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Francisco Cornejo, l'allenatore dei bambini dell'Argentinos Juniors che scopri' Maradona, in passato aveva raccontato la storia di come aveva incontrato Diego per la prima volta, quando questi aveva solo otto anni. E' una storia che racconta anche Buffa: Maradona gia' a quell'eta' era cosi' forte che Cornejo pensava si trattasse di un nano piu' vecchio che stava barando sull'eta'. Ma la parte divertente e' che se anche fosse stato un nano, Cornejo non era disposto a farselo scappare, lo avrebbe fatto giocare in qualsiasi categoria di eta'. La prima parte della storia, per chi mastica un po' di spagnolo, e' qui https://www.elsalvador.com/deportes/...o/780147/2020/
Avevo letto anche il seguito, in cui poi gli allenatori dell'Argentinos Juniors vanno col camioncino a Villa Fiorito, un sobborgo di Buenos Aires a chiedere a Dona Tota il certificato di nascita di suo figlio Diego. E guidando per Villa Fiorito, tra rottami, spazzatura e liquami si chiedevano come fosse possibile vivere tra tanta miseria, uno spettacolo desolante anche per i gia' molto bassi standard dell'Argentina di allora.
Perche' quando si valuta la persona bisogna anche capire da dove e' saltato fuori.
es un enano!
es un enano!
lo sabia que era un enano!!!
Originariamente Scritto da SPANATEMELA
parliamo della mezzasega pipita e del suo golllaaaaaaaaaaaaazzzoooooooooooooooooo contro la rubentus
Originariamente Scritto da GoodBoy!
ma non si era detto che espressioni tipo rube lanzie riommers dovevano essere sanzionate col rosso?
Non ho la forza da ieri ne di parlare ne di scrivere...e per questo mi scuso con tutti e soprattutto con Diego.
Mi limito a riportare due stralci del libro sul calcio che sto scrivendo, estratti dal pezzo su Maradona.
"In semifinale contro i diavoli rossi del Belgio segna altri due gol straordinari, il secondo affrontando e dribblando frontalmente quattro avversari, come un coltello caldo che affonda nel burro; il colosso di Santa Ursula è tutto in piedi ad applaudire, nessuno può e nessuno deve restare seduto innanzi ad un genio di simile immane magnitudo". "Esiste da sempre e per sempre, era presso Dio prima che il calcio fosse, era Dio! Dio che staccatosi dall'uno è venuto in Terra a dare gioia alla gente".
Grazie Diego di essere esistito, ti amerò per sempre.
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Gianni Di Marzio: «Quando nel ‘78 presi Maradona per darlo al Napoli» (ma le frontiere erano chiuse)
L’ex tecnico degli azzurri: «Andai a Buenos Aires lo convinsi a fare un provino e gli feci firmare un’opzione per 270mila dollari»
Maradona fu comprato per la prima volta dal Napoli quando non aveva ancora diciotto anni e il contratto – un’opzione per la verità – venne firmato davanti alla toilette di uno stadio di Buenos Aires. A prenderlo fu Gianni Di Marzio, che della squadra azzurra era l’allenatore ma anche molto altro. Il racconto ci catapulta in un calcio diverso e in un mondo diverso. Niente Youtube, niente Wyscout: se volevi conoscere un giocatore, e magari acquistarlo, dovevi chiudere la valigia, salire su un aereo e partire.
Di Marzio, come scoprì Maradona?
«Grazie a un tassista di Buenos Aires. Fu lui il primo a farmi quel nome. Parlandoci, capii che era informatissimo sul calcio. Gli chiesi: ma c’è qualche giocatore forte da queste parti? Era tifoso del Boca, però mi rispose: l’Argentinos Juniors ha un ragazzino che è un fenomeno, diventerà un crac. Sbuffai: sai quante volte mi hanno parlato di fenomeni e poi non valevano niente?».
Però seguì il suo consiglio.
