Attenzione: Calcio Inside! Parte III

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  • cesko92
    Real Motherfuckin G
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    • In da hood (East Coast)
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    Ciao Fabi.
    Sii più positivo, siamo solo all’inizio.
    Ps: ovviamente parlo da utente che nn guarda le partite.
    Originariamente Scritto da Sean
    faccini, kazzi, fike, kuli
    cesko92 [at] live.it

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    • Fabi Stone
      Bodyweb Senior
      • Jan 2015
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      Ciao Cesko.
      No ma io ero positivo co Ciarrapico presidente, pe fatte capì, figurati adesso.
      Il problema è che quando arrivano questi allenatori che mi piacciono molto per come interpretano la fase offensiva e il concetto di insieme, nel proporre calcio cercando di imporre il gioco con aggressività e palla tra i piedi, oltre che un dinamismo della madonna.
      Mi cago però anche parecchio sotto quando portano la linea difensiva così alta per ovvi motivi, soprattutto perché non vedo un fuoriclasse la dietro al momento...uno che se la pressione non viene fatta a dovere, te la risolve in qualche modo.

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      • robybaggio10
        Bodyweb Senior
        • Dec 2011
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        • Franciacorta
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        JJ nel top11 dell'EL di questa giornata secondo Sky.
        I SUOI goals:
        -Serie A: 189
        -Serie B: 6
        -Super League: 5
        -Coppa Italia: 13
        -Chinese FA Cup: 1
        -Coppa UEFA: 5
        -Champions League: 13
        -Nazionale Under 21: 19
        -Nazionale: 19
        TOTALE: 270

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        • Sean
          Csar
          • Sep 2007
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          • In piedi tra le rovine
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          Milan-Inter a nervi tesi: ecco perché il derby è già un crocevia della stagione (per entrambe)

          Non solo i faccia a faccia Paquetà-Giampaolo e Lukaku-Brozovic: oltre alle scintille in spogliatoio, pesano il non-gioco rossonero e il flop di Champions di Conte

          Derby a nervi tesi. Tesi quelli di Milan, tesi quelli dell’Inter. Ragioni diverse, come diversi sono i valori tecnici e diverse le aspettative finali. Eppure rossoneri e nerazzurri in questa vigilia della stracittadina numero 224 sono accomunati da un’atmosfera elettrica. Alta tensione rossonerazzurra. C’entrano i risultati, ma non solo. Di qua come di là. Il gioco di Giampaolo non decolla. Non è ancora il suo Milan. «Ci vuole tempo e lavoro» continua a dire il tecnico abruzzese. Il problema è che i progressi non si vedono. La classifica non è male, 6 punti su 9, ma la squadra stenta. Il calendario non era impossibile, Udinese, Brescia, Verona. Boban non ha nascosto la propria delusione: «Pensavo saremmo stati più avanti come gioco». Ed Elliott si chiede perché per ora i nuovi acquisti non vengano utilizzati. Il fondo americano ha investito 80 milioni per 6 giocatori, finora solo Bennacer contro il Brescia è partito titolare.

          «Io vado avanti per la mia strada» ribadisce Giampaolo. Che non è intenzionato a derogare dalle proprie convinzioni: se non sei pronto, con me non giochi. Statene certi: non cambierà idea. Con buona pace di quei giocatori che faticano a capire il suo calcio, ambizioso ma complesso. Tipo Paquetà, col quale il tecnico ha avuto un confronto martedì. Scintille provocate da un video su Instagram postato dal brasiliano dopo la striminzita vittoria di Verona, dove era stato (giustamente) sostituito all’intervallo. «Brasiliano con tanto orgoglio» il messaggio del giocatore. Difficile non leggerci una risposta polemica diretta proprio a Giampaolo, che nella conferenza stampa dopo la striminzita vittoria aveva chiesto che Paquetà fosse «meno brasiliano». Il faccia a faccia di Milanello ha risolto il caso ma non la questione tattica. Dove sta meglio Paquetà in campo? Sulla trequarti dove vuole lui (ma al Bentegodi è stato un disastro) oppure da mezzala come vuole Giampaolo? Ma quello di Lucas è solo uno degli enigmi tattici del Diavolo.

