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Sono d'accordo, io personalmente lo avrei confermato senza pensarci.
Pero' le dita nel naso anche nella foto emblematica della stagione, cavolo. ***** ci avra' dentro quel naso, un nido di termiti.
Io lo ripeterò all'infinito, ci è andato nell'anno sbagliato, metà squadra sono dei rottami..
Andate a vedere chi c'era 5 anni fa e in che condizione erano...
Altro mondo proprio
Originariamente Scritto da Marco pl
i 200 kg di massimale non siano così irraggiungibili in arco di tempo ragionevole per uno mediamente dotato.
La Juventus a Pirlo, dal campo direttamente alla panchina dei Campioni d’Italia, era già tutto previsto. Subito un gran balzo, come Guardiola o Mancini. Adesso preparatevi a dose massicce di tiki taka e possesso palla: piacerà a Ronaldo?
PIRLO, ERA GIA’ TUTTO PREVISTO
E’ Andrea Pirlo il nuovo allenatore della Juventus. Una volta deciso di esonerare Sarri non si è fatto altro che anticipare i tempi e rendere operativo quel cambio che era già stato virtualmente disegnato nei progetti di Andrea Agnelli e il suo staff. Pirlo, – in stile Guardiola al Barcellona o anche Mancini quando si ritrovò all’improvviso la Fiorentina nelle mani – avrebbe dovuto allenare l’ Under 23 bianconera, così il salto è totale: da ex della Juve ad allenatore, senza alcun passaggio intermedio, se non un finale di carriera negli Stati Uniti e una breve esperienza da commentatore TV. Nessuna lunga ed estenuante gavetta come Sarri, subito al top.
A lui si chiederà quello che era già stato chiesto agli altri – da Conte a Sarri passando per Allegri – vincere la Champions League. Magari potrà anche perdere il 10° scudetto consecutivo, basta che porti fuori la Juve da questo incubo venticinquennale che la perseguita.
In altre occasioni Pirlo, giocatore straordinario e uno dei maggiori talenti del calcio moderno, ha avuto modo di esprimere le sue idee da allenatore. 4-3-3 e gran possesso palla, questa è la sua filosofia. In questo non c’è una differenza traumatica con Sarri e comunque il possesso palla è un principio oggi molto comune tra tutti gli allenatori. Mi sembra di aver intuito però che alcuni grandi giocatori – da Ronaldo a Dzeko – si siano invece stufati del possesso palla e gradirebbero un gioco più verticale, rapido, teso a mettere velocemente a disposizione dell’attaccante principale una buona palla giocabile e trasformabile in gol. Non credo che Pirlo parta da queste basi, ma staremo a vedere.
Credo che Ronaldo abbia un ottimo rapporto personale con Pirlo, ma non so dire quanto possa piacergli e adattarsi facilmente al suo calcio.
PIRLO, ERA GIA' TUTTO PREVISTO E' Andrea Pirlo il nuovo allenatore della Juventus. Una volta deciso di esonerare Sarri non si è fatto altro che anticipare i tempi e rendere operativo quel cambio che era già stato virtualmente disegnato nei progetti di Andrea Agnelli e il suo staff. Pirlo, - in stile Guardiola al Barcellona o anche Mancini quando si ritrovò all'improvviso la Fiorentina nelle mani - avrebbe dovuto allenare l' Under 23 bianconera, così il salto è totale: da ex della Juve ad allenatore, senza alcun passaggio intermedio, se non un finale di carriera negli Stati Uniti e una breve esperienza da commentatore TV. Nessuna lunga ed estenuante gavetta come Sarri, subito al top. Per Pirlo nemmeno un passaggio in un'altra squadra o formazione giovanile: due anni e mezzo fa l'ultima sua partita da calciatore, poi un periodo a capire cosa fare dopo e adesso a 41 anni la Juventus nelle mani. E' una scelta ancor più coraggiosa, o azzardata dipende dai punti di vista, di quello che fu
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Juve a Pirlo. Le ragioni di una scelta radicale: costi più bassi e la sintonia con Ronaldo
L’eliminazione in Champions contro il Lione porta al secondo cambio tecnico in due stagioni: la corazzata bianconera affidata a un suo ex campione
L’estate juventina delle prime volte termina con quella più clamorosa: Andrea Pirlo, con un contratto biennale, diventa l’allenatore bianconero al posto di Maurizio Sarri senza essersi mai seduto per un giorno su una panchina, nemmeno delle giovanili. Una scelta senza precedenti, per una società entrata ormai da tempo «in un territorio inesplorato, perché nessuno ha mai vissuto queste situazioni» come sottolinea il direttore Fabio Paratici, che aggiunge: «Pensiamo che Pirlo possa essere un predestinato».