«Quando Ferlaino mi aveva chiamato al Napoli, l’anno prima, avevo cambiato tutto. Via i vecchi campioni, Burgnich, Orlandini, Clerici, e dentro un gruppo di ragazzini presi in serie C. Andammo benissimo in campionato e arrivammo in finale di Coppa Italia, la perdemmo con l’Inter. Si parlava della riapertura delle frontiere, in Argentina c’era il Mondiale, dissi: voglio andare a vedere cosa c’è da quelle parti. Partii a spese mie».
E incontrò il tassista.
«Mi stava portando a vedere Olanda-Germania. Insisteva con questo Maradona, allora mi decisi a chiamare l’Argentinos Juniors. Era una polisportiva e il presidente era un ingegnere italiano, Settimio Aloisio, che poi sarebbe diventato procuratore di tanti argentini, ad esempio Batistuta. Mi conosceva perché ero stato a Catanzaro e lui ne era tifoso, da buon calabrese. Mi disse: organizzo una partita, così lo puoi vedere».
Cosa accadde quando vide Maradona per la prima volta?
«Andammo al campo, assieme a due giornalisti italiani che mi seguivano ovunque, ma Diego non c’era. Era rimasto a Villa Fiorita, una favela di Buenos Aires, perché era arrabbiato con Menotti che non lo aveva convocato in nazionale per i Mondiali. Andammo a cercarlo, lo trovammo: non ho mai visto tanta povertà, eppure di favelas ne ho viste, anche quelle di Rio. E poi mi pareva un po’ così: piccolo, tracagnotto. Ma dove andiamo con questo?, mi chiesi».
Lo convinceste a giocare.
«Sì, venne al campo e dopo un quarto d’ora di partita dissi ad Aloisio: accompagnami alla toilette che non so dove sia. Una volta soli gli chiesi di fare uscire subito Maradona dal campo, uno di quei giornalisti era amico di Lenzini, il presidente della Lazio, e avevo paura che lo avvertisse di quanto fosse forte. Firmammo immediatamente un’opzione a favore del Napoli, bloccai Diego per 270 mila dollari, sotto a quella tribuna in tubi innocenti».
Avevate in mano Maradona.
«Trascorsi con lui 15 giorni, lo volevo conoscere bene. Quando partii mi accompagnò in aeroporto e mi disse: non dimenticarti di Diego. E chi se lo scordava, uno così? Avvertii Ferlaino: portalo in Europa, parcheggialo in Svizzera e quando riaprono le frontiere lo prendiamo con noi. Non riuscii a convincerlo, ci provò anche Juliano che allora era capitano del Napoli e al quale avevo raccontato tutto. Lasciammo cadere l’opzione».
Così Maradona andò al Boca e, poi, al Barcellona.
«Fu proprio Juliano, diventato direttore sportivo del Napoli, ad andare a prenderlo in Spagna assieme a un altro grande dirigente, Dino Celentano, per portarlo in azzurro. Con sei anni di ritardo, però».
Ma Diego non si è mai dimenticato di lei.
«Perché chi è stato povero, povero davvero, sa cosa sia la riconoscenza. Era un buono, lo hanno usato come una slot machine, troppi si sono approfittati di lui. Quando l’ho incontrato di nuovo, negli anni successivi, è sempre stato meraviglioso con me. No, non si era scordato niente».
CorSera
...ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Inter-Real, Conte non è riuscito a cambiare la mentalità. Esonerarlo? No, ma deve subito cambiare passo
La seconda stagione, dopo la pace con la società doveva essere di consolidamento e rilancio. Non sta avvenendo
Con la qualificazione agli ottavi di finale di Champions compromessa dalla sconfitta con il Real, a meno di un vero miracolo, l’Inter di Conte rischia già di segnare In modo indelebilmente negativo la sua stagione. L’avvio è stato il peggiore che ci si potesse aspettare, Conte finora non è riuscito a dare un’identità precisa alla squadra, questa è per ora la più grande criticità. Anche nella passata stagione, l’Inter non ha mai trovato il modo di far emergere il suo potenziale negli scontri diretti , in cui è stata quasi sempre battuta.
