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Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
Lazio, l'avvocato Gentile: "Nessun calciatore positivo in campo, abbiamo denunciato la Gazzetta dello Sport"
L'avvocato della Lazio Gianmichele Gentile, ha parlato della questione tamponi: “Tamponi ballerini alla Lazio? Abbiamo due processi, uno sportivo ed uno in Campania nel quale si parla solo della prassi burocratica della Figc su chi deve segnalare un eventuale positivo. Mai messi in discussione i risultati dei tamponi. Abbiamo denunciato la Gazzetta dello Sport, sappiamo perché lo fanno, anche per la gara con il Torino. Per questo li abbiamo denunciati, abbiamo una vertenza in corso che nasce dopo questa campagna contro la Lazio.
Sulla vicenda scientifica dei tamponi, abbiamo una consapevolezza diffusa, anche da come viene eseguito. L’altezza del prelievo del naso incide. Sarebbe una follia se un presidente mandasse a giocare un calciatore positivo per poi far positivizzare anche gli altri. Nessuno dei giocatori della Lazio, a qualsiasi sistema si faccia riferimento, italiano o europeo, è sceso in campo col minimo dubbio – aggiunge il legale del club biancoceleste -. Immobile, prima di scendere in campo col Torino, aveva fatto un tampone venerdì che aveva accertato la negatività, dopo un ciclo che aveva testimoniato lo stesso percorso, come accertato anche dalle indagini.
Il gene N? Unsintomo di una situazione di malessere che non è inequivocabilmente sintomo del coronavirus. Quando compare va fatto il tampone molecolare, se il molecolare è negativo, allora il gene N è sintomo di altro. Il problema è che la Uefa dà risalto al gene N, dice che è sintomo di coronavirus. La Lazio ha mandato i tamponi al Campus Biomedico: quando il Campus ha detto che i tre calciatori avevano il gene N, la Lazio ha fatto i tamponi che hanno dato esito negativo. Nessun calciatore è entrato in campo con il dubbio che potesse essere positivo.
La Lazio rischia retrocessione o penalizzazione? La Gazzetta semina terrorismo. L’unica contestazione fatta alla Lazio è stata quella di non aver fatto la segnalazione alla Asl, ma che parte da una errata revisione della nomenclatura giuridica, perché è il laboratorio a dover comunicare. Il laboratorio di Avellino ha fatto qui i tamponi ed ha dato regolare comunicazione all’Asl di Roma. La contestazione che ci è stata fatta dalla Procura Federale è un ritardo di due giorni”, conclude Gentile.
Quindi è stata allertata l'fbi, l'interpol, il kgb, TV, radio, giornali di tutto il mondo e la marina militare coreana per 2 giorni di ritardo nelle comunicazioni alla ASL? E a quanto pare non le doveva neanche fare la Lazio. Annamo bene. Magari sprofonda la cazzetta, appena è arrivata la denuncia hanno smesso di fare i titoloni
Winners are simply willing to do what losers won't.
Serie A a 18 squadre, il tabù che blocca il calcio italiano
Il campionato a 20 è ormai ingestibile. Il taglio poteva essere già stato organizzato. Se ne discute in Inghilterra e in Francia, ma in Italia i presidenti hanno paura del ritorno in B
E' proprio ora di darci un taglio a questa scomoda, bulimica, triste, brutta Serie A a 20 squadre. Anzi, siamo già in ritardo, doveva essere fatto da anni, sicuramente almeno durante l'ultimo "lockdown" del pallone. Ma nemmeno dell'emergenza più alta è stato fatto.
Il calcio italiano lamenta danni enormi dalla pandemia (stadi chiusi, crollo delle sponsorizzazioni, quota diritti TV di circa 200 milioni al momento bloccata, marketing a picco) ma è anche uno dei pochi in Europa che non stia approntando un piano di riforma serio dei campionati e dei calendari. Se ne è accennato a inizio della crisi del Covid, poi, nella più classica delle ipocrisie, si è fatto finta di nulla e il campionato continua ad andare avanti con le solite 20 squadre. Tutti insieme appassionatamente per un motivo molto semplice: nessuno vuole ridurre quel numero abnorme che accontenta troppe bocche da sfamare, la maggioranza tiene in scacco qualsiasi riforma. Nessuno ci riesce, è un tabù. Di ridurre la Serie A ad almeno 18 squadre non se ne parla.
