Originariamente Scritto da marcu9
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Attenzione: Calcio Inside! Parte III
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I SUOI goals:
-Serie A: 189
-Serie B: 6
-Super League: 5
-Coppa Italia: 13
-Chinese FA Cup: 1
-Coppa UEFA: 5
-Champions League: 13
-Nazionale Under 21: 19
-Nazionale: 19
TOTALE: 270
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Originariamente Scritto da robybaggio10 Visualizza MessaggioSecondo sky Conte e l'Inter sono lontanissimi...il favorito alla successione sarebbe Allegri. Il Milan dovrebbe fiondarsi su Conte.
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Mi pare chiaro che nell'Inter ci sia una contrapposizione e sovrapposizione di ruoli: Conte, come dicevo oggi, vuole strabordare in ogni interstizio societario...però Marotta non è un manichino alla Ausilio...ma uno che ha la consapevolezza del ruolo, cioè di essere l'AD e anche ultima istanza sul mercato.
Conte invece vorrebbe decidere lui gli acquisti e non avere più sorprese alla Eriksen: in questo quadro, uno dei due (Marotta o Conte) è di troppo. Che faranno i cinesi?
Conte di sicuro non si dimette: prende 12 milioni l'anno. Semmai cercherà di farsi cacciare o di vincere la partita con Marotta....ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
C. Campo - Moriremo Lontani
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Originariamente Scritto da robybaggio10 Visualizza MessaggioNe diamo 6 a Donnarumma. Secondo te Conte non apporterebbe alla squadra 1 volta e mezza (circa) quello che apporta Donnarumma? Per me Conte varrebbe come 5 Donnarumma...glie ne darei pure 18!
Ma è anche vero che con Pioli stanno giocando divinamente.
Anche questo è da considerare.
Ma comunque Conte è Conte..ma non credo verrebbe mai al Milan con la società attuale ed i relativi (scarsi) obiettivi.Originariamente Scritto da SeanTu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
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Originariamente Scritto da Sean Visualizza MessaggioMi pare chiaro che nell'Inter ci sia una contrapposizione e sovrapposizione di ruoli: Conte, come dicevo oggi, vuole strabordare in ogni interstizio societario...però Marotta non è un manichino alla Ausilio...ma uno che ha la consapevolezza del ruolo, cioè di essere l'AD e anche ultima istanza sul mercato.
Conte invece vorrebbe decidere lui gli acquisti e non avere più sorprese alla Eriksen: in questo quadro, uno dei due (Marotta o Conte) è di troppo. Che faranno i cinesi?
Conte di sicuro non si dimette: prende 12 milioni l'anno. Semmai cercherà di farsi cacciare o di vincere la partita con Marotta.
Che poi più che caos sembra un volersi quasi complicare il lavoro a tutti i costi. Anche Mourinho con i risultati strepitosi dovette ergersi a parafulmine in più di un'occasione. Conte poi era abituato al Chelsea e in premier, dove ti fanno fare il manager a 360 gradi e magari si aspettava o aveva pattuito una roba simile.
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Allegri rientrato dalle vacanze in Sardegna.
Qua bolle qualcosa....ma di noi
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Originariamente Scritto da Fabi Stone Visualizza MessaggioMi sa che all'Inter, pure coi cinesi, gli investimenti più che generosi ecc... continua a regnare un certo caos, come da tradizione, riferito ad una grande piazza ovviamente e da romanista, magari il loro che il nostro eh sia chiaro.
Che poi più che caos sembra un volersi quasi complicare il lavoro a tutti i costi. Anche Mourinho con i risultati strepitosi dovette ergersi a parafulmine in più di un'occasione. Conte poi era abituato al Chelsea e in premier, dove ti fanno fare il manager a 360 gradi e magari si aspettava o aveva pattuito una roba simile.
In Italia non c'è la figura dell'allenatore-manager. Le società sono strutturate diversamente, con organigammi dove ciascuno ha un suo compito....ma di noi
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Il 9 luglio Momblano scriveva che Conte avrebbe lasciato l'Inter e che nessuno in società era dalla sua parte.
