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Champions, il Real rolla a Kiev con lo Shakhtar: rischia la clamorosa eliminazione
Continua la stagione paradossale della squadra di Zidane, capace di battere due volte l'Inter ma anche si arrendersi agli ucraini (che ne hanno presi 10 un due gare dal M'Gladbach), sia all'andata che al ritorno
Non bisogna essere troppo severi con il Real Madrid. Forse siamo noi a non capirlo, questo Real Madrid. È una società leggendaria, saggia, carica di storia e di esperienza. Adesso scopre sulla sua pelle che in questi tempi cupi, senza pubblico, con la pandemia strisciante che decima le squadre e forse attenua anche la passione dei tifosi davanti alla tv, non si può dare nulla per scontato. E la sconfitta a Kiev con lo Shakhtar, che mette a repentaglio la qualificazione agli ottavi di Champions, ne è la riprova. Interpreta una parte inedita: la squadra "che non sai cosa aspettarti", la squadra per cui "ogni partita è un terno al lotto". E lo sta facendo da consumata commediante.
In questi ultimi mesi, non c'è stata una sola volta in cui il Real Madrid, in campionato o in coppa, non abbia affrontato la partita precisando a stessa negli spogliatoi, fra il rumore dei tacchetti sulle piastrelle del pavimento, in una specie di "haka" rovesciata: "Ancora una volta non sappiamo cosa potremo combinare?". È un modo, davvero nuovo, per ravvivare l'interesse per il calcio? Una cosa è certa. Messo così, pensato così, vissuto così in campo dai suoi interpreti, sempre meno "galacticos", il Real non potrà andare avanti a lungo. Nel senso che andando male in Liga e rischiando di uscire ai gironi in Champions per la prima volta, l'unico epilogo, vagamente ragionevole, ma difficilmente praticabile, dovrebbe essere la defenestrazione collettiva di staff tecnico e calciatori entro la fine dell'anno.
Se Zidane non vedesse più strade praticabili, sarebbe il primo a chiamarsi fuori. Poi c'è la questione della rosa: che è giovane e al tempo stesso vecchia. La cosa buffa è che sia i giovani sia i vecchi sembrano stanchi: di vestire ancora quella maglia. Ha grandi promesse (Rodrygo, Vinicius, Valverde), sta entrando bene il 21enne norvegese Odegaard, ma è anche vero che le speranze della generazione precedente (Asensio, Lucas Vazquez) non hanno dato i frutti sperati: Asensio è scomparso dopo un infortunio e quando è tornato sembrava e tuttora sembra un altro, Lucas per giocare ha accettato di migrare in difesa. Le star del Real Madrid, Benzema, Kroos, Modric, Casemiro, per come stanno giocando in questi ultimi tempi, alimentano questo "gioco dell'incertezza": sono così poco continui, così poco affidabili, e qualcuno ha anche perso il posto da titolare.
Stanno forse mandando segnali a qualcosa o a qualcuno? Vogliono farci credere di essere in dismissione? Non sarebbe neanche così strano, se è vero che anche di Sergio Ramos, l'unico a rappresentare l'identità "merengue", si parla di addio a fine anno. Evidentemente, con la prospettiva di una prossima rifondazione, il colore "merengue" (la sfumatura di bianco di cui cominciò a parlare per primo il radiocronista Matias Prats Cañete e peraltro tradita quest'anno, quando l'Adidas ha proposto un bianco avorio, forse per avvicinarsi al bianco delle pañolade di protesta...), non è più una meta da crociera, non è più momentaneamente disponibile come rassicurante traguardo professionale. Quello che è certo, per il momento, è che il Real Madrid potrebbe uscire per la prima volta ai gironi di Champions da quando vi partecipa (1995-96). Anche se una volta venne ripescata come seconda (il girone, guarda la coincidenza, l'aveva vinto l'Inter!). La formula era stata avviata l'anno prima, ma nel '94 il Real Madrid giocava la Coppa Uefa.
