E' morto Paolo Rossi, l'eroe del Mundial 82
Addio a Pablito, l'uomo che fece piangere il Brasile e trascinò gli azzurri di Bearzot alla conquista della coppa del mondo. Aveva 64 anni
Un nome qualunque, tanto qualunque da essere ricordato e dimenticato con la stessa facilità, nascosto tra le migliaia di signor Rossi che un po’ a tutti piace tanto identificare con il cliché dell’italiano medio. Paolo Rossi, che se ne è andato a soli 64 anni, pochi giorni dopo Diego Armando Maradona, quel nome così poco originale lo ha saputo scolpire in maniera indelebile nella storia del calcio. Una carriera breve ma intensa, iniziata e finita come un viaggio senza tregua sulle montagne russe.
Breve, perché quando quell’esile ragazzo di Prato vedeva in bianco e nero Kurt Hamrin, il suo primo idolo, sognando che un giorno lo avrebbe imitato, i suoi menischi già iniziavano a sbriciolarsi come la polvere. Gliene asportano tre, un po’ per una costituzione delicata, un po’ perché all’inizio degli anni settanta i difensori sono ancora della vecchia scuola, di quelli che tracciano una linea immaginaria e ti fanno capire che è meglio non superarla. La Juve si accorge di lui, ma poi per parecchio tempo se ne dimentica. La soddisfazione di esordire in Coppa Italia, in una partita contro il Cesena in cui i suoi compagni di squadra sono Capello e Altafini, ma ad aspettarlo c’è la provincia.
C’è il Como, dove non brilla, ma soprattutto c’è la svolta, a Vicenza. Qui si rende conto di non assomigliare, o forse di non voler più assomigliare ad Hamrin. Non è un uccellino che cinguetta spensierato sulle fasce, ma un rapace famelico che vive per il gol: scatto, velocità, intelligenza, a Gibì Fabbri ci vuole poco per capirlo e portarlo al centro dell’attacco. A Vicenza i gol arrivano a grappoli, in B come in A e poco ci manca che quella squadra di provincia non soffi lo scudetto proprio alla Juventus. Non accade, ma ormai Paolo Rossi non è più un nome qualunque, tanto che il presidente del club veneto Farina si svena con una offerta folle, vincendo alle buste proprio contro la Juve la battaglia della comprorietà.
La gente si accorge di lui, ma soprattutto se ne accorge la nazionale. Enzo Bearzot capisce che è lui la miccia che può far esplodere la nazionale al Mundial di Argentina. Ciccio Graziani è relegato in panchina, il suo gemello del gol, Paolo Pulici, non gioca neanche un minuto. Insieme a Bettega c’è Pablito. Gol alla Francia, all’Ungheria, l’assist a Bettega che permette di battere i padroni di casa e futuri campioni del mondo, quel tocco di rapina all’Austria. L’Italia non ci arriva in finale, ma dà appuntamento per il 1982 in Spagna, quando la squadra sarà ancora più forte.
Ma le montagne russe prevedono una discesa che sembra un vortice: passa da Perugia, dove è stato ceduto, e lo trascina via. E' il calcioscommesse. Il fidanzatino d’Italia finisce nella polvere: lo salvano la Juventus (che lui ripagherà vincendo due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa delle coppe, una Supercoppa europea e la Coppa dei campioni) e soprattutto Enzo Berzot. Il ct se ne frega di un ligure che macina gol grappoli con la Roma e lo aspetta. Sull’aereo per la Spagna Roberto Pruzzo non salirà mai, Rossi invece sì e va ad intrecciare il suo destino con quello dei portieri avversari. In particolare con quello di Valdir Perez: è il portiere del Brasile, uno dei due oggetti misteriosi insieme ad un centravanti lungagnone che si chiama Serginho di una squadra meravigliosa, forse l’ultima di un calcio romantico che non c’è più.
In un pomeriggio bollente al Sarrià di Barcellona, uno stadio inappropriato per una gara del genere, dove adesso ci sono palazzi, negozi, un parco, Rossi segna tre gol alla Seleçao. Significa che l’Italia ha la strada spianata verso la conquista del titolo mondiale, 6 giorni dopo, contro la Germania. Rossi segna ancora, come aveva segnato – due volte- anche nella semifinale contro la Polonia. Paolo Rossi ormai è Pablito: lo chiamano così anche a Parigi dove, secondo italiano nella storia dopo Gianni Rivera, conquista il Pallone d'Oro. In carriera ha giocato con Juventus, Como, Vicenza, Milan e Verona: ma a chi gli ha chiesto a quale maglia fosse maggiormente legato, ha sempre risposto senza esitare: ‘a quella azzurra’ .
