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Attenzione: Calcio Inside! Parte III
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Atalanta-Psg, probabili formazioni e dove vederla. Gasperini: «Un’impresa per il sorriso di Bergamo»
I nerazzurri vogliono sorprendere ancora nel quarto di Champions. Il tecnico: «Sentiamo la passione e l’amore di tutta Bergamo e so che piaciamo a tutta l’Italia »
Nonostante un pizzico di puzza sotto il naso che li spinge a pensare già alle strategie per la semifinale, anche i parigini sembrano interessati al mito della Dea Atalanta, allattata dagli orsi e allevata dai cacciatori, una guerriera resistente e piena di idee anche nella sua trasposizione calcistica. Per i francesi la sorpresa della Champions, si chiama Bergame e forse è una sintesi felice, perché mai come adesso la squadra e la sua città sono una cosa sola, anche in questo angolo d’Europa dove in tre mosse si può dare scacco alla Champions.
Il problema adesso è riuscire ad essere Atalanta fino in fondo e vedere se basta per andare oltre il Psg e forse anche al di là dei sogni più folli. Nella fresca bolla di Lisbona tutto è filtrato, anche l’emozione grossa di una provincia intera, costretta a seguire da casa la sua squadra, un piccolo stadio in ogni salotto. E per la banda di Gasperini, arrivata a giocarsi la semifinale allo stadio Da Luz senza il portiere Gollini e senza la sensibilità artistica di Ilicic, tutti questi filtri possono anche rivelarsi un vantaggio: per non farsi sopraffare dall’emozione e per restare lucidi. Puntando a sorprendere ancora.
Gian Piero Gasperini si fa grasse risate quando Marteen De Roon ricorda il suo fioretto: cucinare mille pizze in caso di vittoria della Champions. E in caso di sconfitta stasera, neanche un aperitivo? «No — dice l’olandese — ci riproveremo l’anno prossimo. Non posso servire un aperitivo se perdiamo...». La frase è a suo modo rivelatrice, perché di fronte c’è la squadra diventata punto di riferimento dei festeggiamenti più sfrenati, come quelli per il compleanno Cavani-Icardi, celebrato dopo la sconfitta nell’andata degli ottavi con il Dortmund.
Del resto il collage di significati di questa sfida è ampio e Gasperini stesso non rinnega che le motivazioni siano tante, non solo calcistiche. Ma allo stesso tempo il tecnico rivendica il diritto e il dovere di pensare solo al campo: «Conosciamo benissimo l’attesa che c’è attorno a questa gara, per la passione e l’amore che tutta la provincia di Bergamo hanno verso la nostra squadra. Quest’anno c’è una motivazione in più, dettata da tutto quello che è successo con la pandemia: ci portiamo dentro i sentimenti dei tifosi, ma anche se ci sono tanti risvolti, dobbiamo necessariamente ridurre tutto a una partita, mostrando la capacità di reagire e di ripartire. Per regalare un sorriso. Quel che conta più di tutto è non snaturare noi stessi e il nostro gioco».
Nel Psg mancano Verratti infortunato e Di Maria squalificato, Mbappé è recuperato e andrà in panchina. L’allenatore Tuchel ha le stampelle per una distorsione e ripete che sarà una partita «difficilissima perché loro hanno uno stile unico»: se perderà, lascerà forse il posto ad Allegri. Un tifoso in più, al quale si aggiunge il premier portoghese Costa: «Mi sembra simbolico che ad iniziare queste finali ci sia proprio la squadra di Bergamo, città che ha sofferto molto».
Gasperini sa che l’Atalanta gioca anche per il calcio italiano: «Siamo la dimostrazione che anche una squadra senza particolare blasone può fare bene e può raggiungere dei traguardi, attingendo a valori, idee di gioco, motivazioni, con passione ed entusiasmo. Queste sono risorse illimitate. E il fatto di arrivare fin qui con questi mezzi penso che piaccia in tutta Italia: è bello, ci sembra di essere la Nazionale. Al di là del risultato, sentiamo la responsabilità di non deludere certi valori». È la pazza idea della Dea: restare se stessa e giocarsela con tutti.
Atalanta (3-4-2-1): Sportiello; Toloi, Caldara, Djimsiti; Castagne, De Roon, Freuler, Gosens; Pasalic, Gomez; Zapata. All. Gasperini.
Psg (4-3-1-2): Navas; Kehrer, Thiago Silva, Kimpembe, Bernat; A. Herrera, Marquinhos, Gueye; Neymar; Icardi, Sarabia. All. Tuchel.