Quella con lo Shakhtar non è stata una sconfitta: è stata una resa temporanea, una sospensione di talento decisa in modo democratico (da tutti) e per questo ancora più dolorosa ed efficace. Il Real gioca venti minuti, può fare due reti, poi si addormenta: manca il brivido della sua grandezza. Dicono che sia la squadra che più paga l'assenza del pubblico perché oltre al pubblico, per ragioni economiche, il Real ha dovuto fare anche a meno del Bernabeu (in casa gioca allo Stadio Di Stefano del centro tecnico di Valdebebas).
Il Real Madrid ha perso contro una squadra, lo Shakhtar, che in due partite ha preso dieci reti dal Mönchengladbach. Però batte due volte l'Inter, ritrovando di colpo, sempre per la regola dell'incertezza, la sua personalità. Ce ne vuole. In questo momento, ad uscire in uno stesso girone sarebbero Real Madrid e Inter, ossia due squadre che hanno disputato due finali di Coppa del Campioni una contro l'altra (a pari punti con lo Shakhtar, il Real Madrid sarebbe terzo per aver perso entrambi gli scontri diretti). Sapete quante volte è successo, nella storia della Champions? Un'altra volta soltanto: quando nel 2000, nello stesso girone, furono eliminate Juventus e Amburgo. E un'altra volta, sono uscite, nello stesso giorno, due vincitrici di Coppa dei Campioni: Ajax e Celtic nel 2013.
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Juventus-Dinamo Kiev, formazioni e dove vederla: Pirlo ritrova Ronaldo e cerca risposte. Out Dybala
Una vittoria in Ucraina permetterebbe ai bianconeri, già qualificati, di giocarsi il primo posto del girone tra una settimana a Barcellona. Torna anche Bonucci
Vincere, per regalarsi la possibilità di superare il Barcellona allo sprint tra una settimana al Camp Nou: attualmente serve un successo per 3-0 contro Messi e compagni. Ma la Juve stasera deve soprattutto convincersi che la strada giusta era quella vista con Lazio e Cagliari e non quella, simile a un vicolo cieco, intrapresa contro Ferencvaros e Benevento. La squadra di Pirlo è già qualificata con due turni d’anticipo agli ottavi come nel 2019 (quando il girone era più tosto) e non è certo la sfida contro la Dinamo Kiev, con temperature al di sotto dello zero, a rappresentare un bivio della stagione.
Tuttavia il quinto pareggio in nove partite di campionato ha fatto emergere qualche inquietudine e alcune critiche, piuttosto naturali, dato che stiamo parlando di una squadra che viene da nove scudetti vinti e nessun componente del club bianconero ha mai parlato di anno di transizione: «Siamo abituati alle critiche — chiosa Pirlo a Sky Sport —, fanno piacere, perché vuole dire che a qualcuno do fastidio e sono abituato a queste cose».
Il rumore dei nemici — anche il minimo scricchiolio — è sempre un elemento tonificante e unificante. Quello che interessa all’allenatore però è ben altro: vedere dei progressi, trovare la continuità, affinare i meccanismi, avere risposte da alcuni singoli che hanno perso il passo o non l’hanno ancora trovato. E naturalmente anche ritrovare traccia di quella personalità che non si vede nei momenti topici delle partite, quando c’è da mettere al sicuro il risultato. Pirlo, che ritrova Ronaldo e Bonucci, lo ha detto chiaramente a Benevento («Ci sono pochi giocatori di personalità») anche se si stupisce per il risalto che hanno avuto le sue parole: «Non credo di aver detto cose così forti, poi sono state frasi di circostanza e ho detto ai ragazzi che bisogna avere più voglia di raggiungere il risultato».