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Gli attacchi di Conte, stavolta lo strappo con l'Inter può essere definitivo
Lo sfogo del tecnico dopo il successo sull'Atalanta, che ha consentito ai nerazzurri di chiudere il campionato al secondo posto a -1 dalla Juve, rimette in bilico il futuro della panchina. Esonero da escludere, il richiamo dalla Premier potrebbe convincere l'allenatore a lasciare
"Sono uno che parla chiaro". È la classica frase che pronunciano quelli che, in realtà non parlano chiaro per niente. Antonio Conte in questo è maestro. Nella sua sfuriata contro la società nerazzurra, dopo la vittoria dell'Inter a Bergamo, se la prende con "gli altri" (gli altri chi?), sostiene di non essere "stato protetto dagli attacchi" (di chi?), alla fine rinverdisce la solita minaccia di andarsene. Non lo dice chiaro, ma per sponde e triangolazioni, da giocatore di biliardo: "Finita l'Europa League, faremo le valutazioni per la prossima stagione. Io farò le mie valutazioni, la società le sue. Valutazioni tecniche? No, in generale, in tutto".
Il club elogia Conte
Conte attacca l'Inter mentre l'Inter lo elogia. Per l'amministratore delegato nerazzurro Beppe Marotta, che lo ha voluto e ingaggiato, Conte "ha fatto un lavoro incredibile, ed è il deus ex machina di questa Inter". Parlando della dirigenza nerazzurra, e commentando il secondo posto in campionato a un solo punto dalla Juve, l'allenatore invece dice: "Non è stato riconosciuto il mio lavoro e quello dei ragazzi. Ora nessuno salga sul carro. Juve più forte non solo in campo, anche in società". Poi, come una maestra severa, traccia sulla lavagna i nomi dei buoni, lasciando intendere che gli altri sono cattivi: "I giocatori, i magazzinieri, i fisioterapisti, Lele Oriali".
Il futuro
Conte se ne andrà? Probabilmente no. E in ogni caso dovrà volerlo lui. L'Inter, che già paga lo stipendio a Spalletti, non ha nessuna intenzione di esonerarlo. Marotta peraltro sull'operazione Conte (ingaggiarlo e poi cercare di accontentarlo in tutto) ha investito molto della propria credibilità con la proprietà cinese. L'ex ct, che rimpiange la Premier League, potrebbe salutare se avesse la certezza di avere una panchina pronta in Inghilterra. Improbabile invece che decida di rimanere fermo un anno ancora, come fatto dopo l'addio col Chelsea. Intanto, deve guidare l'Inter in Europa League. La stafione non è finita. Mercoledì incontrerà il Getafe. Poi , come ha detto e non detto, farà le sue valutazioni.
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Conte e l’Inter, il divorzio è più vicino: dopo l’Europa League può essere addio
Le accuse del tecnico alla società creano tensione, troppo costoso l’esonero, dopo la Coppa si cercherà un accordo per lasciarsi. L’unica alternativa sembra Allegri
Un divorzio consensuale è raro. Per l’Inter e Antonio Conte potrebbe essere una necessità non più rinviabile. La vittoria di Bergamo, il secondo posto conquistato, aver chiuso il campionato a un solo punto di distacco dalla Juventus eguagliando l’Inter del Triplete di Mourinho, potevano essere un momento di festa, sono diventati un regolamento di conti tra l’allenatore e la società. Una frattura profonda, difficile se non impossibile, da ricomporre.
Si andrà avanti per l’Europa League, poi probabilmente le strade si divideranno. Club e tecnico cercheranno di raggiungere un gentleman agreement. Conte ha un contratto faraonico da 12 milioni netti a stagione, fino al 2022. Ci si siederà attorno a un tavolo e si arriverà a un compromesso. L’esonero non è un’opzione, impraticabile l’idea di licenziamento per giusta causa, mentre le dimissioni lasciando lì tutto l’ingaggio nessuno se le aspetta. L’allenatore però è stato chiaro: «No a un secondo anno da parafulmine». L’Inter ad agosto dovrà probabilmente cercare un sostituito, il candidato unico è Massimiliano Allegri. Se Conte lascerà, anche Lele Oriali tornerà a occuparsi a tempo pieno di Nazionale. Cosa farà poi il tecnico è da capire. Un anno di pausa se l’è preso già dopo il Chelsea. Un ritorno in Premier, sponda Manchester United, è una possibilità. C’è chi azzarda pure una nuova avventura alla Juve, voci per ora senza riscontri.
Dopo il match di Bergamo, il tecnico ha imputato alla società di non aver difeso né lui né la squadra e ha accusato la dirigenza di «essere salita sul carro» dopo il secondo posto.
Come a Dortmund, dopo la sconfitta in Champions con il Borussia, ha picchiato durissimo. L’uscita è stata scomposta, ruvida e diretta nei modi come solo Conte sa esserlo. L’allenatore ha messo nel mirino il direttore sportivo, Piero Ausilio, con cui non è mai corso buon sangue. Ha puntato il dito sulla gestione del mercato: «So io quello che ho dovuto fare per Lukaku». Il rimprovero è ai tentennamenti estivi, al rischio di perdere il belga e alle alternative al ribasso proposte. Cui si aggiunge una sopravvalutazione della rosa, il famoso «pacchetto preconfezionato». La società rigetta le accuse, fa presente di aver portato Lukaku, speso per Barella, Sensi e Eriksen.