Arbitro: Taylor (Inghilterra)
Tv: ore 21 Canale 5 e Sky
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Atalanta-Psg, i segreti di Gasperini: i movimenti del Papu e la spinta degli esterni
Il tecnico e la squadra in questa eterna stagione non hanno quasi mai tradito le proprie convinzioni, il bisogno quasi disperato di andare ogni volta oltre i propri limiti
Se l’Atalanta è l’unica squadra italiana tra le otto regine d’Europa bisogna sorprendersi solo sino a un certo punto. Gasperini ha dato alla sua creatura un gioco e il gioco è la chiave per arrivare lontano in Champions. Conoscenze e lavoro oltre all’applicazione feroce delle proprie idee. L’Atalanta, in questa eterna stagione, non ha quasi mai tradito se stessa, le proprie convinzioni, il bisogno quasi disperato di andare ogni volta oltre i propri limiti. Stasera non dovrà limitare la sua naturale vocazione offensiva per timore di Neymar e delle altre stelle del Psg. I segreti di una squadra infinita sono la furia degli esterni e la qualità di Gomez dentro un sistema collaudato: squadra corta, compatta, capace di cancellare le linee di passaggio ai rivali e di ingaggiare una serie di corpo a corpo in qualsiasi zona del campo. Il Papu è il riferimento, il capobranco. Uno schema a parte. Un magnifico solista, integrato nei movimenti nerazzurri. Parte sulla trequarti, ma dopo pochi minuti lo trovi playmaker davanti alla linea difensiva o nella propria area a stoppare una triangolazione. Gomez, da solo, manda in crisi l’organizzazione degli avversari. Come le frecce del Gasp. Hateboer, Castagne (in ballottaggio sulla corsia destra) e Gosens hanno firmato 14 gol e 17 assist. Sono il turbo dell’Atalanta.
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Mazzone: "Misi Pirlo davanti alla difesa, conquistò il mondo. Alla Juve saprà farsi ascoltare"
Parla l'allenatore che nel 2001 cambiò ruolo al nuovo tecnico bianconero: "Era lì che doveva giocare. Diventò il regista più forte del mondo ma non per merito mio: già allora "vedeva" il gioco prima degli altri. L'esperienza da giocatore gli servirà in questa nuova avventura. Da Totti a Guardiola, quanti mi chiamano ancora"
«Siamo felicissimi per Pirlo, se lo merita. Allenare la Juventus è un privilegio e una bella sfida. Certo che è pronto, conosce il calcio come pochi. È stato un grande campione e farà bene anche in questa nuova carriera da allenatore: lo scriva, ne siamo sicuri». La vita di Carlo Mazzone oggi si declina alla prima persona plurale. Noi. Carlo e la moglie, Maria Pia, che lui chiama affettuosamente Mannì. È lei che filtra le telefonate, lo affianca nelle relazioni pubbliche, gestisce la comunicazione. Sor Carletto nei secoli dei secoli - lo era a quarant’anni lo è oggi che ne ha 83 - vive ad Ascoli, quartiere Monteverde, la mattina si sveglia con calma, «È un dormiglione, io mi alzo presto e vado a prendergli i giornali» dice la moglie, fa una passeggiata con i figli, guarda il calcio in tivù, è un patriarca sereno che si gode i nipoti e trova ogni giorno la conferma di aver seminato molta umanità, non soltanto conoscenze calcistiche, nell’abbrivio - un respiro lunghissimo - delle sue 38 stagioni in panchina, da Ascoli 1968 a Livorno 2006, passando tra le altre per Catanzaro, Cagliari, Roma, Bologna e con il record delle 797 partite ufficiali.
