Attenzione: Calcio Inside! Parte III

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    Inter, Conte: "Secondo posto è per i primi tra i perdenti, non mi accontento"

    Il tecnico nerazzurro si rammarica per lo 0-0 casalingo contro la Fiorentina: "I ragazzi hanno fatto il massimo, ma non siamo stati particolarmente fortunati. Lautaro? Dire che sta pensando a un'altra squadra è offensivo e mi infastidisce"

    "A volte si raccoglie di più di quello che si semina, questa squadra invece per me ha raccolto meno. Mancano tre partite difficili e daremo il massimo, anche se l'obiettivo Champions è stato raggiunto. Se arrivi secondo sei il primo dei perdenti, io non mi accontento. Per me il secondo posto non ha significato". Antonio Conte non nasconde la delusione per il pari a reti inviolate contro la Fiorentina, con i nerazzurri fermati dalle grandi parate di Terracciano e dai due pali. "Ritengo sia stata una buona partita da parte nostra, fatta con la giusta intensità. Bisognava fare gol, ma non siamo stati fortunatissimi. Ho poco da dire ai ragazzi - aggiunge il tecnico nerazzurro ai microfoni di 'Sky' - C'hanno messo tutto quello che avevano. Per cercare di vincere abbiamo rischiato di perdere, la Fiorentina è venuta qui a difendersi e ha giocato bene, ma noi meritavamo di più".


    "Le voci su Lautaro mi danno fastidio"

    Conte viene sollecitato anche sulle prestazioni non esaltanti nell'ultimo periodo da parte di Lautaro Martinez: "Non penso che le voci lo stiano distraendo. Ricordo che si tratta di un ragazzo di ventidue anni, quest'anno si è affermato e ha ancora un percorso davanti. Non è un giocatore già fatto, chiaramente nella fase di crescita può alternare momenti positivi e non. Alle voci non credo, mi danno fastidio e insultano l'intelligenza del ragazzo. Si semina zizzania dicendo che sta pensando a un'altra squadra".

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      Udinese-Juventus, le formazioni e dove vederla: pronta la festa scudetto, ma Sarri ha sassolini da togliersi

      Il tecnico pronto al nono titolo bianconero di fila: «Ma sto sui c...i a qualcuno»


      Tre punti per lo scudetto, adesso e subito. A un mese esatto dalla ipotetica finale di Champions, Maurizio Sarri può centrare il suo primo grande successo in Italia, dopo quelli ottenuti tra i dilettanti e dei quali va giustamente orgoglioso. Ma questa è un’altra storia, è un mattone importante per la leggenda, verso quello che è ormai l’obiettivo dichiarato del presidente Andrea Agnelli: dieci titoli di fila, come reazione commisurata nella sua grandezza all’assenza del nome Juventus per due volte nell’albo d’oro, causa Calciopoli.


      Celebrare il nono titolo a Udine, luogo di culto bianconero dal 5 maggio 2002, avrebbe poi un gusto ancora più particolare, ma in vista della sfida contro il suo ex collaboratore Luca Gotti (con Sarri al Chelsea), il tecnico evita di alzare le braccia prima di tagliare il traguardo: «Nello sport la parola vicino non significa niente: mancano 4 punti (che poi sono diventati 3 per il pari dell’Inter ndr) e sappiamo che farli è faticoso per tutti. Dobbiamo restare sul pezzo». A occhio e croce, quando il pezzo sarà tricolore, Sarri si toglierà qualche sassolino dalle scarpe: «Le critiche continuano? Probabilmente sto sui c... a qualcuno — dice l’allenatore con il suo intercalare poco oxfordiano — . Non lo so, mi interessa relativamente, perché poi quelle giornalistiche sono opinioni che ritengo legittime, ma su una materia in cui penso di saperne di più. Può darsi che sbagli, ma fatemi essere presuntuoso in questo».

      L’importante è che siano i giocatori a seguire l’allenatore e non certo la critica. Sarri, per sua stessa ammissione, non è uomo da frequenti pacche sulle spalle, ma anche questo non è necessariamente un limite: l’anno scorso i giocatori del Chelsea a gennaio non ne sopportavano più i metodi, ma gli abbracci dopo la finale di Europa League vinta sembravano quelli di un gruppo coinvolto e appagato dal (notevole) lavoro del loro tecnico. Se poi qualcuno celebrava anche la partenza di Sarri, ci sta.

      Di certo, tra le tante anomalie di questa stagione, c’è quella della mini-Champions in calendario dopo il campionato, con appena tre partite da giocare: la Juve deve prima battere il Lione il 7 agosto nel ritorno degli ottavi dopo l’1-0 subito in Francia, ma rimane comunque una candidata forte. Del resto l’intesa fra CR7 e Dybala, con l’argentino grande protagonista dopo la lunga sosta per il virus, da teorico punto debole si è rivelato quello di forza: «La difficoltà nella convivenza tra due giocatori di così alto livello fatico a vederla. Possiamo non coprire benissimo l’area in alcuni momenti, ma poi è tutto compensato dalla forza individuale di due giocatori di livello mondiale, che hanno fatto in coppia 51 gol finora». Sarà lo scudetto dei grandi solisti quindi. In attesa di sentire un giorno anche l’orchestra.