Morata è stato squalificato in campionato addirittura per due giornate per «frasi irriguardose» all’arbitro Pasqua e salterà quindi le prossime sfide con Torino e Genoa, ma sarà titolare questa sera. Il turno di riposo tocca a Dybala, alle prese con una lenta risalita, atletica e tattica: «Nella sua indole è normale abbassarsi e toccare un po’ più di palloni senza avere l’uomo attaccato — dice Pirlo — però glielo ripeto tutti i giorni che deve giocare in certi tipi di spazi ed esser libero di trovare la giocata vincente». Tempo per capirsi ce n’è. Basta convincersi.
Juventus 4-4-2: Szczesny; Demiral, Bonucci, De Ligt, Alex Sandro; Chiesa, Bentancur, Rabiot, Ramsey; Morata, Ronaldo. Dinamo Kiev 4-2-3-1: Bushchan; Kedziora, Zabarnyi, Mykolenko, Karavaiev; Shepelev, Garmash; Shaparekno, Sydorchuk, De Pena; Verbic. Arbitra: Stephanie Frappart (Francia) Tv: ore 21 Sky Sport
CorSera
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Borussia Dortmund-Lazio, formazioni e dove vederla: Immobile contro Haaland con voglia di vendetta. Pace fatta Lotito-Peruzzi
La squadra di Inzaghi può qualificarsi agli ottavi di finale di Champions se fa lo stesso risultato del Bruges, impegnato con lo Zenit. Inzaghi ritrova Milinkovic
A Dortmund lo hanno scaricato presto. Un anno e via, benché lo avesse voluto Klopp: questo italiano non fa per noi. Ha faticato un bel po’ per riprendersi da quella bocciatura, Immobile, ma stasera torna al Westfalenstadion assieme alla sua Lazio con una Scarpa d’oro in mano, pronto a sfidare il nuovo fenomeno del calcio europeo: Haaland, 17 gol in 14 partite in questa stagione con il Borussia, più 6 con la nazionale norvegese. È il duello tra uno che si è fatto da solo, riemergendo dai fallimenti e migliorandosi con gli allenamenti, e un predestinato, indicato come fuoriclasse da quando era ragazzino. In palio ci sono gli ottavi di Champions, che entrambe le squadre hanno in mano ma di cui nessuna delle due è sicura. E poi c’è da decidere il primo posto, che qualcosa conta.
A Inzaghi per qualificarsi basta fare lo stesso risultato del Bruges; anche una sconfitta, se i belgi dovessero perdere in casa con lo Zenit. Per la Lazio sarebbe un risultato storico, visto che non arriva alla fase a gironi dal 2000. Dice l’allenatore: «Vorremmo avere la certezza di superare il turno dopo questa gara, per evitare di correre rischi nell’ultima partita. Finora ci siamo meritati di andare avanti, ma manca ancora qualcosa. Siamo consapevoli della nostra forza e felici di quanto abbiamo ottenuto finora, siamo l’unica squadra italiana imbattuta in Champions».
La Lazio (che giocherà con il lutto al braccio per ricordare il responsabile della comunicazione, Arturo Diaconale) per la gara di Dortmund recupera tutti i titolari, compreso Milinkovic-Savic che domenica, in occasione della disfatta con l’Udinese, è rimasto in panchina perché ancora debilitato dal Covid. È rientrato il caso Peruzzi: l’ex portiere, oggi club manager, ha assistito alla rifinitura a Roma dopo avere parlato con Lotito, con cui si era scontrato per la gestione della vicenda Luis Alberto. Angelo non è andato a Dortmund perché non si è sottoposto lunedì al tampone previsto dalla Uefa.
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Maradona, l’ultimo desiderio di Diego: «Tornare nella mia Cuba». Nella chat i dubbi dei figli sulle cure
Al ritiro nell’isola lavorava anche la psichiatra interrogata martedì. Un messaggio WhatsApp svela i dubbi dei familiari sull’assistenza nell’isolata casa di Tigre
«Piano ritorno Cuba». L’ultima speranza e il destino a breve erano scritti nelle tre parole d’un file. Maradona ci sperava, lo chiedeva: rimandatemi nella mia Isla Feliz. L’unico posto dove Diego credeva di potercela fare. L’estremo luogo di un’anima persa. Il buen retiro da tutto. Un po’ per calmarlo, un po’ perché forse ci credeva pure lei, la giovane psichiatra Agustina Cosachov ci stava lavorando. E assieme allo psicologo Carlos Diaz stava programmando, appena possibile, il trasporto di Maradona alla Pradera, nel centro di disintossicazione che l’aveva già curato tanto tempo fa: nell’Avana dove il Pibe aveva lasciato cinque anni di memorie (e tre figli).