La scelta dell’ex campione che ha chiuso in lacrime la carriera juventina con la finale di Champions 2015, ricalca le orme di Zidane e Guardiola, ma anche in quel caso qualche panchina di prova era stata fatta. Pirlo avrà Roberto Baronio come vice, il match analyst Antonio Gagliardi in arrivo dalla Nazionale, forse anche Alessandro Matri nello staff. E in società, dove i cambiamenti riguardanti Paratici e la promozione di Federico Cherubini potrebbero essere solo rinviati alla chiusura del mercato, Andrea potrebbe anche ritrovare una vecchia conoscenza milanista come Ariedo Braida.
Se nove scudetti di fila non si sono mai visti, sono del tutto inediti anche due esoneri consecutivi di due tecnici appena diventati campioni d’Italia: il terreno, oltre che inesplorato, quindi è anche piuttosto pericoloso, una sorta di Far West dove vince il più forte (Ronaldo) mentre il più debole (Sarri) abbandona la scena, nella freddezza generale. Come avvenuto sabato in tarda mattinata alla Continassa, quando Agnelli ha comunicato la decisione al tecnico che ha ancora due anni di contratto a 6 milioni netti e considerava la vittoria dello scudetto un’impresa, visto il logorio di una delle «rose più vecchie d’Europa» (definizione dello stesso presidente).
Prendere CR7 — con tutto quello che l’investimento ha comportato dal punto di vista economico e tecnico — per uscire ai quarti e agli ottavi di Champions con Ajax e Lione, rappresenta però un doppio passo falso inaccettabile, che rischiava di deprimere in modo irreversibile l’ambiente e anche lo stesso Ronaldo. Così, in nome dell’entusiasmo invocato da Agnelli, della rapidità e anche dei costi più contenuti rispetto a nomi come Zidane e Pochettino, la scelta da pioniere è tutta del presidente, che già venerdì notte dopo l’eliminazione contro il Lione aveva confermato il gruppo dirigente, ma allo stesso tempo aveva fatto capire che il pallino tornava del tutto in mano sua.
Finora l’incontro tra due aziende come la Juve e Ronaldo ha stritolato due allenatori e la scelta di Pirlo, campione universale, può anche essere funzionale in questo senso, per provare a parlare la stessa lingua dell’asso portoghese: «Ora è tempo di riflettere e di analizzare gli alti e bassi, perché il pensiero critico è l’unico modo per migliorare — ha scritto ieri Ronaldo, in un lungo post nel quale non cita mai Sarri — . Un grande club come la Juventus deve sempre pensare e lavorare come se fosse il migliore del mondo, così che possiamo definirci uno dei migliori e più grandi club del mondo».
Farlo con troppi giocatori che Allegri e Sarri consideravano logori e con la pancia piena, però è impossibile, anche per Pirlo. I tempi ridotti per l’inizio della nuova stagione e l’impossibilità di fare grossi investimenti aumentano il coefficiente di difficoltà.
Ma Pirlo arrivò alla Juve reduce da due settimi posti e il primo giorno fu accolto dal grido di Conte: «È ora di smetterla di fare schifo!». Conoscere bene quello spirito da pionieri può tornargli utile.
CorSera
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Andrea Pirlo, che allenatore sarà: quell’idea di calcio che nasce da un pallone attaccato ai piedi
Una strada tracciata per lui da Agnelli che lo aveva presentato dieci giorni fa come allenatore dell’Under 23. «Le responsabilità ce le ho da quando avevo 14 anni»
Era solo sbagliato l’annuncio, in fondo, quando dieci giorni fa Andrea Pirlo era stato presentato come allenatore dell’under 23, perché il resto del vernissage suonava da epocale investitura: con Andrea Agnelli e lo stato maggiore al fianco, e parole dolci per tutti, tranne che per Sarri. Del resto, se l’abito fa il monaco, figurarsi il Maestro. Impeccabile, come lo è sempre stato sul campo, con quel nobile distacco che solo hanno i grandi, e quella sicurezza che appartiene ai predestinati: «Le responsabilità ce le ho addosso da quando avevo 14 anni». Detto senza mai scomporsi, come quando era sul prato, sotto l’attacco del pressing, e non cambiava mai espressione, da film di Kurt Russell: «Sono nato pronto».