La squadra ha sempre evidenziato un limite di mentalità, mostrandosi fragile nelle occasioni più importanti. Proprio questo è il lato negativo dell’avventura di Conte all’Inter. L’allenatore è stato scelto per le sue qualità tecniche, ma soprattutto per il suo carisma. Fu l’ad Beppe Marotta a spiegare che serviva qualcuno con il lanciafiamme. La prima stagione di Conte ha segnato indubbiamente un cambio di rotta e ha portato anche risultati che l’Inter non otteneva da tempo, un secondo posto e una finale europea. La nuova stagione doveva essere quella del consolidamento, finora però è stata avara di risultati, non di grandi fibrillazioni. La panchina dell’allenatore non è e non può essere a rischio.
L’incontro di questa estate, con la dirigenza e il presidente, è stato un chiarimento che avrebbe dovuto rasserenare l’ambiente. È stato così a parole, i buoni propositi però non sono stati seguiti dal mercato, fatto più di necessità che di scelte. La squadra andata in campo contro il Real Madrid aveva soltanto due giocatori diversi rispetto a quella dell ’anno passato , Hakimi e Vidal, peraltro i peggiori in campo.
La difesa è la stessa, l’attacco anche, allora cos’è che non funziona nell’Inter che continua a prendere gol , a non ottenere risultati e ultimamente a offrire brutte prestazioni in serie? È un problema di uomini, di modulo, di mentalità, di allenatore, di società? È un’insieme di tutto questo. Conte ha detto alla vigilia della partita contro gli spagnoli: «Tutti dobbiamo assumerci le nostre responsabilità».
All’Inter manca sempre qualcosa per fare un salto di qualità atteso ormai da 10 anni e sfiorato nella passata stagione. Conte ha le sue colpe, ma non può essere l’unico indiziato per una situazione che rischia di sfuggire di mano se in settimana non arriveranno risultati convincenti contro il Sassuolo e il Borussia. Sul banco degli imputati, oggi c’è lui, perché ha alle spalle una carriera di successi e uno stipendio da 12 milioni che lo costringe a portare risultati.
È vero pure però che la qualità degli avversari, soprattutto in Europa, è sempre superiore. Chi chiede a gran voce l’esonero ha la memoria corta, non ricorda la storia recente dell’Inter, fatta di stagioni insensate e fuori dall’Europa. Conte però deve cambiare passo, essere se stesso, senza trattenersi né snaturarsi. Se vuole uscire da questa situazione non deve tentare di mediare o aggiustare, torni a imbracciare il lanciafiamme è la cosa che gli riesce meglio e l’unica speranza di tornare a vedere l’Inter che chiuse così bene la scorsa stagione.
CorSera
...ma di noi
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forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Inter, Conte non rischia l’esonero. Ma ora deve dare una svolta alla stagione, i bonus sono finiti
Vidal involuto, la gestione di Eriksen e la sconfitta con il Real Madrid: il tecnico da 12 milioni all’anno finisce sul banco degli imputati. Non può più sbagliare
Alla domanda del giorno la risposta è una: no. L’Inter non ha nessuna intenzione di esonerare Antonio Conte. Poi di altre questioni ne arrivano a pioggia e lì le risposte non sono più così secche. La sconfitta con il Real Madrid ha compromesso le chance di qualificazione agli ottavi di Champions. Per farcela i nerazzurri devono vincere le prossime due partite e sperare che la formazione di Zidane batta il Borussia. Gli eventuali calcoli sono rinviati a martedì, dopo il match con i tedeschi. Va capito se la stessa squadra surclassata dal Real Madrid è in grado di riprendere un cammino diverso, di certo i bonus sono terminati.