E' così da sempre. Presidenti di Federcalcio e di Lega di A, da Abete a Gravina, da Galliani a Dal Pino si sono sempre arresi subito di fronte a veti e alleanze-barriera. Accade dal 2004-2005, quello in corso è il 17° campionato di un format che non ha mai convinto a fondo per l'impossibilità di offrire competitività ed equilibrio alla Serie A. Anche se al momento qualche sorpresa e un po' di rimescolamento delle carte è effettivamente in corso, ma non si può fare a novembre il bilancio di un campionato.
Il differenziale di punti tra la squadra che vince lo scudetto e l'ultima classificata che retrocede in Serie B, è arrivato spesso - negli anni della Serie A a 20 squadre - a oltre 70 punti, per un record di 77 nel 2013-14 (Juventus 102, Livorno 25). 77 punti sono praticamente l'intero valore del campionato dell'Atalanta o della Lazio lo scorso anno. Se fosse un Gp di Formula 1, l'ultimo sarebbe doppiato dal primo quattro volte. Per restare ai paragoni sportivi la Serie A oggi è un match di boxe che mette sullo stesso ring pesi massimi e pesi piuma.
In assoluto e da solo un ridotto numero di squadre non è una garanzia di maggior equilibrio: l'ultimo campionato di A a 18 squadre, 2003-2004, finì col Milan di Ancelotti a 82 punti e l'Ancona a 13: 69 punti più sotto in 34 giornate. Ma comunque Serie A e Serie B sono ormai due mondi troppo distanti e separati, con un interscambio tra i due campionati sempre più scadente. Sono troppe anche e soprattutto le 20 di B, e pure la Serie C non sta più in piedi. Prima anche solo di parlare di Superlega europea, bisogna capire che il calcio italiano è in crisi anche perché non sta fisicamente in piedi, è costruito su un'impalcatura ormai vecchia e instabile.
Ci vorrebbe che qualcuno battesse un colpo alla prossima assemblea della Lega di Serie A, in settimana, ma non lo faranno. La questione è un pantano che inghiotte tutto. Se anche d'incanto, per assurdo, la Lega di Serie A dopo l'assemblea che voterà l'ingresso dei fondi nella sala di comando del calcio italiano - conta che entrino più soldi e basta, nessuno rinuncia a niente - dovesse approvare una riforma dei campionati, non vedremmo una Serie A a 18 squadre prima del 2022-2023. In questa stagione ormai avviata non si può cambiare il sistema promozioni/retrocessioni, si potrebbe solo studiare e organizzare, la prossima dovrebbe essere quella di transizione e la successiva ancora quella dell'effettiva riforma. Se nella primavera scorsa, invece di litigare solo intorno ai "protocolli" e nell'urlare al disastro, si fosse varata la riforma dei campionati, questo sarebbe il campionato di passaggio e già il prossimo il primo a 18. Non sono stati capaci di farlo. O meglio, non hanno voluto farlo.
"Bisogna tornare a 18 squadre" lo hanno detto negli anni tutti, più o meno, con diverse sfumature, con diversi scopi: Galliani, Lotito, Ferrero, Preziosi, Gravina, Micciché, De Laurentiis, Marotta, Agnelli. Alla fine è diventato un tormentone ridicolo. Calendario monstre e di fatto ingestibile, impossibilità di rinviare le partite per un qualsiasi motivo, dal maltempo a un numero eccessivo di positività al Covid, troppe partite per i calciatori e rischio infortuni superiore, impossibilità di allenarsi col giusto ritmo, Champions League e Serie A spesso troppo ravvicinate e confliggenti, aumento dei costi, crollo della qualità dello spettacolo, squilibrio eccessivo e scarsa competitività, svalutazione di una notevole parte delle 380 partite del campionato.
La Serie A italiana oggi è questa. Non si cambia perché una grossa fetta di club - da quelli medi in giù - teme la retrocessione per il disastro finanziario. Stare in Serie A garantisce una base minima di 30-40 milioni di contributi, finire in B 6-7 milioni a testa. Nemmeno il famoso "paracadute" dalla Serie A alla B (25 milioni se si sono fatti almeno tre anni di Serie A) ha spostato qualcosa. Anzi da qui non ci si sposta proprio. Venisse giù pure una pandemia mondiale da virus.