Pronta, come la strada che gli aveva tracciato il presidente Agnelli, già quel giorno: «Spero sia il primo passo di una strepitosa carriera. L’idea è che in futuro il percorso possa magari portarlo in prima squadra». Detto fatto, nel giro di una notte e neppure un giorno. È così che l’eccezionale diventa fisiologico, per uno che, dall’autunno 2011, è juventino, dopo essere stato per dieci anni milanista. Denominatore comune: vincente. Alla fede bianconera ci ha aggiunto la frequentazione della città, mai davvero abbandonata.
Tra la casa in centro, al numero 21 of course, e la bella villa di Pecetto, sulle colline a sud-est della città. Chi lo conosce bene, racconta come dal ritiro da giocatore, a New York, fosse partito un countdown che poteva portare solo qui: come Zidane con il Real Madrid. Moduli a parte — «non sono quelli che fanno la differenza» — aveva già il suo manifesto: «Ho in mente la mia idea di calcio. Con la palla tra i piedi e con la voglia di giocare sempre per vincere».
Quell’entusiasmo di cui, la notte prima, parlava Agnelli. «Da giocatore odiavo delle cose e non vorrò rivederle in campo». Al solito, ruberà qualcosa da chi ha visto in cattedra: «Ho avuto tanti allenatori, e tutti mi hanno dato qualcosa: Ancelotti, Lippi, Allegri». Anche se il migliore mai visto, disse, è stato un altro: «Conte». Quello che gli spalancò un universo e, si narra, diede l’ultima spinta per diventare allenatore. Ripartirà da quel che ha osservato: «Il gioco di Sarri mi piace, con il play che gioca tantissimi palloni».
Più del Comandante, avrà il carisma che ti fa ascoltare e volti amici nello spogliatoio. Gente quasi di casa: «Anche quando sono andato via da Torino ho mantenuto buoni rapporti». Non gli manca l’ambizione, ma sa quanto costano le vittorie: «A tutti piacerebbe fare il percorso di Guardiola e Zidane, ma bisogna meritarselo, con tempo ed esperienza». L’ispirazione, come nelle favole, gli arrivò di notte: «Invece di dormire, immaginavo come piazzare i giocatori in campo. Lì ho pensato: devo fare questo». Il fiuto c’è: «Quando guardo un ragazzino — disse una volta — vedo come stoppa e passa la palla. Si capisce subito: se sa stoppare e passare, è bravo». Indole da timido fuori, fama da casinista tra i compagni, che lo adoravano, a partire da Rino Gattuso: «Lui può fare tutto, ha un’intelligenza fuori dal comune»
CorSera
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Juventus, Paratici confermato (era lo sponsor di Sarri): «Totalmente infondate le voci di separazione»
Andrea Agnelli già dopo la partita aveva confermato lo staff: «Ho un gruppo dirigente molto affiatato e me lo tengo molto, molto stretto».
Rivoluzione in panchina, continuità (almeno per ora) nella dirigenza. L’eliminazione in Champions League è costata il posto a Maurizio Sarri ma non travolge Fabio Paratici. Le ultime ore, insieme all’esonero del tecnico, sono state accompagnate anche da una serie di voci e rumors su un possibile addio del direttore dell’area tecnica e sponsor principale dell’allenatore. E invece la Juve, con una nota all’agenzia Ansa, ha confermato la fiducia a Paratici, definendo «totalmente infondate» le indiscrezioni.
Era stato lo stesso Andrea Agnelli, d’altra parte, subito dopo il match con il Lione aveva blindato tutta la dirigenza: «Ho un gruppo dirigente molto affiatato e me lo tengo molto, molto stretto».