Ieri mattina, la polizia ha suonato allo studio e alla casa della dottoressa Cosachov, cinque isolati l’uno dall’altra, e al terzo piano hanno sequestrato tutto. Pc, telefonini, cartelle cliniche. E pure il file del «Piano ritorno Cuba», perché la procura di San Isidro si sta convincendo d’una cosa: se a Maradona è ceduto il cuore, bisogna capire cosa fossero quegli psicofarmaci che gli davano. E come mai glieli dessero. E quale fosse il piano della psichiatra, prima di rientrare a Cuba, per far tornare Diego almeno a una vita normale.
Non solo Luque. Si lavora sulle malpratiche e sullo stato d’abbandono d’un uomo che poteva essere curato meglio e non doveva restare tanto solo. Il sesto giorno d’inchiesta, dopo aver indagato per omicidio colposo il neuropsichiatra Leo Luque, tanto amico di Maradona quanto inviso alla famiglia, i magistrati Laura Capra, Cosme Irribarren e Patricio Ferrari si riuniscono col procuratore capo e mettono al centro del mirino anche il medico che aveva prescritto gli antidepressivi, prima e dopo l’operazione alla clinica Olivos. Farmaci inadatti, il sospetto: costringevano il cuore di Maradona, pesante il doppio della norma, a 115 battiti/minuto anche nel sonno, quando un malato di coronarie come lui non doveva andar oltre gli 80.
La Cosachov è stata convocata come persona informata dei fatti. Specie i fatti concitati dell’emergenza: quando l’onnipotente avvocato di Maradona, Matias Morla, cercò di contrabbandare a tutti un inesistente ritardo delle ambulanze (perché?); quando l’infermiera Gisela Madrid s’inguaiò firmando una relazione falsa (spinta da chi?). Ora è chiaro che sono la Cosachov e Luque a dover dare risposte, «in questa storia medica fatta tutta di telefoni e computer», come dice l’avvocato della psichiatra.
Per dirne una, c’era una chat dei figli di Diego — Dalma, Giannina e Diego Junior — e vi partecipava anche Agustina, 35 anni, specialista in dipendenze, una carriera coltivata in centri di salute mentale per agiati bonaerenses del quartiere Palermo: graziosa, su qualche sito di gossip fatta passare addirittura per ultima fiamma di Maradona, «uno dei pochi medici che sono riusciti a guadagnarsi la sua fiducia». Su questa chat la psichiatra aveva chiesto un’ambulanza h24, inutilmente, e fatto presente come dalla clinica Olivos raccomandassero «un trattamento psichiatrico, clinico, riabilitativo e tossicologico» in un centro adeguato, non domiciliare. Chi disse no?
Nei messaggi WhatsApp, acquisiti agli atti, ce n’è uno che svela i dubbi dei familiari sull’assistenza nell’isolata casa di Tigre, dove mancavano pure i bagni e ci s’accontentava d’un wc chimico: «Papà ha vomitato — scriveva Dalma il 2 novembre —, ha mangiato gamberi all’aglio e broccoli, e non vuole che un’ambulanza vada a controllarlo. Agustina dice che è una decisione della famiglia! Ecco perché scrivo. Credo ci siano cose che i familiari non debbano decidere. Per questo servirebbe un medico clinico o almeno un medico che risponda per lui». Oggi, a una settimana dalla morte, arrivano le analisi tossicologiche. Urine e tamponi ci diranno se Diego bevesse ancora, si drogasse sempre. E se il «Piano ritorno Cuba» fosse l’ultima illusione d’un campione perduto.