          L’Inter è uscita con le ossa rotte dal debutto in Champions. Che ha tolto entusiasmo e sicurezze a un gruppo attrezzatissimo ma ancora da assemblare. Come si è visto contro lo Slavia Praga, che avrebbe meritato anche di vincere. Lo scontro in spogliatoio fra Lukaku e Brozovic è il termometro del momento. L’ambiente si è surriscaldato. L’en plein in campionato aveva generato un’euforia forse eccessiva. «Sono stato un asino, è colpa mia» ha detto Antonio Conte dopo il pareggio di San Siro che complica non poco il cammino in Europa. Il tecnico nerazzurro ha cercato di portare su di sé l’attenzione, con il chiaro obiettivo di togliere la squadra dal mirino della critica. Dopo un’estate trionfale e una campagna acquisti sontuosa, le ambizioni nerazzurre erano e restano alte. E questo non aiuta.

          Conte dopo l’1-1 ha dormito ad Appiano Gentile per sbollire la rabbia. E per studiare le contromosse. Serve una ripartenza immediata. E il derby non sembra essere la partita migliore per farlo. Perché il Milan ci arriva da underdog, da sfavorito, come si dice nel linguaggio dei bookmaker. Con meno pressione addosso, quindi. Non è sbagliato dire che al Milan sabato vanno bene due risultati su tre. Un pareggio varrebbe come una vittoria. Fino a martedì scorso sembrava un derby già scritto. Troppo forte questa Inter, a punteggio pieno in testa al campionato, con una rosa ricca e varia. Attenzione: lo era e lo resta. Ma se tutta questa tensione trasversale avesse, almeno in parte, annullato lo scarto tecnico?



          CorSera
          ...ma di noi
          sopra una sola teca di cristallo
          popoli studiosi scriveranno
          forse, tra mille inverni
          «nessun vincolo univa questi morti
          nella necropoli deserta»

          C. Campo - Moriremo Lontani


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            Juventus, l’incubo (ricorrente) delle palle inattive. E Simeone se la ride

            A Madrid contro l’Atletico la solita storia. Su calcio piazzato sono arrivati addirittura 9 degli ultimi 12 gol e 4 su 5 in questa stagione. Colpa della marcatura a zona?

            Non è la solita Juve quando segna. È la solita Juve quando prende gol sui calci piazzati, addirittura 9 degli ultimi 12 e 4 su 5 in questa stagione: i due subiti mercoledì sera dall’Atletico Madrid sono del tutto simili a quelli che erano costati il 2-0 di febbraio e stavolta hanno portato al 2-2 in rimonta della squadra di Simeone: «E’ un aspetto negativo perché avevamo la gara in mano – sospira Maurizio Sarri, che già aveva visto la sua squadra farsi rimontare 3 gol dal Napoli - . Qui i ragazzi mi hanno detto che non avevamo mai fatto gol, ne abbiamo segnati due ma poi siamo leggeri in situazioni prevedibili e ci è costato la vittoria». Il dibattito si è già scatenato sulle marcature a zona sui calci piazzati, in particolare quella di Bentancur sovrastato da Savic sul primo gol spagnolo.

            «Il luogo comune per migliorare è passare ad uomo – spiega Sarri, che dalla seconda giornata di campionato deve fare anche a meno di capitan Chiellini, out sei mesi per la rottura del crociato – ma bisogna migliorare in aggressività ed attenzione: il primo gol non lo devi prendere, bisogna migliorare perché la sensazione è che se siamo passivi lo siamo anche a uomo, le marcature ad uomo diventano anche pericolose, ci lavoreremo perché ci sta costando qualcosa».


            Per adesso se ne è andata la prima vittoria in Champions, su un campo complicatissimo. Simeone si diverte a infierire: «Loro soffrono sulle palle inattive». Ma c’è pur sempre il ritorno a Torino a fine ottobre. E l’ultima volta l’Atletico aveva sofferto su tutti i palloni, non solo sui piazzati. In testa al girone a sorpresa c’è la Lokomotiv Mosca, che ha vinto a Leverkusen contro il Bayer. Tocca agli spagnoli volare in Russia alla seconda giornata, mentre la Juve ospita i tedeschi: risolvere i problemi in difesa per il 2 ottobre non sarà facile per la Juve. Ma il 6 c’è la super sfida contro l’Inter. Qualche contromisura va presa. In fretta.



            CorSera
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              Dzeko e Zaniolo: la Roma brilla

              IL MESSAGGERO (U. TRANI) - Fonseca mette il suo timbro anche al debutto in Europa League. La Roma supera il Basaksehir (4-0) all'Olimpico e, nella notte in cui festeggia i 50 anni di partecipazioni nelle competizioni Uefa, conquista il secondo successo di fila. Usa il contropiede per prendersi il match e, per la prima volta in stagione, non subisce reti. E continua a divertire: dodici reti realizzate, media di tre a partita, con sette marcatori diversi.