Non è stato fatto nemmeno all'estero, vero, ma almeno se ne parla. In Inghilterra è in discussione una profonda riforma del sistema, con abolizione di troppe partite e Coppe secondarie, nonché una sforbiciata al campionato a 20 squadre, braccio di ferro in corso tra la Premier League (è arrivato un primo secco no) e i cosiddetti Big Six, in realtà Big Two, Liverpool e Manchester United. Mourinho è stato caustico: "The Project is dead!". In Francia Vincent Labrune, ex presidente dell'Olympique Marsiglia e ora numero 1 della LFP ha un piano di riforma del calcio che parte dalla crisi del Covid e dal crollo degli incassi anche TV ma considera soprattutto il taglio della Ligue 1 a 18 squadre. La Bundesliga non si è mai spostata dal format a 18, anche se qualcuno, guardando il Mainz ultimo con un punto in 7 partite, si è domandato: ma non è che sarebbe meglio scendere a 16? L'Italia resiste testardamente insieme alla Liga spagnola col treno lentissimo e che non arriva mai in stazione della Serie A a 20 vagoni.
L'ultima tranche del campionato italiano a 18 squadre fu un fantastico rollerball a confronto con quello di oggi, spesso timbrato col cartellino. Lo scudetto in 16 campionati, dal 1988-89 al 2003-2004, lo vinsero in 7 squadre diverse: Inter, Napoli, Samp, Milan, Juve, Lazio e Roma. C'erano 4 retrocessioni su 18, e non le più sicure 3 su 20 di oggi: in B ci finirono anche Udinese, Bologna, Bari, Fiorentina, Atalanta, Genoa, Cagliari, Napoli, Sampdoria, Torino. Oggi tutti i presidenti vogliono fare calcio con l'investimento garantito, ma il calcio per sua stessa natura è rischio, non è da tutti.
Oggi ci sono club che diventano quasi grandi, ma hanno il terrore di tornare nell'inghiottitoio della Serie B, per poi non riuscirvi più. Giovanni Carnevali del Sassuolo la stagione scorsa fu chiaro: "La Serie A a 18 squadre non preoccuperebbe solo il Sassuolo ma tutte le medio piccole dal 10° posto in giù". L'Atalanta di Antonio Percassi oggi è un club da Champions League e un punto di riferimento del calcio italiano, ma quando l'Atalanta anni fa navigava in acque basse diceva: "Una Serie A a 18 squadre? Assolutamente no, sarebbe un vantaggio per le solite grandi. E poi in Europa vincono gli spagnoli, e la Liga è fatta di 20 squadre, fatevi i calcoli".
La Serie A a 18 squadre è un po' come la legge (leggenda?) dei parlamentari che si tagliano lo stipendio. Mica sono scemi...
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Milan, Elliott: «Noi proprietari del 96% del club. Abbiamo già investito 600 milioni, ora lo stadio»
Il fondo esce allo scoperto: «Vogliamo riportare il club ai vertici del calcio europeo, facendo leva sui principi di stabilità finanziaria e corretta supervisione, ora già saldamente in atto»
Gli americani hanno ufficialmente comunicato la quota con cui detengono la società, il 96%: «Elliott Associates LP ed Elliott International LP hanno congiuntamente il completo controllo della holding a cui fa capo il Milan —ha dichiarato un portavoce del fondo ad Ansa —. Elliott detiene il 96% del club, mentre la restante quota è di pertinenza dei nostri partner».
Investimenti effettuati e progetto stadio
Elliott ha poi precisato l’opera di rilancio che sta svolgendo per il club rossonero, società per cui sono stati investiti più di 600 milioni di euro. «Elliott è pienamente impegnata a riportare il Milan ai vertici del calcio europeo, facendo leva sui principi di stabilità finanziaria e corretta supervisione, ora già saldamente in atto —si legge nella nota —. Elliott ha finanziato il percorso di rilancio del Milan negli ultimi anni, con oltre 600 milioni di euro investiti nel club. Il fondo si è inoltre impegnato a partecipare a un investimento privato di 1,2 miliardi di euro per la costruzione di un nuovo stadio all’avanguardia per la città di Milano e di un innovativo distretto multifunzionale, che insieme contribuiranno alla continua trasformazione del Milan, offrendo non solo un punto di riferimento iconico alla città, ma anche un progetto di eccellenza per il calcio italiano».
CorSera
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Calhanoglu, Dybala, Eriksen: gli scontenti agitano Milan, Inter e Juve
Erano punti di forza nelle rispettive squadre ora sono in bilico fra cessioni e rinnovi complicati
C’è chi è deluso perché langue in panchina, dopo essere stato eletto il miglior giocatore della stagione scorsa. Chi, nel caldo rifugio della Nazionale, non nasconde la propria amarezza per sentirsi «sopportato» dall’allenatore di club. E pure chi nel proprio spogliatoio sta benone, ma per restarci vorrebbe che gli venisse riconosciuto un ingaggio da giocatore top. Dybala, Eriksen, Calhanoglu: tre storie di numeri 10 che, dopo sole sette giornate di campionato, invece di riempire le prime pagine per le loro prodezze suggeriscono infiniti dibattiti sui social per atteggiamenti non sempre appropriati.