L'incrocio al Brescia nel 2001
Nel 2001 il destino di Mazzone incrociò quello di un giovane Pirlo. Succedeva a Brescia, tappa intermedia di una carriera ancora incellophanata, cinque mesi di parentesi tra le incomprensioni all’Inter e l’esplosione al Milan. Pirlo passa al Brescia alla fine del mercato di gennaio e Gianni Mura su «Repubblica» scrive: «Abbiamo capito che Lippi non lo vedeva di buon occhio (si potrebbe organizzare una serata con ricchi premi e cotillons per stabilire se c'era qualcuno, all'Inter, che Lippi vedesse di buon occhio). Ma arriva subito Tardelli, uno che Pirlo lo vedeva di buon occhio, Under e dintorni. Totale: Pirlo non gioca quasi mai. E da venerdì è tornato al Brescia, da cui era partito (destinazione Inter) nel 1998. C' è una morale in tutto ciò?». Archivia la maglia numero 11 nerazzurra e prende il 5 - come il «volante» Falcao che ha in mente Mazzone - debutta il 28 di quel mese, contro il Milan, da trequartista nel 3-5-1-1 col compito di innescare le sgroppate di «Tatanka» Hubner. Didascalico, niente più. Mazzone lo accoglie annunciando che «Pirlo avrà un ruolo alla Rui Costa», cioè da 10 libero di cercarsi la posizione, poi si ricrede. La prima in coppia con Roby Baggio capita a Firenze, il 24 febbraio: prove tecniche da regista, con Bisoli e Bachini a fargli da scudieri. In mezzo al campo Pirlo trova la sua identità e il primo aprile a Torino contro la Juventus, sciorina il celebre assist (poi Roby fa un gioco d’artista e mette a sedere Van der Sar). Due settimane dopo si infortuna in allenamento - quinto metatarso del piede destro - e finisce lì la sua seconda parentesi bresciana: 10 presenze, tutte da titolare, ma quello è il piedistallo e Pirlo sta in punta di piedi per il salto. In estate verrà venduto al Milan per 35 miliardi di lire, con Drazen Brncic che entra nell’operazione e passa all’Inter.
"Un mondo nuovo"
Quello di Brescia fu un periodo decisivo per la maturazione di un fuoriclasse fin là inespresso. Mazzone ricorda: «Lo arretrai e lo piazzai davanti alla difesa, gli spalancai un mondo nuovo. Era il suo ruolo, era lì che doveva giocare. Prima era un trequartista come tanti, diventò il regista più forte del mondo. Ma non per merito mio, eh: parliamo di un campione assoluto, uno che ha il calcio nel dna, sarebbe successo comunque. Era già allora uno che comandava il gioco, lo «vedeva» prima degli altri. Da giocatore ha accumulato tanta esperienza, gli servirà anche adesso che comincia questa nuova avventura». Subito in panchina, senza aver mai allenato. Un rischio? Anche no. «Andrea è un ragazzo perbene, sa essere credibile quando parla, alla Juve lo ascolteranno. Io credo farà bene. E poi da qualche parte bisogna cominciare, no?».
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La Juventus di Pirlo, Dybala e le sue pretese: il rinnovo è vicino ma sarebbe l’unica plusvalenza possibile
L'argentino vuole passare da 7 milioni alla doppia cifra, inferiore solo a quella di Ronaldo, e avere un ruolo centrale. Khedira e Higuain in uscita
Scattano a giorni le grandi manovre per il rinnovo del contratto di Paulo Dybala. Ma non sarà una passeggiata, anche se la volontà delle parti, almeno a parole, è quella di cementare il rapporto con un nuovo contratto, ricco e molto lungo. Il 26enne talento argentino guadagna 7,3 milioni a stagione, ora chiede un ingaggio in doppia cifra. Si parla di 15 milioni, un punto di incontro potrebbe essere trovato intorno ai 12-13 milioni (fino al 2025). Paulo «pretende» un ruolo centrale nella Juve, anche dal punto di vista economico, forse scottato dalla «quasi cessione» al Manchester United nella scorsa estate: sembra accettare di fatto un ingaggio inferiore solo a quello di Ronaldo (31 milioni all’anno!). Capite bene che con certe cifre sul piatto, soprattutto di questi tempi, sono molte le cose da valutare con estrema attenzione.
Sarà un mercato particolare, per tutti. Prevedibili molti scambi. Lo tsunami Covid ha cambiato le carte in tavola, ha spostato parecchi equilibri economici. E non a caso la stessa Juve va ribadendo, più o meno ufficialmente, che «non si compra finché non si vende». E per vendere si intendono plusvalenze di un certo peso. E qui scatta forse un pizzico di timore fra i tifosi bianconeri, perché oggi l’unica vera potenziale plusvalenza da sogno sembrerebbe proprio quella di Dybala: circa 10 milioni a bilancio, cartellino da non meno di 120 milioni di euro. Insomma, un’eventuale «rivoluzione» tecnico-anagrafica in casa Juve verrebbe sicuramente semplificata da una simile operazione. Bernardeschi? Decisamente svalutato. Douglas Costa? Si spera nel Manchester United. Non mancano in ogni modo i casi in cui una cessione pesante abbia poi portato alla costruzione di una squadra ancora più forte: spicca l’Inter del Triplete con l’addio a Ibra per arrivare ad Eto’o. Sia chiaro, però, che da Torino hanno per esempio appena definito come inesistenti le voci di un assalto del Real a Dybala, e allo stesso tempo garantiscono di non considerare minimamente l’ipotesi di un addio alla Joya.
