Juventus, cosa funziona e cosa no. Qual è la faccia vera? Ronaldo segna sempre, ma Pirlo cerca un’identità
Bianconeri capaci di vincere il primo trofeo tre giorni dopo il crollo contro l'Inter. Oltre a CR7, Szczesny, Cuadrado, McKennie essenziali. Chiesa a sinistra non rende
Se c’è confusione sotto il cielo del nostro calcio, come sempre è tutta «colpa» della Juventus, che vince un altro trofeo tre giorni dopo il crollo di San Siro e lo fa per il decimo anno di fila, come ha sottolineato il suo presidente Andrea Agnelli: «Pas mal, ma il più bello sarà sempre il prossimo!». L’impero quindi colpisce ancora, anche se tre giorni prima capitan Chiellini aveva lasciato intendere che il ciclo stava finendo, salvo poi lamentarsi con la Supercoppa in mano che «qualcuno ci aveva dato per morti».
La Juve fa e disfa, non muore mai perché lo dicono la sua storia, il suo orgoglio e anche le sue attuali risorse, sufficienti per battere una squadra dura come il Napoli in una partita non bella, forse fortunata, di sicuro più logica e lucida di quella giocata contro l’Inter domenica. Madama è alla ricerca di un’anima unica e riconoscibile, perché sembra averne almeno un paio, forse tre, come la maglie da gioco: quella da vittoria, quella da sconfitta «pesante» e quella da pareggio, che poi a Torino è vissuta come una sconfitta light.
Se la Juventus negli ultimi dieci anni non avesse riscritto la storia del calcio italiano e anche la contabilità (a livello di trofei, ma anche di bilanci), forse si farebbero meno drammi per un quinto posto in classifica a dieci punti dal Milan con una partita da recuperare. Però bisogna essere realisti, perché è un gennaio pazzo per tutti, all’interno di una stagione anomala, per usare un eufemismo, in cui c’è poco spazio per allenarsi: in una settimana il Real Madrid di Zidane ha perso la Supercoppa in semifinale contro l’Athletic Bilbao, che poi ha battuto anche il Barcellona; mercoledì invece i blancos sono usciti dalla Coppa del Re contro l’Alcoyano, periferia di Alicante, squadra di serie C, che in Spagna è semiprofessionistica. Il Bayern Monaco invece è stato buttato fuori dalla Coppa nazionale dal Kiel, formazione di B, per quanto di alta classifica.
Il Real, che resta un punto di riferimento per tutto il calcio dall’alto delle sue tredici Champions vinte, ha fatto l’ultima doppietta Liga-Copa nel 1989: la Juventus fino al 2015, c’era riuscita appena tre volte nella sua storia, ma con Massimiliano Allegri ha battuto tutti i record, infilando addirittura quattro doppiette di fila. Sempre il Real, con Ronaldo, nel 2017 aveva fatto la doppietta Liga-Champions, che mancava dal 1958. Morale? Lottare per più obiettivi fino in fondo è l’eccezione, non la norma. E nella stagione più strana e straniante dell’era moderna, lo è ancora di più.
Andrea Pirlo lo sta provando, con sensazioni forti («Da allenatore vincere è ancora più emozionante»), nella sua prima stagione in panchina e lo ha vissuto da calciatore: un po’ come il Milan di Ancelotti, questa Juve può diventare una squadra più da Coppe che da campionato? «No, anche quando giocavo non sceglievo mai — replica Pirlo, che ha 33 punti dopo 17 gare come Allegri nell’anno della grande rimonta 2015-2016 —: una squadra come la Juve ha l’ambizione di vincere tutto. Abbiamo conquistato questa Supercoppa e siamo contenti. Il campionato è ancora lungo, sulla Champions ci concentreremo più avanti».
Tra le pieghe delle troppe anime ci sono alcune certezze: l’essenzialità di Szczesny, la spinta di Cuadrado, la duttilità e il gioco senza palla di McKennie, l’applicazione di Kulusevski, la crescita di Arthur in un centrocampo che resta la chiave di tutto, nel bene e nel male. Una certezza sembra essere anche Chiesa: a sinistra nel lato di Ronaldo, non rende come a destra. Già, CR7, uno che quando va male segna un gol ogni due partite (sono 32 nelle ultime 32 con la Juve...) e decide un altro trofeo: «Questa è la Juve che amiamo, la squadra in cui crediamo e questo è lo spirito che ci condurrà alle vittorie che vogliamo!» ha scritto Cristiano. A tracciare i confini dell’impero bianconero sarà ancora lui.