Paratici, 48 anni, è cresciuto all’ombra di Beppe Marotta alla Sampdoria ed è stato il suo braccio destro alla Juve: è stato lui insieme all’attuale amministratore delegato dell’Inter l’architetto del ciclo vincente di nove anni. Nell’ottobre 2018, dopo l’addio dello stesso Marotta, è stato uno dei tre manager giovani scelti dal presidente Agnelli per guidare la prima linea del management della società. Le sue competenze sono aumentate, anche se non il ruolo di primo piano forse si sta rivelando troppo grande per lui. Finissimo intenditore e scopritore di calciatori ma che ha sempre preferito lavorare nell’ombra.
Il colpo principale della carriera juventina di Paratici resta naturalmente Cristiano Ronaldo. C’era lui al fianco del fenomeno il giorno della presentazione, non Marotta. Le difficoltà maggiori nel suo periodo al vertice si sono manifestate la scorsa estate. Paratici è stato tra i più convinti nel perseguire il cambio di rotta e nel porre fine all’esperienza di Allegri, scommettendo su Maurizio Sarri. Un all-in che non ha pagato, visto che il progetto all’insegna dell’estetica applicata alle vittorie è fallito miseramente dopo soltanto una stagione.
Anche sul mercato le cose non hanno funzionato: prima il tentativo di cedere Higuain e soprattutto Dybala, decisivo in questa stagione insieme a Ronaldo, nell’ambito del derby con l’Inter per arrivare a Lukaku. Poi l’impossibilità, anche per ragioni economiche, di costruire una squadra adatta alla filosofia del nuovo allenatore, che ha contribuito al fallimento del progetto Sarri.
Per questo si è parlato anche di lui come posizione in bilico, anche perché nelle ultime settimane è finito nel mirino di Roma e Manchester United. In crescita, in ogni caso, ci sono le quotazioni del suo braccio destro, Federico Cherubini, che ha guidato dalla nascita il progetto della squadra Under 23.
CorSera
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Juventus, l’esonero di Sarri: tutti i suoi errori (con un alibi che non è servito)
Il bilancio del tecnico, esonerato il giorno dopo l’eliminazione in Champions League, è negativo: sotto accusa la gestione delle partite, la scarsa empatia, le scelte in regia, gli errori ripetuti e la comunicazione inadatta. Attenuante? La malattia estiva, gli infortuni e lo stop per il Covid
Sarri alla Juventus, un bilancio negativo
Una squadra logora, mai davvero all’altezza del suo campione. Un allenatore che si è adattato, ma ha comunque tolto l’antica solidità alla Juventus, senza darle uno slancio in avanti per superare l’ostacolo del Lione, ma anche di Lazio (Supercoppa) e Napoli (Coppa Italia). Sette sconfitte in campionato (con 43 gol subiti), uno scudetto vinto in affanno, la Champions salutata agli ottavi a causa della sciagurata esibizione di Lione (quando il Covid non c’entrava): il bilancio di Maurizio Sarri, esonerato sabato 8 agosto, il giorno dopo l’eliminazione in Champions, è senza dubbio negativo.
La gestione delle partite: che fragilità
La Juve era maestra nel gestire le partite, mentre quest’anno ha subito una lunga serie di rimonte. La volontà di Sarri di «difendere attaccando» ha cambiato radicalmente l’approccio della linea difensiva e dell’impostazione del gioco. Un processo che è costato tanti gol subiti, intrapreso senza avere gli uomini adatti, per carenze sul mercato o infortuni.
Scarsa empatia
Non tutti i giocatori hanno digerito con scioltezza i metodi di Sarri e anche la sua scarsa empatia («Non sono uno da tante pacche sulle spalle», ammette lui). Non vuol dire che i calciatori vadano sempre coccolati e assecondati. Ma creare un’intesa forte, anche dal punto di vista psicologico, è un fattore chiave, che Sarri non sembra aver sfruttato.
Il caso regia
La miglior partita della Juve resta quella contro l’Inter allo Stadium nella sfida a porte chiuse prima del lockdown (vittoria per 2-0). In regia c’era Bentancur, che ha garantito più ritmo e anche più filtro. Perché non insistere deciso su quella strada dopo che Pjanic aveva firmato per il Barcellona? L’alibi sono anche qui gli infortuni che hanno tolto alternative. Ma forse ci voleva più coraggio.