Intanto, è iniziata l’opera di svecchiamento (e di alleggerimento del monte ingaggi): Matuidi è a un passo dalla Mls (Inter Miami) e in uscita ci sono pure Khedira e Higuain. Il tedesco non ha ancora detto sì all’ipotesi di risoluzione del contratto, mentre Gonzalo avrebbe chiesto di tornare in patria per problemi personali. Ebbene, per quanto riguarda la pista argentina (si parla del River Plate) i vertici bianconeri andrebbero incontro al ragazzo, mettendo magari a punto un’operazione in stile Tevez-Boca, quando venne opzionato e poi preso Bentancur.
Diverso il discorso se dovessero irrompere altre squadre, europee in particolare: qui verrebbe meno il fattore umano, e il cartellino tornerebbe giustamente oneroso per evitare minusvalenze. Obiettivi in entrata? In attacco è Milik il preferito: in lista anche Lacazette, Jimenez, Dzeko e un po’ più staccato Zapata. Fra i giovanissimi non dispiace Pinamonti. Capitolo esterni: occhio a Gosens (Atalanta) e Dest (Ajax). Da non dimenticare, comunque, che la Juve ha già preso due pezzi da novanta come il 20enne Kulusevski e il 24enne Arthur, oltre a Romero e Luca Pellegrini in arrivo rispettivamente dai prestiti al Genoa e al Cagliari.
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Calciomercato Roma, per il ruolo di ds prende quota la candidatura di Planes: confermati i contatti
ILTEMPO.IT (A. AUSTINI) - Un altro direttore sportivo spagnolo per la Roma. Dopo le voci nella giornata di ieri, ora la sua candidatura prende quota: confermati, infatti, i contatti tra i Friedkin e Ramon Planes, segretario tecnico del Barcellona ma di fatto l'uomo mercato dei catalani insieme ad Abidal. Ha lavorato in diversi club della Liga e anche al Tottenham con Pochettino nella stagione 2014/15. E a questo punto non sembra un caso che tra le varie indiscrezioni di questi giorni sul futuro della Roma sia emerso il nome del tecnico argentino, a caccia di una panchina. Quel che è certo, però, è che la nuova proprietà stia cercando un direttore sportivo di spessore. E tra i vari candidati c'è Planes. Ma il casting è in pieno svolgimento e ogni scenario resta ancora possibile.
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Parla l'allenatore che nel 2001 cambiò ruolo al nuovo tecnico bianconero: "Era lì che doveva giocare. Diventò il regista più forte del mondo ma non per merito mio: già allora "vedeva" il gioco prima degli altri. L'esperienza da giocatore gli servirà in questa nuova avventura. Da Totti a Guardiola, quanti mi chiamano ancora"
«Siamo felicissimi per Pirlo, se lo merita. Allenare la Juventus è un privilegio e una bella sfida. Certo che è pronto, conosce il calcio come pochi. È stato un grande campione e farà bene anche in questa nuova carriera da allenatore: lo scriva, ne siamo sicuri». La vita di Carlo Mazzone oggi si declina alla prima persona plurale. Noi. Carlo e la moglie, Maria Pia, che lui chiama affettuosamente Mannì. È lei che filtra le telefonate, lo affianca nelle relazioni pubbliche, gestisce la comunicazione. Sor Carletto nei secoli dei secoli - lo era a quarant’anni lo è oggi che ne ha 83 - vive ad Ascoli, quartiere Monteverde, la mattina si sveglia con calma, «È un dormiglione, io mi alzo presto e vado a prendergli i giornali» dice la moglie, fa una passeggiata con i figli, guarda il calcio in tivù, è un patriarca sereno che si gode i nipoti e trova ogni giorno la conferma di aver seminato molta umanità, non soltanto conoscenze calcistiche, nell’abbrivio - un respiro lunghissimo - delle sue 38 stagioni in panchina, da Ascoli 1968 a Livorno 2006, passando tra le altre per Catanzaro, Cagliari, Roma, Bologna e con il record delle 797 partite ufficiali.