Addio a Pablito, l'uomo che fece piangere il Brasile e trascinò gli azzurri di Bearzot alla conquista della coppa del mondo. Aveva 64 anni
Un nome qualunque, tanto qualunque da essere ricordato e dimenticato con la stessa facilità, nascosto tra le migliaia di signor Rossi che un po’ a tutti piace tanto identificare con il cliché dell’italiano medio. Paolo Rossi, che se ne è andato a soli 64 anni, pochi giorni dopo Diego Armando Maradona, quel nome così poco originale lo ha saputo scolpire in maniera indelebile nella storia del calcio. Una carriera breve ma intensa, iniziata e finita come un viaggio senza tregua sulle montagne russe.
Breve, perché quando quell’esile ragazzo di Prato vedeva in bianco e nero Kurt Hamrin, il suo primo idolo, sognando che un giorno lo avrebbe imitato, i suoi menischi già iniziavano a sbriciolarsi come la polvere. Gliene asportano tre, un po’ per una costituzione delicata, un po’ perché all’inizio degli anni settanta i difensori sono ancora della vecchia scuola, di quelli che tracciano una linea immaginaria e ti fanno capire che è meglio non superarla. La Juve si accorge di lui, ma poi per parecchio tempo se ne dimentica. La soddisfazione di esordire in Coppa Italia, in una partita contro il Cesena in cui i suoi compagni di squadra sono Capello e Altafini, ma ad aspettarlo c’è la provincia.
C’è il Como, dove non brilla, ma soprattutto c’è la svolta, a Vicenza. Qui si rende conto di non assomigliare, o forse di non voler più assomigliare ad Hamrin. Non è un uccellino che cinguetta spensierato sulle fasce, ma un rapace famelico che vive per il gol: scatto, velocità, intelligenza, a Gibì Fabbri ci vuole poco per capirlo e portarlo al centro dell’attacco. A Vicenza i gol arrivano a grappoli, in B come in A e poco ci manca che quella squadra di provincia non soffi lo scudetto proprio alla Juventus. Non accade, ma ormai Paolo Rossi non è più un nome qualunque, tanto che il presidente del club veneto Farina si svena con una offerta folle, vincendo alle buste proprio contro la Juve la battaglia della comprorietà.
La gente si accorge di lui, ma soprattutto se ne accorge la nazionale. Enzo Bearzot capisce che è lui la miccia che può far esplodere la nazionale al Mundial di Argentina. Ciccio Graziani è relegato in panchina, il suo gemello del gol, Paolo Pulici, non gioca neanche un minuto. Insieme a Bettega c’è Pablito. Gol alla Francia, all’Ungheria, l’assist a Bettega che permette di battere i padroni di casa e futuri campioni del mondo, quel tocco di rapina all’Austria. L’Italia non ci arriva in finale, ma dà appuntamento per il 1982 in Spagna, quando la squadra sarà ancora più forte.
Ma le montagne russe prevedono una discesa che sembra un vortice: passa da Perugia, dove è stato ceduto, e lo trascina via. E' il calcioscommesse. Il fidanzatino d’Italia finisce nella polvere: lo salvano la Juventus (che lui ripagherà vincendo due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa delle coppe, una Supercoppa europea e la Coppa dei campioni) e soprattutto Enzo Berzot. Il ct se ne frega di un ligure che macina gol grappoli con la Roma e lo aspetta. Sull’aereo per la Spagna Roberto Pruzzo non salirà mai, Rossi invece sì e va ad intrecciare il suo destino con quello dei portieri avversari. In particolare con quello di Valdir Perez: è il portiere del Brasile, uno dei due oggetti misteriosi insieme ad un centravanti lungagnone che si chiama Serginho di una squadra meravigliosa, forse l’ultima di un calcio romantico che non c’è più.
In un pomeriggio bollente al Sarrià di Barcellona, uno stadio inappropriato per una gara del genere, dove adesso ci sono palazzi, negozi, un parco, Rossi segna tre gol alla Seleçao. Significa che l’Italia ha la strada spianata verso la conquista del titolo mondiale, 6 giorni dopo, contro la Germania. Rossi segna ancora, come aveva segnato – due volte- anche nella semifinale contro la Polonia. Paolo Rossi ormai è Pablito: lo chiamano così anche a Parigi dove, secondo italiano nella storia dopo Gianni Rivera, conquista il Pallone d'Oro. In carriera ha giocato con Juventus, Como, Vicenza, Milan e Verona: ma a chi gli ha chiesto a quale maglia fosse maggiormente legato, ha sempre risposto senza esitare: ‘a quella azzurra’ .
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