Gli errori ripetuti
La Juve ha perso troppe partite con squadre che l’hanno affrontata alla stessa maniera: Lione all’andata, Milan, Verona, Napoli e soprattutto Lazio. Densità a centrocampo, regia svelta e lucida, punte e mezze punte che vanno a infastidire il centro del gioco bianconero. Le contromisure? Mai viste, a testimonianza di una scarsa elasticità nella gestione dei diversi scenari che una partita porta con sé.
La comunicazione
Pochi allenatori spiegano il calcio anche davanti ai microfoni come fa Sarri, tuttavia il suo continuo ricorso a espressioni volgari non sembrano all’altezza di un club dell’elite europea. Anche la frase per rivendicare i campionati vinti tra i dilettanti si è rivelata un boomerang.
L’alibi più grande
La polmonite ad agosto, ma soprattutto la lunga sosta per il Covid, i tre giocatori ammalati, la ripresa con Higuain svogliato, Pjanic già ceduto. La stagione della pandemia ha coinciso con la stagione del cambiamento mai portato a termine. Non è bastato, come alibi.
CorSera
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Dopo Roma e Juve se ne va un’altra italiana dalle Coppe. Il Napoli si fa facilmente eliminare da Messi e dal Barcellona, anche se alla fine il risultato è stato più che dignitoso. Non sarà facile costruire un Napoli di grandissime ambizioni, negli anni il livello dei giocatori si è abbassato ed è dura restare grandi con delle invenzioni di calciomercato. La Coppa Italia è un bel successo, ma dalla squadra di Ancelotti a quella di Gattuso il progresso non c’è stato. E forse il pubblico vuole qualcosa di più per potersi riaccendere
CHAMPIONS LEAGUE
OTTAVI DI FINALE Barcellona-Napoli 3-1 (and. 1-1)
Dopo Roma in Europa League, il Napoli segue il destino della Juve in Champions League. Fuori, stagione ufficialmente chiusa: finalmente, dirà qualcuno. Se ne va una squadra per sera: ci restano l’ Atalanta e l’ Inter.
Dalla sua aveva solo la teoria il Napoli. La sua speranza si era ridotta al minimo quando Griezmann aveva pareggiato al San Paolo in una bella partita d’andata appartenente praticamente a un’altra era, sei mesi fa. Il Napoli è stato più che dignitoso, ha giocato un buon calcio, poi ti ritrovi davanti Messi e puoi solo alzare il cappello. Oppure farlo passare tra una giungla di gambe di giocatori imbambolati e frastornati da un Camp Nou completamente vuoto.
Non è in Champions League oggi che dobbiamo pesare il Napoli. Credo che De Laurentiis alla fine riuscirà a fare una buona squadra, nonostante la generazione del miglior Napoli di questi anni sia quasi arrivata al capolinea. Alla fine mano mano che vanno via oppure declinano dal picco della loro carriera Higuain, Jorginho, Callejon, Maggio, Allan, Reina, Hamsik, forse anche Martens e molti altri ci si rende conto che è difficile tenere alto il livello con delle invenzioni di mercato. Mi sembra un’invenzione francamente anche quella di Victor Osimhen, proprio forse per le troppe decine di milioni scommesse sul calciomercato come a Wall Street.
Non credo che la vittoria della Coppa Italia possa essere considerato un punto d’arrivo, anche se strappata alla Juventus. Nell’ammirazione di Gattuso per la sua innata simpatia, genuinità, correttezza, a me francamente risulta difficile vedere un progresso netto rispetto alla gestione Ancelotti. Magari non poteva fare molto più di questo ma un Napoli che si accontenti delle pacche sulle spalle per la sconfitta dignitosa al Camp Nou francamente mette un po’ di malinconia. Prima o poi il San Paolo riaccenderà le luci per il suo pubblico e ci vorrà una squadra che arrivi davvero al cuore dei napoletani.