La Joya è rimasta tale solo di nome: il punto più basso lo ha raggiunto nell’ultima gara prima della sosta contro la Lazio quando, da un suo sciagurato controllo di palla, è scaturita l’azione che ha condotto al pari di Caicedo in pieno recupero. Apriti cielo: la bacheca di Instagram si è riempita di inviti nemmeno troppo velati a svegliarsi, impegnarsi, cambiare aria. E soprattutto ad abbassare le pretese per il rinnovo del contratto che scadrà nel 2022. Da mesi l’argentino, che già percepisce 7,3 milioni annui, attende un cenno da parte di Paratici per allungare il matrimonio con la Juve. Il problema è che Paulo, determinato a diventare il giocatore meglio pagato della rosa dopo Cristiano Ronaldo, ha sparato altissimo: la bellezza di 15 milioni. Il suo procuratore Jorge Antun, fiducioso, è sbarcato a metà settembre a Torino, convinto di poter formalizzare nel tempo di un amen il prolungamento. Si è fermato 41 giorni, prima di risalire sull’aereo e far ritorno a Buenos Aires: se ne riparlerà nel nuovo anno.
Eriksen invece pare essersi messo l’anima in pace. L’ex trequartista del Tottenham ogniqualvolta raggiunge il ritiro danese non risparmia frecciate al suo tecnico. «La gente vorrebbe vedermi giocare e anch’io vorrei farlo. Ma l’allenatore ha idee diverse e io come giocatore devo rispettarle. Vedremo se succederà qualcosa quando si aprirà la finestra di mercato». Pagato 20 milioni lo scorso gennaio, guadagna 7,5 milioni di euro e qualora l’Inter (stizzita per le sue uscite appena decolla da Malpensa) lo cedesse già nella prossima finestra di mercato perderebbe i benefici fiscali del Decreto Crescita. Al momento di trattative impostate non c’è traccia, ma un ritorno in Premier League non è ipotesi così peregrina: nessuno ormai nasconde la difficoltà a ricucire un rapporto sfilacciato fra il giocatore e Antonio Conte.
Hakan Calhanoglu è reduce da un girone di ritorno strepitoso e da un inizio di stagione incoraggiante. Ha il contratto in scadenza e a Milano si trova a meraviglia. Per proseguire l’avventura però il club dovrebbe staccare un assegno da 6 milioni annui, cifra folle in tempi di pandemia e di fair play finanziario. Di certo l’agente sta bussando a più porte, da quella dell’Atletico Madrid alla più vicina della Juventus. La negoziazione per l’accordo prosegue, ma Maldini e Massara sono consapevoli che la strada per la fumata bianca è lunga e dagli esiti imprevedibili. Una cosa è però certa: qualora la firma non arrivasse, il Milan mai farà pressione al turco, intenzionato anzi ad utilizzarlo fino all’ultimo giorno per inseguire l’obiettivo della Champions.
Non è un 10 e non è il primo anno in cui è ai margini. Vien da chiedersi però dove sia finito quell’esterno formidabile capace di saltare l’uomo che era Federico Bernardeschi. Ci hanno provato tutti a trovare la sua giusta collocazione in campo: Allegri, Sarri e ora Pirlo. Isolato dal gruppo, in piena crisi involutiva, potrebbe essere ceduto a gennaio. Anche in prestito: di questi tempi liberarsi di uno stipendio da 4,5 milioni può essere salutare.
CorSera
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Juventus: Demiral-De Ligt, è il momento della coppia del futuro
Bonucci e Chiellini ko insieme, il turco e l'olandese sono candidati a occupare il centro della difesa bianconera sabato nella sfida con il Cagliari
L'infortunio di Bonucci in Nazionale, che si somma a quello di Chiellini che lo terrà fuori un mese, catapulta la coppia difensiva del futuro bianconero nel presente. Demiral e De Ligt saranno i principali candidati ad occupare il centro della difesa della Juventus nella sfida di sabato prossimo con il Cagliari, ripresa del campionato dopo lo stop per le nazionali. Gli acciacchi muscolari hanno via via messo fuori gioco capitano e vicecapitano bianconero: "Ho chiesto troppo al mio fisico - ha ammesso Bonucci -. Già domenica contro la Lazio nell'ultima mezz'ora ho accusato fastidio, speravo che passasse ma è stato sempre un crescendo di dolore. Così, sono costretto a fermarmi, ora a Torino valuteremo meglio la condizione". Saranno circa venti i giorni di stop imposti dall'infortunio muscolare accusato inizialmente a Kiev, riacutizzatosi con il Verona per poi tornare a tormentare il difensore sia con la Lazio che in Nazionale.