Conte ai giocatori l’ha detto negli spogliatoi dopo il k.o. con il Real: la sconfitta è pesante, ma la stagione non è finita, c’è molto su cui lavorare e molto ancora da guadagnare. Una sorta di chiamata alle armi, un’invocazione a non mollare mai, a invertire la rotta, senza far drammi. Sul banco degli imputati siede lui. Il tecnico da 12 milioni deve dare una svolta a una stagione che s’è infilata in una brutta piega. «C’è da lavorare tanto, ma se non mangerò il panettone si vede che non l’avrò meritato. Se la squadra mi rema contro? È una domanda stupida», ha ribattuto a Striscia la Notiziaricevendo il Tapiro. A Natale Conte arriverà.
L’eliminazione in Champions sarebbe un fardello pesante da trascinare. Costerebbe 10 milioni in mancati introiti, andrebbero a sommarsi a un passivo superiore ai 100 che oggi l’assemblea degli azionisti ratificherà. Al di là dei numeri e delle previste comunicazioni ufficiali del presidente Zhang, l’Inter è una macchina inceppata. Contro il Real la formazione titolare aveva solo due giocatori diversi rispetto alla stagione scorsa, Hakimi e Vidal, entrambi disastrosi. La preparazione striminzita non spiega tutto, la sfortuna neppure, gli impegni con le Nazionali neanche. La flessione da fine ottobre è lampante, le gare con Torino e Real Madrid lo testimoniano. Non è da Inter perdere in modo remissivo.
Il cileno è la scommessa di Conte e finora non ha pagato. Il centrocampista sarà multato per l’espulsione, ma al di là dei provvedimenti, sono da capire i motivi dell’involuzione: trascinatore nella Juventus, non è fiorito all’Inter. Le prestazioni di Vidal sono una puntura per l’allenatore, come la gestione di Christian Eriksen. Il danese è sul mercato, l’ha certificato pure Marotta e i miseri 4 minuti giocati con il Real. Finché resterà sarà una presenza ingombrante per Conte, costretto a difendersi dal fuoco per i risultati che non arrivano e l’utilizzo di un unico modulo. I tifosi, soprattutto quelli di memoria corta, ne chiedono le dimissioni. L’allenatore non ci pensa proprio, convinto di poter uscire dalla situazione e lottare per il campionato. La delusione è di tutti, squadra, tecnico e club, la convinzione però è di essere un solo punto dietro la Juve. Certo domani a Sassuolo l’Inter non può sbagliare. I recuperi di Brozovic, tornato negativo, e Sensi daranno maggiori alternative a Conte. Vincere è l’unica medicina per curare l’Inter malata, per il funerale c’è tempo.
CorSera
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In EL, il Milan pareggia col Lille mentre Roma e Napoli vincono le rispettive partite e sono o vedono i sedicesimi.
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La Gazzetta ci riporta le diagnosi della società-Inter: squadra stanca, spossatezza mentale...ohibò, ma perchè gli altri stanno invece dandosi al giardinaggio? Non c'è per tutti lo stesso numero di partite, la stessa concentrazione mentale, la stessa fatica?
Il giustificazionismo al limite del ridicolo è sempre stata una pregorativa da quelle parti, per questo poi, nascondendo i problemi sotto al tappeto, non arrivano mai le soluzioni e le stagioni si ripetono uguali a loro stesse per anni, decenni.
Conte ha tanta parte in questo blocco, non si può non partire dall'allenatore, in specie se lo hai preso e lo strapaghi certo non per andare a due all'ora o per essere quasi trombato ai gironi di CL per il secondo anno consecutivo: ha annichilito Eriksen, si fissa sempre sugli stessi uomini, va ancora alla ricerca dei "guerrieri" (pure se ex come Vidal), ha sempre e solo una tipologia di gioco e di interpreti in testa.