CHAMPIONS LEAGUE OTTAVI DI FINALE Barcellona-Napoli 3-1 (and. 1-1) (10' Lenglet B, 23' Messi B, 45'+1' Suarez rig, B, 45'+5' Insigne N) Dopo Roma in Europa League, il Napoli segue il destino della Juve in Champions League. Fuori, stagione ufficialmente chiusa: finalmente, dirà qualcuno. Se ne va una squadra per sera: ci restano l' Atalanta e l' Inter. Dalla sua aveva solo la teoria il Napoli. La sua speranza si era ridotta al minimo quando Griezmann aveva pareggiato al San Paolo in una bella partita d'andata appartenente praticamente a un'altra era, sei mesi fa. Il Napoli è stato più che dignitoso, ha giocato un buon calcio, poi ti ritrovi davanti Messi e puoi solo alzare il cappello. Oppure farlo passare tra una giungla di gambe di giocatori imbambolati e frastornati da un Camp Nou completamente vuoto. Non è in Champions League oggi che dobbiamo pesare il Napoli. Credo che De Laurentiis alla fine riuscirà a fare una buona squadra, nonostante la generazione del miglior Napoli di
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"Adesso sono c....i suoi!". Lo ha detto Rino Gattuso a Sky Sport alla richiesta di un commento alla notizia di Andrea Pirlo nuovo allenatore della Juventus. "È fortunato a cominciare subito dalla Juve, ma questo è un mestiere difficile, non basta avere una grande carriera da calciatore - ha detto ancora il tecnico del Napoli, che da giocatore ha vinto assieme a Pirlo i Mondiali del 2006 -. Bisogna studiare e lavorare, si dorme poco. Gli faccio un grandissimo in bocca al lupo". (ANSA)
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Pirlo, precipitato da mane a sera sulla panchina più importante ma anche più pesante del calcio italiano, dovrà imparare tutto e in fretta: chi lo conosce lo descrive come molto intelligente e ambizioso: sono qualità che gli serviranno, come anche una grossa dose di fortuna (che nella carriera di Pirlo, baciato da immani successi, non è mai mancata).
Gli servirà anche una squadra: l'ultimo anno di Allegri, e il primo ed unico anno di Sarri, hanno infatti dimostrato che la rosa ormai è per gran parte logora e da rifare: Kulusevski, Arthur, (forse) Milik sono innesti nel segno giusto ma non bastano. Ne occorrono altri.
Non ci saranno grandi nomi, i fondi non sono molti. L'importante però è che siano giovani e sani.
Per quanto riguarda Pirlo avrà sicuramente fatto tesoro dell'anno sarriano, dunque, se vuole stare tranquillo, riparta dalla solidità difensiva: una squadra che prende pochi goal è comunque un passo avanti rispetto alle altre.
Si ricordi inoltre che vincere 1-0 spesso è un merito; che un estenuato possesso palla non porta da nessuna parte e fa perdere solo tempo prezioso, se non sei il Barca di Guardiola/Messi; che i tifosi e lo spogliatoio li si tengono buoni vincendo le partite: il come viene dopo; che i risultati sono tutto, e la sua stagione verrà giudicata su quelli e non su altro; che i vincenti non sono i belli ma i bravi a capire come gira il calcio, e il calcio gira bene solo quando vinci.
Per il resto, speriamo che la sua buona stella sia sempre presente e si goda questo viaggio cercando di far godere anche noi, e c'è un solo modo per far godere i tifosi e per vivere un lungo viaggio: vincendo.
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Friedkin lavora per il closing poi il ds sarà la prima mossa
Settimane decisive per il futuro della Roma. Lunedì è prevista la pubblicazione di nuove comunicazioni relative all'offerta del Gruppo Friedkin. Sette giorni dopo, il 17, avverrà il closing. Inizialmente previsto a Londra, le parti stanno prendendo in esame la sede di New York. Entro due giorni dal passaggio di proprietà, dovranno poi essere presentate le garanzie alla Covisoc per l'iscrizione al campionato e tra fine mese e i primi di settembre la Consob dovrà dare l'ok al prospetto dell'aumento di capitale. E una volta insidiatosi, la prima mossa di Friedkin sarà quella di scegliere il ds. Al momento, Sabatini è uno dei papabili, Paratici è un ipotesi che appare impraticabile visto che in caso di divorzio il dirigente vorrebbe vivere un'esperienza all'estero (Manchester United). Senza contare che in serata ha confermato la sua permanenza alla Juve. Ha qualche chance di tornare a Trigoria anche Pradè. Outsider rimangono Berta e Giuntoli.
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