              SGUARDO AL DALL'ARA - Fonseca entra in Europa League passando per il turnover. L'attenzione, dunque, non si concentra solo sul Basaksehir che, vale la pena ricordarlo, è al quattordicesimo posto della Super Lig in Turchia e al quinto ko nelle sette gare stagionali fin qui giocate. Domenica c'è la gara esterna contro il Bologna: meglio preservare qualche titolare. Ma la rotazione, almeno a vedere la recita stentata della Roma fino all'intervallo, risulta inizialmente esagerata. Nella formazione di partenza cinque giocatori di movimento su dieci sono diversi: mezza squadra cambiata, dunque, dopo il successo contro il Sassuolo. In panchina si siede anche capitan Florenzi con Mancini, Veretout, Pellegrini e Mkhitaryan. Dentro Spinazzola da terzino destro, Jesus alla sinistra di Fazio in mezzo alla difesa, Diawara accanto a Cristante in mediana, Zaniolo a destra e Pastore trequartista. Il 4-2-3-1 è fiacco. Niente pressing e ritmo. Baricentro più basso del solito e rombo offensivo spesso separato dal centrocampo e dalla linea arretrata. Dzeko va incontro ai compagni, ma la partecipazione è minima. Diawara è impreciso e Cristante statico. Spinazzola avanza più di Kolarov, Kluivert a sinistra è vivace e Zaniolo, sull'altra corsia, comincia bene e sale in quota nella ripresa. I giallorossi riescono, comunque, a passare in vantaggio. Casualmente, però. Il gol è di sponda. Sull'apertura a destra di Dzeko, il cross scontato di Spinazzola. Caiçara devia nella porta di Günok, impegnato solo all'inizio da Zaniolo e, prima dell'autorete, da Pastore. Conclusioni da fuori, senza presentarsi in area.

              STRATEGIA DECISIVA - Il Basaksehir dell'ex interista Okan Buruk fa la partita pure nella ripresa. Inutilmente: il 4-1-4-1 è fragile. La Roma, cercando l'equilibrio di squadra, accetta lo svolgimento del match. E va a dama ripartendo. Appoggiandosi soprattutto a Zaniolo che si scatena a destra. Dzeko, prima di mettere al sicuro il risultato, spreca due chance, calciando addosso al portiere su invito di Pastore e ripartendosi, volata solitaria da centrocampo, in contropiede. Toglie anche una rete a Zaniolo che conclude nello specchio su assist di Kolarov. Ma il centravanti, toccando di testa sulla linea, rende inutile la prodezza, realizzando in chiara posizione di fuorigioco. Zaniolo, dopo lo slalom vincente su Topal, fa poi segnare Dzeko, già tre gol nelle quattro partite stagionali (90 in 183 gare in giallorosso), a porta vuota. Favore subito ricambiato dal centravanti per il tris: Zaniolo fa centro di sinistro. Prima della terza rete, gioco di prestigio di Pastore sotto la Sud: dai fischi agli applausi quando lascia il posto a Pellegrini. Dentro Veretout per Cristante e Kalinic, al debutto, per Dzeko. Rotazione in corsa e mirata al campionato. Lo sa bene Kluivert che a fine recupero firma il poker. Vuole tenersi la maglia pure a Bologna, sarebbe la quinta di fila.

              IL MESSAGGERO (U. TRANI) - Fonseca mette il suo timbro anche al debutto in Europa League. La Roma supera il Basaksehir (4-0) all'Olimpico e, nella notte in cui festeggia i 50 anni di partecipazioni nelle competizioni Uefa, conquista il secondo successo di fila. Usa il contropiede per prendersi il ...
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                              Gazzetta
                              ...ma di noi
                              sopra una sola teca di cristallo
                              popoli studiosi scriveranno
                              forse, tra mille inverni
                              «nessun vincolo univa questi morti
                              nella necropoli deserta»

                              C. Campo - Moriremo Lontani


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                                La metamorfosi incompleta di Sarri. Il contropiede rapace di Allegri, il palleggio creativo di Maurizio: i due modelli tattici si alternano, nessuno ancora prevale sull’altro


                                Quanto c’è di Sarri nella Juventus? Quanto è rimasto di Allegri? La domanda che rivolgiamo invece a noi stessi è questa: quanto tempo andremo avanti con questa storia? Massimo fi no a dicembre, poi basta. A quel tempo, o la Juve sarà diventata sarriana o ne riparleremo la prossima stagione. Promesso.