CorSera
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Borussia-Inter, Sconcerti: Lukaku ha fatto la partita perfetta. Inventa il gioco solo spostandosi
È diventato una perfezione dinamica, un centravanti che gioca per sé e per tutti, molto al di là dei gol che segna
di Mario Sconcerti
È stata una bella Inter, agile e sventata, sempre disposta a far gol e a prenderne, spinta dal miglior Lukaku mai visto in Italia. Una di quelle partite che ribaltano a volte una stagione e comunque rimettono tutti in strada. È stato bravo Antonio Conte a capire prima una partita non molto leggibile. Ha scelto una squadra coperta perché contro la qualità un po’ noiosa ma insistente dei tedeschi aveva bisogno di una linea mediana forte che tagliasse in largo tutto il campo. Il fantasista dei tedeschi è Lainer, un terzino. Thuram e Plea hanno fisico e partono da lontano.
Serviva una squadra più di lotta che di governo. A quello ha pensato Lukaku, impressionante per come inventa il gioco anche solo spostandosi. Quando si ha il suo fisico la difficoltà sta nel metterlo in sintonia con la palla, la famosa potenza che da sola s’imbroglia. Lukaku oggi è una perfezione dinamica, si è asciugato da piccole goliardie, è diventato veramente sostanza. Un centravanti che gioca per sé e per tutti, molto al di là dei gol che segna. È stata la sua partita perfetta.
C’è stata leggerezza nel far tornare in gara il Borussia in pochi minuti, ci sono stati momenti in cui la difesa si è aperta improvvisamente, ma ce ne sono stati molti altri in cui l’Inter poteva segnare altri due o tre gol. Oggi è stata un’Inter vera, ma con un pareggio tra Real e Borussia all’ultima partita, anche questa impresa può rimanere una cartolina. In prospettiva generale però l’Inter cresce e ha sveltito il gioco. È guidata bene e in modo anche spregiudicato ora che il fiato è corto. Forse la stagione comincia davvero adesso.
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L'obiettivo della Roma è chiaro: serve la qualificazione in Champions League. Per ottenerla, Paulo Fonseca si è affidato al tridente Dzeko-Pedro-Mkhitaryan. La qualità è indiscutibile, ma la carta d'identità pesa. Il bosniaco ha 34 anni, lo spagnolo 33 e l'armeno 31.
Per ottenere il massimo da loro il tecnico portoghese non può chiedere ai tre un lavoro di sacrificio eccessivo. E allora ecco che contro le grandi si rischia di avere una squadra spezzata, in cui il tridente offensivo non aiuta a sufficienza nella fase di non possesso. Non è un caso che in 3 big match - contro Milan, Napoli e Juventus - la Roma abbia subito ben 9 gol.
(Corsera)
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Quando un allenatore inzia a ribadire che: "la squadra mi segue" non è un bel segno.
Questo Pirlo non lo vedo con le idee chiare o con la capacità di trasmetterle, tradurle alla squadra. Inoltre, è poco grintoso, pare una statua di sale. Non lo so se ha il completo controllo della situazione e in testa una qualche direzione chiara, capace di dare una svolta.
In campionato finora non si sono fatte due vittorie di fila, con turni anche facili.
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Quando un allenatore inzia a ribadire che: "la squadra mi segue" non è un bel segno.
Questo Pirlo non lo vedo con le idee chiare o con la capacità di trasmetterle, tradurle alla squadra. Inoltre, è poco grintoso, pare una statua di sale. Non lo so se ha il completo controllo della situazione e in testa una qualche direzione chiara, capace di dare una svolta.
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A me Pirlo non scalda per niente. E' come se la squadra (ancora) non avesse l'allenatore.
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Ho capito, ma sembrava che l'avessi proprio disconosciuto come persona
No, è stato casuale, senza intenzione di quel tipo
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