Ritorno in campo
Le condizioni fisiche dei due senatori costringeranno De Ligt a ritornare in campo immediatamente dopo l'operazione alla spalla di quest'estate. L'olandese scalpita da un paio di settimane: il freno gliel'ha messo l'ortopedico per evitare ricadute in seguito a scontri troppo duri, pane quotidiano nella lotta tra difensori e attaccanti. Al suo fianco ci sarà il turco Demiral, che potrà riscattarsi dopo un inizio di stagione in chiaroscuro. Due giovani, rispettivamente 21 e 22 anni, che anticiperanno il ricambio generazionale anche solo per un paio di settimane.
Rabiot ritrovato
Se la pausa per la Nations League ha tolto ai bianconeri Bonucci, di contro restituirà un Rabiot rigenerato a Pirlo. Dopo le prove convincenti in bianconero, le conferme sono arrivate in nazionale: "Ho aspettato il mio momento con pazienza - ha raccontato all'emittente radiofonica francese Rtl -. Mi sento un calciatore diverso da quando sono alla Juventus, la nuova avventura mi ha fatto crescere, mi ha fatto diventare una persona diversa, un giocatore diverso".
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Napoli, Osimhen resta in dubbio per il Milan: Gattuso prepara due piani B. Hysaj positivo al Covid
L'albanese positivo al Covid, mentre preoccuoa Bakayoko, che negativo al tampone di ieri, ha però l'influenza
Il primo dei 16 nazionali a rientrare alla base è stato Kalidou Koulibaly, che avrà dunque la possibilità di prepararsi nel migliore dei modi alla super sfida di domenica sera al San Paolo contro Ibrahimovic. Buone notizie in vista del Milan pure per i dieci giocatori rimasti ad allenarsi a Castel Volturno: tutti negativi dopo l'ultimo ciclo di tamponi. Prosegue dunque con relativa serenità il lavoro di Gattuso, anche se è di nuovo slittato l'arrivo in Italia di Osimhen, la cui partenza dalla Nigeria è prevista solo per la tarda serata di oggi. Domattina l'attaccante atterrerà a Roma e si trasferirà subito a Villa Stuart, dove sarà sottoposto a un controllo ortopedico alla spalla, dopo la lussazione che lo ha messo ko nella gara di Coppa d'Africa contro la Sierra Leone. Non dovrebbe trattarsi di un infortunio grave, ma potrebbe servire comunque qualche giorno al nuovo numero 9 del Napoli per ritornare al top della forma. Non ci sono quindi certezze sulla sua presenza nello scontro al vertice con i rossoneri. Le preoccupazioni per Gattuso però non finiscono qui. Hysaj è risultato positivo al Covid durante la sua permanenza con la nazionale albanese, mentre preoccupa Bakayoko. Il centrocampista, risultato comunque negativo al tampone fatto martedì, ha la febbre.
Gattuso studia il piano B
Gattuso sta di conseguenza studiando anche un piano B, in caso di forfait di Osimhen. C'è l'ipotesi Petagna, che permetterebbe a Ringhio di insistere con il 4-2-3-1. Ma spunta pure l'ipotesi del ritorno al collaudato 4-3-3: un modulo che gli azzurri conoscono a memoria dai tempi di Sarri e che potrebbe rivelarsi la medicina giusta contro l'emergenza. In questo caso toccherebbe a Mertens calarsi di nuovo nei panni di falso nueve, con Politano (favorito su Lozano) e Insigne più larghi sulle fasce. A centrocampo sarebbe invece Elmas a completare il terzetto di mediani con Fabian e Bakayoko. Tutto sarà più chiaro però dopo il rientro di Osimhen e degli altri nazionali. Intanto è stato subito sottoposto a un tampone di verifica Koulibaly, smanioso di rimettersi in fretta al lavoro con i compagni. La sfida con Ibra può valere il primato e il gigante senegalese vuole farsi trovare pronto.
L'attaccante nigeriano arriva mercoledì, e la lussazione procurata in Coppa d'Africa ne mette a rischio la presenza contro i rossoneri. Ipotesi …
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E' colpa di Pirlo o di chi lo ha preso sperando di aver trovato il Klopp della situazione spendendo 3 lire ?
Originariamente Scritto da Sean
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