ultime dieci gare i gol sono stati appena 4: non è una media disprezzabile per buona parte degli attaccanti, ma lui è abituato a viaggiare a una velocità doppia e questo brusco rallentamento è preoccupante e preoccupa anche la squadra, andata a segno appena sette volte nelle ultime sei gare. Cristiano è tornato a dare segnali di insofferenza, a sbracciare, a sceneggiare le proteste (verso gli arbitri, ma pure verso in compagni) e, in definitiva, a sentirsi solo là davanti: lui è uno che da sempre la colpa agli altri, quando qualcosa non funziona, eppure anche lui sta funzionando maluccio. Il nervosismo che ostenta deriva dalla frustrazione, ma la frustrazione da cosa deriva? Dalla mancanza di un supporto tecnico, da un disagio tattico o dalla percezione di non riuscire più a ottenere il massimo da se stesso?
Gli altri attaccanti? Spariti
Ultimamente Pirlo lo ha spesso abbinato a Kulusevski, che però non sembra quel tipo di giocatore che Ronaldo ama avere al proprio fianco. All’inizio sono andate benino le cose con Morata, che però ha poi risfoderato i limiti che ne hanno condizionato tutta la carriera: dopo una fase di esaltazione, comincia a deprimersi per un acciacco, a irritarsi se il gol non arriva, ad andare in ansia se la concorrenza preme, a incupirsi se non ha il posto fisso, a trascinarsi malanni e tensioni (adesso è un po’ che paga i postumi di una strana influenza) e insomma torna a essere quel giocatore a metà che hanno conosciuto a Chelsea e sulle due sponde di Madrid. Lui e Kulusevski non segnano in campionato dal 19 dicembre, giorno del 4-0 a Parma (ci fu anche una doppietta di Cristiano). Poi, solo qualche robetta in Coppa Italia, alle riserve del Genoa e a quelle della Spal, e il 2-0 decorativo in Supercoppa (di Morata). Dybala, da parte sua, non gioca dal 10 gennaio per l’infortunio al ginocchio: Pirlo lo aspetta con impazienza (“Abbiamo un gran bisogno dei suoi gol”) ma resta il fatto che lui e Ronaldo hanno sempre legato poco, anche se Sarri era riuscito a trovare un equilibrio nella loro convivenza. Allegri no. Pirlo non si sa: in questa stagione, le opportunità di vedere i due giocatori assieme sono state ancora troppo poche. In ogni caso, Ronaldo è stato sempre un gran divoratore di partner, con l’eccezione di Benzema: la storia si sta ripetendo.
L’alternativa Chiesa
Così, la Juve la sta tenendo in piedi uno che attaccante non è, Chiesa, sempre più dirimente negli schemi di Pirlo al netto della teatralità delle proteste a ogni fischio dell’arbitro e della tendenza a accentuare i contatti, atteggiamenti che gli fanno consumare inutilmente molte energie e che gli attirano antipatia e sospetti (memorabile una filippica di Gasperini contro di lui ai tempi della Fiorentina). Però è un dato di fatto che Chiesa stia orientando il gioco bianconero. I suoi inserimenti sul secondo palo per combaciare con il cross in arrivo dalla parte opposta, come a Porto, sono lo schema che funziona meglio, e su cui d’altronde Pirlo ha lavorato moltissimo in questi mesi. Le (presunte) difficoltà di convivenza con Ronaldo sono un falso problema, anche quando Chiesa gioca a sinistra: è raro che i due si tolgano spazio uno con l’altro, perché Ronaldo ormai si muove in zone più centrali e quando si defila raramente va a cercare la linea di fondo, come invece deve fare l’ex viola.
Il bisogno di una spalla
A Ronaldo manca piuttosto un punto di riferimento centrale, il perno attorno cui è sempre stato abituato a calibrare i suoi movimenti. Nella Juve di Pirlo quella figura non c’è e l’uomo che si propone più spesso al centro dell’area e McKennie, che però è un incursore sporadico e non un riferimento stabile. Resta un dato di fatto: da un mese e mezzo la Juve ha un Ronaldo dimezzato, e tutto il resto accade di conseguenza.
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Roma, Dzeko e quel gol dal sapore di tregua: e ora Fonseca ha un attacco ancora più forte
Di restituzione della fascia di capitano per ora non se ne parla, ma la prestazione del bosniaco in Portogallo, unita alla crescita esponenziale di Borja Mayoral, consegnano al tecnico un potenziale accresciuto. I problemi sono in difesa dopo i ko di Ibanez e Cristante
Quando Cristante, piegato in terra, ha guardato sconsolato il medico dicendogli “non ce la faccio”, Edin Dzeko ha quasi istintivamente guardato la panchina. Forse, in quella torsione di un attimo, c’era una richiesta silenziosa: “Prendo io la fascia da capitano?”. È durata un attimo: nemmeno il tempo di pensarla che l’attaccante bosniaco ha chinato il capo e ripreso a camminare. “Vediamo in futuro, la fascia non è importante”, ha provato a sminuire Fonseca a fine partita: in realtà lo è eccome, sia per uno che per l’altro, visto che l’allenatore continua a negarla e l’altro non smette di sospirare per averla.
Un gol che sa di tregua
Eppure, forse, nella testa di Dzeko quel gol di qualche istante prima, segnato dopo appena 5 minuti, poteva significare la tregua definitiva: il primo dal 3 gennaio, il primissimo dopo la rottura irrimediabile con Fonseca, la rinnovata e nuovamente abortita idea di andar via da Roma. Anche perché, in quel gol, nell’abbraccio che tutti, in modo quasi ostentato, hanno voluto riservargli, c’era qualcosa di diverso rispetto al solito, un’elettricità che ha scalato la montagna su cui è costruito l’Estadio Monumental di Braga, con spogliatoi sei piani sotto la cima su cui era parcheggiato il pullman della squadra.