Nel calderone è finito pure l’ad Beppe Marotta. Il dirigente l’ha voluto all’Inter. Il rapporto tra i due, solidissimo all’inizio, si è sfilacciato, incrinato. Conte gli imputa di non aver difeso né lui né la squadra, quando a gennaio si parlava di scudetto. Vero pure che fu proprio Conte, alla ripresa post lockdown, a dire: «Andiamo a -6 dalla Juve e poi vediamo». Quando parla di «debolezza della società» il riferimento è allo sfogo post Roma, alla questione calendario, al fatto che lì nessuno uscì allo scoperto, mentre dopo la vittoria sull’Atalanta l’ad ha lodato tutta la società. Marotta non si aspettava il rimprovero, nei mesi lo ha assecondato, a Bergamo ha sottolineato i tanti meriti dell’allenatore.
Uno dei colpi più duri Conte lo ha riservato al presidente. «Dovrò parlare con Zhang, ma ora è in Cina. Valuterò il futuro». Tradotto: da quattro mesi è assente, voglio capire i programmi, di gestione più che di mercato, e la catena di comando va accorciata.
Tra Conte e la dirigenza non c’è più un rapporto di fiducia. I margini sono stretti, quasi nulli. L’allenatore non vuole lavorare con chi, a suo dire, non mette la faccia nelle difficoltà e poi prende meriti.
La società si è irritata per le dichiarazioni. Il presidente Steven Zhang e Marotta si sono parlati al telefono, lunedì ad Appiano possibile confronto tra tecnico e amministratore delegato. Un chiarimento dovuto, difficile possa portare a una pacificazione.
In mezzo sta la squadra, impegnata mercoledì in Europa League con il Getafe, tra l’altro l’acquisto di Sanchez per 15 milioni dal Manchester United, dovrebbe essere annunciato subito dopo. Conte ha fatto quadrato con il gruppo, è deciso ad arrivare in fondo alla competizione e a vincerla, per chiudere con un trofeo. Poi la strada pare tracciata.
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La paura di Sarri, cinque giorni per ritrovare la vera Juve
La squadra ha staccato la spina quando il vantaggio sulle inseguitrici ha reso lo scudetto una pura formalità, il finale di campionato non lascia però buone sensazioni in vista dell'ottavo di ritorno di Champions contro il Lione di venerdì prossimo. Dybala prova il recupero
A cinque giorni dal Lione, la Juventus è un'entità indescrivibile anche per il suo stesso allenatore. È una squadra indecifrabile, con una soglia di affidabilità insondabile. E questo è un gran bel problema. Sarri ha ammesso che dopo la vittoria sulla Lazio, i suoi hanno staccato la spina: è questo è un problema ancora più grande, perché qualsiasi allenatore vi spiegherà quanto sia difficile riattaccarla. Difatti lo stesso Sarri, a denti stretti, lo ha infine ammesso: "Un po' di paura questa squadra la fa anche a me: non è automatico riattaccare tutti gli interruttori".
Ecco, paura: è un sentimento che affiora. "Ma un po' di strizza non può che farci bene". In questi nove anni, la Juve non ha mai sbracato in questo modo nel finale, nemmeno quando ha vinto gli scudetti con 17 punti di vantaggio. Né si è tirata mai indietro quando di mezzo c'erano le battute finali della Champions: logicamente le energie da dedicare al campionato venivano centellinate ma senza mettere da parte del tutto la voglia di vincere, di giocare le partite seriamente e di mandare in campo un buon numero di giocatori di primo piano. C'era un rallentamento gestito (in questo Allegri era un fuoriclasse), ma mai una disconnessione completa. La ragione era proprio quella dello stacco e del riattacco: scollegarsi dalla quotidianità lavorativa non equivale a un risparmio automatico di forze e di stress ma può provocare piuttosto un crollo di motivazioni difficile da riassestare, persino di fronte a una competizione così motivante come la Champions. L'impressione, poi, è che la Juve abbia in verità staccato molto prima della vittoria sulla Lazio: è dal secondo tempo della gara con il Milan alla trentunesima giornata, con quel tracollo che portò il risultato da 0-2 a 4-2, che i bianconeri hanno smesso di prendere le partite di petto. Guarda caso, quella venne giocata pochi minuti dopo la sconfitta della Lazio a Lecce: in quel momento la squadra si è trovata in largo vantaggio (+7 sui biancazzurri, +9 sull'Atalanta, +10 sull'Inter), si è sentita al sicuro e ha cominciato a staccare una spina dopo l'altra, tenendo connessi solamente i collegamenti essenziali per arrivare al traguardo con il minimo indispensabile degli sforzi. Così, nelle ultime otto giornate la Juve ha perso quattro partite su otto e incassato ben 17 reti.