CorSera
Bianconeri capaci di vincere il primo trofeo tre giorni dopo il crollo contro l'Inter. Oltre a CR7, Szczesny, Cuadrado, McKennie essenziali. Chiesa a sinistra non rende
Se c’è confusione sotto il cielo del nostro calcio, come sempre è tutta «colpa» della Juventus, che vince un altro trofeo tre giorni dopo il crollo di San Siro e lo fa per il decimo anno di fila, come ha sottolineato il suo presidente Andrea Agnelli: «Pas mal, ma il più bello sarà sempre il prossimo!». L’impero quindi colpisce ancora, anche se tre giorni prima capitan Chiellini aveva lasciato intendere che il ciclo stava finendo, salvo poi lamentarsi con la Supercoppa in mano che «qualcuno ci aveva dato per morti».
La Juve fa e disfa, non muore mai perché lo dicono la sua storia, il suo orgoglio e anche le sue attuali risorse, sufficienti per battere una squadra dura come il Napoli in una partita non bella, forse fortunata, di sicuro più logica e lucida di quella giocata contro l’Inter domenica. Madama è alla ricerca di un’anima unica e riconoscibile, perché sembra averne almeno un paio, forse tre, come la maglie da gioco: quella da vittoria, quella da sconfitta «pesante» e quella da pareggio, che poi a Torino è vissuta come una sconfitta light.
Se la Juventus negli ultimi dieci anni non avesse riscritto la storia del calcio italiano e anche la contabilità (a livello di trofei, ma anche di bilanci), forse si farebbero meno drammi per un quinto posto in classifica a dieci punti dal Milan con una partita da recuperare. Però bisogna essere realisti, perché è un gennaio pazzo per tutti, all’interno di una stagione anomala, per usare un eufemismo, in cui c’è poco spazio per allenarsi: in una settimana il Real Madrid di Zidane ha perso la Supercoppa in semifinale contro l’Athletic Bilbao, che poi ha battuto anche il Barcellona; mercoledì invece i blancos sono usciti dalla Coppa del Re contro l’Alcoyano, periferia di Alicante, squadra di serie C, che in Spagna è semiprofessionistica. Il Bayern Monaco invece è stato buttato fuori dalla Coppa nazionale dal Kiel, formazione di B, per quanto di alta classifica.
Il Real, che resta un punto di riferimento per tutto il calcio dall’alto delle sue tredici Champions vinte, ha fatto l’ultima doppietta Liga-Copa nel 1989: la Juventus fino al 2015, c’era riuscita appena tre volte nella sua storia, ma con Massimiliano Allegri ha battuto tutti i record, infilando addirittura quattro doppiette di fila. Sempre il Real, con Ronaldo, nel 2017 aveva fatto la doppietta Liga-Champions, che mancava dal 1958. Morale? Lottare per più obiettivi fino in fondo è l’eccezione, non la norma. E nella stagione più strana e straniante dell’era moderna, lo è ancora di più.
Andrea Pirlo lo sta provando, con sensazioni forti («Da allenatore vincere è ancora più emozionante»), nella sua prima stagione in panchina e lo ha vissuto da calciatore: un po’ come il Milan di Ancelotti, questa Juve può diventare una squadra più da Coppe che da campionato? «No, anche quando giocavo non sceglievo mai — replica Pirlo, che ha 33 punti dopo 17 gare come Allegri nell’anno della grande rimonta 2015-2016 —: una squadra come la Juve ha l’ambizione di vincere tutto. Abbiamo conquistato questa Supercoppa e siamo contenti. Il campionato è ancora lungo, sulla Champions ci concentreremo più avanti».
Tra le pieghe delle troppe anime ci sono alcune certezze: l’essenzialità di Szczesny, la spinta di Cuadrado, la duttilità e il gioco senza palla di McKennie, l’applicazione di Kulusevski, la crescita di Arthur in un centrocampo che resta la chiave di tutto, nel bene e nel male. Una certezza sembra essere anche Chiesa: a sinistra nel lato di Ronaldo, non rende come a destra. Già, CR7, uno che quando va male segna un gol ogni due partite (sono 32 nelle ultime 32 con la Juve...) e decide un altro trofeo: «Questa è la Juve che amiamo, la squadra in cui crediamo e questo è lo spirito che ci condurrà alle vittorie che vogliamo!» ha scritto Cristiano. A tracciare i confini dell’impero bianconero sarà ancora lui.
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