                                ATTACCHI ESTERNI. Le prime quattro partite dei bianconeri (biancorossi a Firenze, azzurri a Madrid: il marketing calpesta storia e sentimenti) hanno dato indicazioni contraddittorie. A Parma, un accenno del gioco di Sarri si era visto con il segmento di destra (De Sciglio-Khedira-Douglas Costa) che ricordava da vicino il terzetto di sinistra dell’epoca napoletana Ghoulam-Hamsik-Insigne: si attacca da un lato per concludere al centro o sul lato opposto. Solo quello, nient’altro. Contro il Napoli, una rimonta tanto spaventosa che, se ci fosse stato Allegri al posto di Martusciello, sarebbero volate via giacca, cravatta, camicia e probabilmente i mocassini. A Firenze non c’era niente, nel senso che non c’era la Juve. Tutti a dire: non è la Juve di Sarri. Fosse stato quello il problema. Non era nemmeno la Juve di Allegri. Poi è arrivata Madrid e qualcosa si è visto, diciamo intravisto, delle idee del tecnico di Figline. A tratti un palleggio significativo, la volontà di impossessarsi della partita, di mettere sotto pressione l’avversario. Non ci spingeremmo oltre, tenendo presente alcune considerazioni.

                                La prima: in Champions la Juve di Allegri ha giocato delle partite di grandezza assoluta proprio sul piano del controllo e del dominio. Siccome il calcio ha la memoria corta, molti ricordano l’ultima, la doppia sfi da con l’Ajax, ma andando un pochino più indietro saltano fuori il 3-0 (3-1 su rigore al 90') di Madrid, ma nell’altro stadio e con l’altra squadra, il 3-0 sull’Atletico un anno fa, il 3-0 sul Barcellona con la doppietta di Dybala, il 3-0 al Westfalstadion contro il Borussia di Klopp, e tanto altro ancora.

                                La Champions, negli anni di Allegri, è stata un terreno produttivo per la Juve delle due finali. La seconda: il primo dei due gol all’Atletico è arrivato in un modo che ricorda più il calcio di Allegri (e di Simeone...) che di Sarri, contropiede terrifi cante e gol con due passaggi e un tiro. Il secondo è stato un po’ più sarriano.

                                IL CAMBIAMENTO. Chi pensa che Sarri sia un integralista, un tecnico rigidamente orientato sulle sue idee tanto da escludere tutte le altre, si sbaglia. Anche Sarri cambia opinione, lo ha dimostrato a Empoli, a Napoli e anche a Londra. A Napoli, dove la sua maturazione è giunta al punto più alto, il suo gioco riempiva gli occhi perché a metà campo aveva giocatori tecnici come Jorginho, Hamsik, Callejon, poi Zielinski, oltre ad Allan, e in attacco c’erano Insigne e Mertens, oltre a Higuain. I due interni juventini, Khedira e Matuidi, che per Allegri erano intoccabili, con Sarri hanno rischiato la cessione. Se un tecnico stravede (giustamente) per Hamsik non può/non potrebbe innamorarsi di Khedira. E invece Khedira e Matuidi, che hanno altre doti più marcate rispetto al palleggio, sono diventati titolari fi ssi (quattro partite su quattro) proprio perché Sarri ha cambiato idea. Per rifi nire il concetto, Rabiot e Ramsey, più tecnici dei due compagni sopra citati, per ora sono ai margini.


                                LE DIFFERENZE. Ha cambiato idea anche sul conto di Dybala. Nella sua prima conferenza stampa, l’argentino sembrava un punto fisso, tanto era vasto, secondo Sarri, il suo talento. Dybala non gioca mai, al talento il nuovo allenatore preferisce la forza di Higuain. Dicevano che Dybala non piaceva ad Allegri. La realtà era diversa: Allegri sapeva che Ronaldo lo avrebbe inevitabilmente emarginato. Giampaolo (un tecnico legatissimo al collega juventino) lo avrebbe voluto al Milan e Max, se avesse allenato un’altra squadra, lo avrebbe messo in cima alla lista degli acquisti. Questo per dire di Dybala. Sarri è rimasto fedele alla sua idea solo sul conto di Mandzukic e probabilmente ha sbagliato. Quando arrivò Ronaldo, dovendo partire uno fra Higuain e il croato, Allegri non ebbe dubbi. Sarri invece l’ha messo fuori e ne sta pagando le conseguenze. Per i gol segnati? No, per i gol subiti. Con Allegri la Juve sui calci d’angolo marcava a uomo perché aveva Chiellini, ma soprattutto Mandzukic. Senza Marione, Sarri marca a zona e ha preso quattro gol dai calci piazzati, più le due occasioni di Milenkovic a Firenze.


                                Il Corriere dello Sport
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                                forse, tra mille inverni
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                                nella necropoli deserta»

                                C. Campo - Moriremo Lontani


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