Basteranno cinque giorni per resettare tutto questo e ripartire come se niente fosse? Sarri ribadisce che non è una questione né fisica né atletica, ma mentale, anche se molto dipenderà da Dybala, che da oggi tornerà ad allenarsi tentando il recupero. Il Lione che il tecnico ha visto venerdì sera nella finale di Coppa di Lega con il Psg, persa ai rigori, e che rivedrà oggi vivisezionandone ogni dettaglio ("Posso metterci anche quattro ore") ha fatto una certa impressione. Non tanto per la condizione fisica del tutto indecifrabile (la squadra di Garcia non giocava una partita ufficiale da quasi cinque mesi) quanto per la compattezza, l'organizzazione generale, la lucidità nella gestione del gioco di fronte a una squadra molto più forte e teoricamente più in forma. Rispetto alla partita d'andata giocata a fine febbraio, il Lione ha perso Tousart, passato all'Hertha Berlino, ma ha ritrovato Depay, il capitano e il giocatore di maggior talento assieme ad Aouar, e scoperto Cacueret, centrocampista semidebuttante dei vent'anni che con il Psg ha fatto un figurone, mordendo le caviglie di Verratti e Neymar e segnando con freddezza una dei rigori della serie finale. Chi stia meglio, se chi non gioca da cinque mesi o chi lo fa già da un po' e ha anche potuto gestire le energie, è impossibile saperlo. Il fatto inquietante è che la Juve sa prima di tutto poco o niente di sé stessa.
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Napoli, Gattuso e il dilemma Insigne in vista del Barcellona al Camp Nou
Sabato 8 agosto (ore 21) il Napoli sfida il Barcellona al Camp Nou a porte chiuse per il ritorno degli ottavi, dopo l’1-1 del San Paolo. Per chi vince c’è Bayern o Chelsea
La notte porta consiglio, e quella di sabato ha dispensato a Rino Gattuso pillole di pazienza. Il finale concitato con la Lazio, gli insulti del fisioterapista biancoceleste (che si è scusato ieri con un post su Instagram) lo avevano mandato su tutte le furie, e aveva ricambiato con frasi altrettanto forti. Gattuso si sente figlio del Sud, ma «terrone» è il peggio che si possa dire anche a chi del Meridione porta alta la bandiera. Scintille da sedare immediatamente, però, perché c’è una notte molto vicina che gli dovrà portare forza, coraggio e intraprendenza.
Altro che pazienza, l’esordio da allenatore al Camp Nou deve essere un concentrato di esplosività per provare a scrivere un’altra pagina di storia e fortificare la sua autostima. Per portare il Napoli ai quarti di finale di Champions League, dopo avergli regalato il primo titolo, la Coppa Italia, di una stagione balorda. E allora, nella sua testa c’è già la breve marcia di avvicinamento a un appuntamento che non stravolgerà il suo percorso sulla panchina del Napoli (che vada o meno avanti nella competizione, Gattuso resta l’allenatore che ha fatto sterzare l’andamento lento della squadra e l’ha rilanciata, soprattutto dopo il lockdown) ma gli darà consapevolezza. Anche per presentarsi al tavolo della trattativa per il contratto con De Laurentiis con le carte migliori: l’uomo che ha ricostruito il palazzo tra mille difficoltà.
Gattuso ha chiuso il campionato con una vittoria, ha chiesto ai suoi giocatori di tirare fuori l’anima e adesso si avvicina alla resa dei conti. Non ditegli mai che il Barcellona è in crisi, è abituato a non fidarsi di niente e di nessuno. Punta le sue fiches su se stesso e su quei ragazzi che ha anche maltrattato ma che poi ha conquistato.
Pochi giorni all’appuntamento con la storia, quella del Napoli ma anche quella personale, da esordiente di ferro. Lui, che di Champions ne ha vinte due, misura la sua cifra di allenatore in uno stadio dove non parte da favorito, ma non ha voglia eventualmente di perderci la faccia. La prova generale contro la Lazio gli ha dato sensazioni confortanti: il suo Napoli dovrà essere camaleontico, rischiare il pressing alto degli avversari soltanto quando pensa di potercela fare. Senza paura di abbassarsi, di chiudersi e ripartire.