Poi la società, che per l'ennesima volta ha abdicato al suo ruolo, il che vuol dire aver lasciato anche le decisioni del mercato al tecnico, un tecnico non certo famoso per saper scegliere i giocatori (proprio perchè vuole sempre e solo gli stessi profili).
L'aggravio è il non aver poi sistemato, rinforzato la difesa, dove l'unico ingresso è stato una scartina della Roma.
Hakimi è invece in una fase di impippimento: qui è da scoprire se era una pippa prima o se si sta degradando con l'aria di Appiano, che qualche volta (parecchie volte) produce strambi effetti anche sui migliori.
La lista delle deficienze è lunga, altro che stanchezza mentale e balle simili. La lista ha nomi e cognomi, cause e responsabili. La fortuna è che si è solo all'inizio e i problemi si possono risolvere prima che si incancreniscano...ma certo devi guardarli in faccia questi problemi, senza vie di fuga nelle astrazioni, nelle psicologie, nelle filosofie.
PS: nelle ultime 14 partite di champions, cioè da quando l'Inter ci è tornata, 7 sconfitte, 5 pareggi e sole due vittorie. In questa stagione, su 4 partite 2 punti e ancora nesssuna vittoria. C'è da chiedersi quale "personalità" ha apportato Conte, caratteristica che un tempo era un suo cavallo di battaglia.
Pure Inzaghi e Gasperini in champions vincono e convincono...la "fatica mentale" lì non si vede, eppure fanno lo stesso sport e giocano le stesse competizioni.
...ma di noi
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«nessun vincolo univa questi morti
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In EL, il Milan pareggia col Lille mentre Roma e Napoli vincono le rispettive partite e sono o vedono i sedicesimi.
c'è poco da fare il Napoli quando gioca con 3 centrocampisti ha tutto un altro equilibrio (a prescindere dalla pochezza dell'avversario).
per giocare col 4-2-3-1 quei 2 devono essere eccellenti nelle due fasi.......il napoli due centrocampisti così non li ha
Originariamente Scritto da SPANATEMELA
parliamo della mezzasega pipita e del suo golllaaaaaaaaaaaaazzzoooooooooooooooooo contro la rubentus
Originariamente Scritto da GoodBoy!
ma non si era detto che espressioni tipo rube lanzie riommers dovevano essere sanzionate col rosso?
Bianchi: "Come un quadro di Picasso, ma dovevamo dirgli qualche no"
Il tecnico del Napoli del primo scudetto: "Ho avuto un enorme privilegio, assistere ogni giorno alla realizzazione dei suoi capolavori. Lo guardavo inebriato e ogni volta che aveva la palla tra i piedi avevo la sensazione di assistere a qualcosa di perfetto, unico e irripetibile”
"Come davanti a un quadro di Picasso o alle grandi opere degli espressionisti che ho sempre amato. Lo guardavo inebriato e ogni volta che aveva la palla tra i piedi avevo la sensazione di assistere a qualcosa di perfetto, unico e irripetibile. Ho avuto un enorme privilegio, assistere ogni giorno alla realizzazione dei suoi capolavori: perché le prodezze che tutti ricordano, le sue punizioni impossibili, i gol da centrocampo, le serpentine, le acrobazie, io le ho viste replicate dal vivo milioni di volte".
Prodezze
—"Ogni giorno, in ogni allenamento Diego regalava quelle prodezze con la semplicità e la naturalezza di chi è baciato dalla grazia. Lo osservavo e dentro di me applaudivo e mi chiedevo come fosse possibile. Da tecnico freddo e impassibile evitavo di manifestare il mio stupore davanti a tutti. Ma mi gustavo ogni suo singolo gesto. Arte pura. Come lo spiega lei il genio? Vederlo giocare era come ascoltare Mozart. Anche i più bravi dei suoi compagni e dei suoi avversari, al massimo erano dei Salieri, lui no. Lui era Mozart".