Le prime paroli dolci di Fonseca
Certo Paulo Fonseca, forse per la prima volta dalla nottataccia di Roma-Spezia, ha rivolto parole dolci al suo centravanti degradato: “Ha giocato benissimo Dzeko. Magari lui e Borja Mayoral potremmo anche usarli insieme”. Un’apertura in cui a dire il vero non sembra credere nemmeno lui, visto quanto tempo è che insiste sull’argomento. Il paradosso? Se a inizio stagione lo spagnolo era un’incognita e il bosniaco un fuggiasco, oggi la situazione è ribaltata: la Roma ha due titolari che, a guardare il rendimento – 10 gol lo spagnolo, 9 il bosniaco – sono in grado di alternarsi senza che la squadra ne risenta. Un tesoro, ma anche una responsabilità: vanno gestiti e alternati sfruttandone le caratteristiche in base all’avversario e alla partita. Non per partito preso come spesso è stato fino a oggi.
Ma mentre la difesa perde altri due pezzi, con Cristante e Ibanez che in queste ore saranno sottoposti a esami per provare a capire se sarà possibile recuperarli, se non per il Benevento o per il ritorno col Braga, almeno per la sfida Champions al Milan tra dieci giorni, l’attacco è finalmente la certezza su cui costruire il finale di stagione della Roma.
Di restituzione della fascia di capitano per ora non se ne parla, ma la prestazione del bosniaco in Portogallo, unita alla crescita esponenziale di Borja Mayor…
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Inter, Suning: vendita o prestito. Cosa voleva dire Jindong Zhang con le «attività irrilevanti»
Steven Zhang non vorrebbe cedere prima di aver vinto lo scudetto, così sta cercando un prestito ponte di 150 milioni. Resta sul tavolo l’offerta di Bc Partners
Alla chiusura del Capodanno cinese, è il patron di Suning in persona, Jindong Zhang, a indicare la rotta. Nel videomessaggio inviato ai circa 100 mila dipendenti, il fondatore del gruppo di Nanchino, proprietario dell’Inter, traccia le linee guida. «Dobbiamo concentrarci sul nostro campo di battaglia principale, iniziare a ridurre, ridisegnare la linea di battaglia. Ci concentreremo risolutamente sul settore della vendita al dettaglio, dovremo chiudere e ridurre le nostre attività irrilevanti per l’industria della vendita al dettaglio, senza esitazione».
Zhang senior parlava delle strategie del gruppo Suning. Il passaggio sulle «attività irrilevanti» agita però l’animo dei tifosi interisti. Fonti interne al club, sottolineano che il discorso del patron non si riferisce all’Inter, ma alle attività domestiche, non estere.
Nel suo video messaggio, Zhang approfondisce il concetto. «Il gruppo Suning sta scaricando il suo peso e intraprendendo la battaglia con un peso più leggero. Sarà necessario continuare a costruire l’esercito di ferro di Suning per andare in battaglia nel campo dell’espansione del business». Parole per caricare i dipendenti del gruppo, colosso in Cina nella vendita degli elettrodomestici. Le esternazioni arrivano però anche alla vigilia del derby, in un momento delicato per la squadra di Conte che vincendo consoliderebbe il primato e allungherebbe sul Milan.
Il futuro dell’Inter resta incerto. Papà Zhang parla apertamente di «ridurre le attività irrilevanti», il figlio Steven, presidente dell’Inter, cerca fondi per sostenere il club in crisi di liquidità. Suning, settimane fa, ha provato a rassicurare l’ambiente, garantendo che avrebbe fatto fronte agli impegni per tutto il 2021. Entro fine marzo vanno regolate pendenze tra i 40 e i 50 milioni: senza quel saldo l’Uefa negherà l’iscrizione alle prossime coppe europee.
Steven Zhang non vorrebbe chiudere l’avventura nerazzurra prima di essersi appuntato lo scudetto sul petto, per questo cerca un prestito ponte di almeno 150 milioni, necessari a completare la stagione. Tra le trattative per la cessione della società o di una sola quota di minoranza e il reperimento di garanzie necessarie per ottenere un finanziamento, la proprietà è impegnata in una corsa contro il tempo. Un fondo avrebbe offerto un prestito, ma chiesto in pegno le azioni della holding Great Horizon: proposta rigettata. Comunque si vogliano leggere le parole di Jindong Zhang, l’Inter e il calcio in generale non possono essere considerati asset strategici. La linea del patron di Suning va nel solco tracciato dal governo cinese: stop agli investimenti non essenziali, privilegiare il mercato interno, basta spese eccessive per il calcio. Così resta sul tavolo l’offerta di Bc Partners da 750 milioni, ritenuta insufficiente. Ma il più grande nemico di Suning ora è il tempo.
CorSera
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Di Francesco sulla via dell'esonero. Ieri ha perso in casa col Torino.
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Ma è chiaro che si va verso la cessione: non si può gestire una società a forza di prestiti.
Il discrimine è solo il quando: essendo in testa, e avendo la possibilità di vincere lo scudetto, per i cinesi sarebbe una beffa vendere prima della fine del campionato...ma la strada è trattaciata.
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Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
Solo una capra come Kessiè poteva infrangere quella norma aurea.
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