L'incrocio al Brescia nel 2001
Nel 2001 il destino di Mazzone incrociò quello di un giovane Pirlo. Succedeva a Brescia, tappa intermedia di una carriera ancora incellophanata, cinque mesi di parentesi tra le incomprensioni all’Inter e l’esplosione al Milan. Pirlo passa al Brescia alla fine del mercato di gennaio e Gianni Mura su «Repubblica» scrive: «Abbiamo capito che Lippi non lo vedeva di buon occhio (si potrebbe organizzare una serata con ricchi premi e cotillons per stabilire se c'era qualcuno, all'Inter, che Lippi vedesse di buon occhio). Ma arriva subito Tardelli, uno che Pirlo lo vedeva di buon occhio, Under e dintorni. Totale: Pirlo non gioca quasi mai. E da venerdì è tornato al Brescia, da cui era partito (destinazione Inter) nel 1998. C' è una morale in tutto ciò?». Archivia la maglia numero 11 nerazzurra e prende il 5 - come il «volante» Falcao che ha in mente Mazzone - debutta il 28 di quel mese, contro il Milan, da trequartista nel 3-5-1-1 col compito di innescare le sgroppate di «Tatanka» Hubner. Didascalico, niente più. Mazzone lo accoglie annunciando che «Pirlo avrà un ruolo alla Rui Costa», cioè da 10 libero di cercarsi la posizione, poi si ricrede. La prima in coppia con Roby Baggio capita a Firenze, il 24 febbraio: prove tecniche da regista, con Bisoli e Bachini a fargli da scudieri. In mezzo al campo Pirlo trova la sua identità e il primo aprile a Torino contro la Juventus, sciorina il celebre assist (poi Roby fa un gioco d’artista e mette a sedere Van der Sar). Due settimane dopo si infortuna in allenamento - quinto metatarso del piede destro - e finisce lì la sua seconda parentesi bresciana: 10 presenze, tutte da titolare, ma quello è il piedistallo e Pirlo sta in punta di piedi per il salto. In estate verrà venduto al Milan per 35 miliardi di lire, con Drazen Brncic che entra nell’operazione e passa all’Inter.
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Quello di Brescia fu un periodo decisivo per la maturazione di un fuoriclasse fin là inespresso. Mazzone ricorda: «Lo arretrai e lo piazzai davanti alla difesa, gli spalancai un mondo nuovo. Era il suo ruolo, era lì che doveva giocare. Prima era un trequartista come tanti, diventò il regista più forte del mondo. Ma non per merito mio, eh: parliamo di un campione assoluto, uno che ha il calcio nel dna, sarebbe successo comunque. Era già allora uno che comandava il gioco, lo «vedeva» prima degli altri. Da giocatore ha accumulato tanta esperienza, gli servirà anche adesso che comincia questa nuova avventura». Subito in panchina, senza aver mai allenato. Un rischio? Anche no. «Andrea è un ragazzo perbene, sa essere credibile quando parla, alla Juve lo ascolteranno. Io credo farà bene. E poi da qualche parte bisogna cominciare, no?».
https://www.repubblica.it/sport/calc...tti-264378539/
@Sean
Non è che ogni allenatore nuovo della Juve "deve" per forza vincere il campionato... ovviamente è sempre una delle prentendenti. Però dopo 9 di seguito, la conferma di Cr7 che vuol restare, Dybala e la cessione/epurazione dei non graditi...anno zero simbolico mi pare, anche perché mica comprano i primavera o giovani neozelandesi alla Juve, per capirci. Come dicevo ieri, la differenza delle aspettative la farà la rosa che verrà consegnata a Pirlo.
Se sarà sulla carta ottima, credo che debba avere la convinzione di vincere, con tutti gli imprevisti ecc. Poi è ovvio che se fa secondo o terzo mica lo cacci chi ha mai detto questo? Per me sono stati frettolosi a sbolognare Sarri, figurati.
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La lista degli epurati è quella che abbiamo compilato anche noi nel corso della stagione.
C'è il dubbio su Rugani visto che de Ligt si opera alla spalla e rientrrà (se va bene) a fine ottobre. Poi pare che la Roma abbia avanzato una offerta per Bonucci....ma di noi
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Beh chiaro, vanno a traino. Bonucci però lo ha detto Momblano affermando di avere delle conferme (dalle sue fonti torinesi ovviamente)....ma di noi
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Vaciago di Tuttosport scrive che Dybala vuole 15 l'anno (la metà di Ronaldo in pratica) e che la Juve ne offre 8 più bonus.
Ora io credo che Dybala rimarrà, però occorre monitorare questa faccenda. D'altro canto, dal suo punto di vista fa bene a sparare alto visto che l'anno scorso lo hanno spedito come un pacco postale per mezza Europa. Si sarà detto: "adesso mi vuoi tenere? Allora paga"....ma di noi
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Che sia venuto porlo per accettare un 4 posto è roba da pazzi.
Inoltre spero che non si punti morataCura il tuo corpo come un tempio
Originariamente Scritto da M K KDesade grazie di esistereOriginariamente Scritto da AK_47si chiama tumore del colon, adenocarcinoma è la tipologia di tumore che colpisce le cellule dell'epitelio ghiandolare.
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