Parla Bianchi
— Ottavio Bianchi, tecnico del Napoli del primo scudetto, ammette la fortuna "di essere stato in quegli anni l'allenatore del più forte calciatore di ogni tempo", ma mentre gol e colpi di Maradona prendevano la forma della meraviglia neanche Bianchi poteva avere ancora chiaro che Diego stava cambiando il suo ruolo nella storia passando da straordinario campione a icona mondiale senza tempo. Unendo in sé le caratteristiche di miti immortali: rivoluzionario come Che Guevara, antisistema come Alì e Owens, autodistruttivo come Marilyn, Elvis, Jackson.
Leader nato
— "Diego era un uomo estremamente generoso. Un leader nato. Non per quello che faceva in campo, ma per come si comportava con i suoi compagni. Non l'ho mai sentito rimproverarne uno per un passaggio sbagliato. Li difendeva tutti, li spronava, li caricava, pur essendo lui di un altro pianeta rispetto a loro". Già, di un altro pianeta... E qui Bianchi scava nel profondo: "Non so neanche se si rendesse davvero conto della sua straordinarietà. Lui si divertiva a giocare, come quando era un ragazzino in Argentina. Negli spogliatoi palleggiava con i limoni. Quando pioveva si buttava nelle pozzanghere con il pallone come fanno i bambini. Diego aveva l'ingenuità e la gioia dei bambini".
Squali
— Ma fuori dal campo intorno a lui insieme alla fama crescevano il business, gli interessi e il numero di squali che l'hanno sfruttato, spolpato, tradito. E la genialità è stata presa per mano dalla dannazione. Fino all'autodistruzione. "Nessuno, neanche un uomo carismatico come lui poteva sopportare quella pressione assurda, pazzesca in ogni angolo del mondo. Non voglio giustificarlo. Non voglio sminuire i suoi errori e i suoi sbagli. Ma quella grancassa intorno, quei lacchè disposti sempre a dirgli sì e a offrirgli qualsiasi tentazione sono stati la sua rovina". E qui Bianchi, che pure non aveva alcuna frequentazione con Maradona fuori campo, si unisce al refrain di tanti, troppi ex compagni di Diego: "Se gli avessimo detto ogni tanto qualche No... Il suo dopo sarebbe stato diverso".
La profezia di Valdano
— E ascoltando queste parole piene di rimpianto, tornano in mente quelle dell'ex compagno in nazionale Jorge Valdano, uno scrittore prestato al calcio che anni fa profetizzò: "Lui giocava e saliva. Da quaggiù noi mortali lo spingevamo con parole incantate. E così è arrivato al cielo. Da solo. È stato un prodotto di consumo. Ne avevano tutti bisogno per lo spettacolo quotidiano e se lui non voleva o non poteva i cannibali lo facevano a pezzettini. Si sono mangiati prima la parte visibile, poi nel fondo di quella grande miniera d'oro che Diego rappresentava hanno visto un dramma e vi hanno affondato i coltelli per divorare tutto il meglio della sua dolorosa intimità. (...) Un giorno Diego guarderà se stesso dal balcone della sua memoria e ricorderà con calma la gente semplice che gli ha voluto bene, i leccapiedi che lo hanno usato e i traditori che un momento lo hanno amato e il seguente lo hanno accoltellato. Questo è l'uomo. Tutti siamo più o meno così. Anche lui. L'errore imperdonabile o inevitabile è non averlo aiutato ad accorgersene prima. Avremmo dovuto dirgli tutta la verità: guarda Diego, giochi a pallone da Dio, ma sei soltanto un uomo".
Il tecnico del Napoli del primo scudetto: "Ho avuto un enorme privilegio, assistere ogni giorno alla realizzazione dei suoi capolavori. Lo guardavo inebriato e ogni volta che aveva la palla tra i piedi avevo la sensazione di assistere a qualcosa di perfetto, unico e irripetibile”
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