All’andata al San Paolo il gol di Mertens era nato proprio da una palla recuperata. Gattuso ha probabilmente scelto già gli uomini per il Camp Nou, ma l’ansia per Insigne lo terrà sveglio durante tutte le notti prima dell’«esame». Il capitano, tra i migliori nel post lockdown, è uscito in lacrime durante la sfida con la Lazio. Una forte infiammazione alla coscia sinistra, gli esami strumentali oggi diranno se è un problema muscolare oppure osseo, ne certificheranno l’entità. Saranno notti di speranza, anche. Con o senza Insigne, per Gattuso, fa tanta differenza.
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Il Milan di Pioli, Ibra è il centro di gravità. Gli altri obiettivi di mercato
Maldini cerca difensori e un mediano: «Davanti siamo a posto con Zlatan». Il tecnico: «Non penso che l’anno prossimo saremo contenti di arrivare ancora sesti»
Resta l’orgoglio, ma anche la rabbia. E una certezza: che la continuità è fondamentale, ma non basta, non può bastare. Perché il Milan da qui deve ripartire, da questi due mesi a mille all’ora, durante i quali nessuno è stato in grado di tenere il suo passo. Ma lo scudetto d’estate è solo un titolo onorifico e lascia dietro di sé anche molti inevitabili rimpianti. E una lezione che non va sprecata: serve di più, serve un altro salto di qualità. Significativo che ad ammetterlo sia stato lo stesso Stefano Pioli, in coda alla vittoria di sabato sul Cagliari, la nona in 12 partite, l’ultima di uno strepitoso sprint che ha consentito al Diavolo di conquistare la bellezza di 30 punti: «Non penso che l’anno prossimo saremo contenti se arriveremo ancora sesti, dobbiamo migliorare». La missione del tecnico e di chi a sorpresa ha scelto di confermargli la fiducia stracciando il progetto Rangnick al quale si lavorava da mesi è chiaro: l’obiettivo della prossima stagione è tornare in Champions, che manca ormai da sei anni. Non riuscirci sarebbe considerato un fallimento. Il sesto posto ottenuto quest’anno, buono per la qualificazione ai preliminari di Europa League, viene vissuto dentro al mondo Milan con soddisfazione ma anche con un senso di rammarico. Giusto così. Giusto essere orgogliosi per la rimonta che ha consentito di tornare in Europa, seppur dalla porta di servizio, giusto però anche prendere atto di quanto la partenza horror abbia compromesso la stagione. La lezione va imparata. La classifica è lì da vedere: quinto posto un anno fa, sesto quest’anno. Serve di più. Innanzi tutto sul mercato. La stagione sarà lunga e logorante. Gli obiettivi principali sono un paio di difensori e un mediano: il d.t. Maldini punta i terzini destri Aurier del Tottenham e Dumfries del Psv, il centrale difensivo Milenkovic della Fiorentina e il centrocampista centrale Florentino del Benfica. «In attacco con Ibra siamo a posto così» ha assicurato Maldini.
A 39 anni è chiaro che Zlatan non le giocherà tutte, ma nella testa di Pioli e del club c’è la volontà di valorizzare Leao e Rebic. Obiettivo legittimo e sensato, ma una prima punta in più farebbe comodo.
Il piano di Pioli è ripartire dal portentoso entusiasmo di questi ultimi due mesi («al di là dei risultati positivi, abbiamo creato una mentalità, dev’essere la base su cui costruire un futuro più soddisfacente» ha detto l’altra sera) ma anche dall’assetto tattico che gli ha consentito di bruciare tutti nello sprint estivo, il 4-2-3-1, con Ibrahimovic centravanti di riferimento. Il tecnico si affiderà ancora a Zlatan, 11 gol in 20 partite e ormai praticamente un allenatore in campo. Il tecnico di Parma è stato chiarissimo con il club: per noi è fondamentale. L’a.d. Gazidis se ne è convinto.
In settimana Raiola e il Milan dovrebbero trovare un’intesa: base fissa a 4,5 milioni più bonus che possono arrivare fino a 6,5. Si ragiona su gol, presenze e obiettivi, verrà fissato un premio per la qualificazione alla Champions da mezzo milione, come quello previsto per Pioli. E che con ogni probabilità sarà inserito anche nel contratto di Donnarumma, l’altro pilastro del Milan che verrà, col quale si lavora con sempre maggiore ottimismo a un rinnovo fino al 2023. La Champions come missione, la Champions come incentivo. Per tutti.
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