      Udinese (3-5-2): Musso; Becao, De Maio, Nuytinck; Ter Avest, Larsen, De Paul, Fofana, Sema; Lasagna, Okaka. All. Gotti
      Juventus (4-3-3): Szczesny; Cuadrado, De Ligt, Rugani, Alex Sandro; Bentancur, Pjanic, Rabiot; Bernardeschi, Dybala, Ronaldo. All. Sarri
      Arbitro: Irrati.
      Tv: Sky 202


      CorSera
      Last edited by Sean; 23-07-2020, 05:47:04.
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        Pioli, una conferma e un atto di giustizia

        Quel che ci insegna la vicenda del tecnico del Milan: restare al proprio posto dopo esserselo guadagnato, nello sport è ancora possibile

        di Maurizio Crosetti

        La conferma di Pioli sulla panchina del Milan è la vittoria del merito, dunque è un atto di giustizia. Essere stimati per quello che si fa, non per quello che si è fatto, si potrebbe fare, forse si farà. Restare al proprio posto dopo esserselo guadagnato: questo, ancora, ci insegna lo sport, luogo pragmatico e realista. Persino il calcio, che in teoria è materia liquida, argomento buono per ogni dibattito, stavolta s’inchina alla legge di realtà. Non è facile, né automatico ma succede. E di questo bisogna gioire.

        Stefano Pioli, con quella faccia manzoniana, con quella figura stilizzata e monacale, ha trasformato il Milan smarrito di un gruppo vero. Pur sapendo di essere già stato messo da parte non ha smesso di lavorare meglio che poteva, come se non ci fosse un domani: forse perché l’unico domani in queste nostre vite che cercano sempre qualcosa che non c’è, si chiama oggi. La vita è adesso, come canta Baglioni (il calcio è materia pop e richiede paragoni pop) e in questo “adesso” l’asceta della panchina ci ha messo un mare di vittorie. Dopo il Covid ha battuto la Roma, distrutto la Lazio, travolto la Juventus, fermato il Napoli, solo per restare alle imprese più eclatanti. I suoi giocatori, che erano ragazzi frastornati ma che si sono ritrovati accanto due guide sicure e decise nella tempesta, cioè Ibrahimovic in campo e Pioli in panchina, si sono scoperti supereroi, hanno strappato le giacchette, si sono tolti gli occhialini e hanno cominciato a volare tra i grattacieli.

        Per una volta un club decide di tornare sui propri passi, pagando la penale per un tecnico tedesco bravo ma rischioso, e non abbandona la via vecchia per la nuova. I dirigenti rossoneri hanno capito che Stefano Pioli ha tutti con sé: la squadra, i tifosi, i risultati e dunque, probabilmente, il futuro. Hanno compreso, meglio tardi che mai, di non avere a che fare con un saltimbanco, con uno di quelli che mettono la panna nel ventilatore (Pioli non è un affabulatore, non allena i giornalisti, anzi parla poco e solo se necessario), ma con un personaggio di grande sostanza. Stefano Pioli conosce le persone, sa toccare il cuore dei suoi ragazzi. Come a Firenze, quando si trovò a dover gestire addirittura la morte improvvisa di uno di loro, il povero Davide Astori al quale si fermò il cuore una notte in ritiro. Ebbene, senza tante chiacchiere Pioli trovò l’uomo nell’uomo, strinse tutti in un abbraccio del sentimento e della volontà, e da quel giorno nacque un gruppo che non c’era. Così come non c’era un Milan così e invece eccolo, smagliante, coraggiosissimo, bello da vedere, implacabile. E il suo demiurgo Ibra si è pure messo a segnare doppiette. Quando lo svedese ha detto che neppure conosceva Rangnick, l’allenatore designato e oggi scaricato, ha dato un segnale chiarissimo: onore al Milan per averlo ascoltato. Questo nostro calcio che sembra ormai abbandonato ad architetture finanziarie, equilibrismi commerciali, algoritmi e plusvalenze, per una volta ha seguito una legge vecchia come il mondo: scegliere il più bravo, il più serio, il più affidabile. Magari nei posti di lavoro fosse sempre così.

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          Milan, Pioli confermato. Serietà oltre ai meriti sul campo

          Non ha mai detto una parola fuori posto neanche quando era tutti i giorni in discussione ed è rimasto concentrato sul campo e sui giocatori

          Se c’è una cosa che innervosisce Stefano Pioli è sentirsi dire che è una «brava persona», definizione che si usa spesso per parlare di lui, per la semplice ragione che è vera. Ma quando la si tira fuori per un allenatore (e forse non solo), sembra quasi sottintendere che gli aspetti umani prevalgono sulle qualità professionali, se non addirittura che si è troppo gentili per vivere in un ambiente di pescecani. Se Pioli è stato riconfermato al Milan lo deve sicuramente alle sue doti professionali, che hanno portato risultati, gioco brillante, valorizzazione della rosa in generale e crescita dei giovani in particolare.

          Ovvero tutto quello che Elliott (e quindi l’ad Ivan Gazidis) avrebbe chiesto a Ralf Rangnick e si è accorto di avere già in casa. Però Pioli ha anche fatto di più, «si è comportato da gentleman» per dirla con il presidente Scaroni: è diventato l’esempio della persona seria, che continua a lavorare quando sembra che altri siano i preferiti e ha un equilibrio interiore più forte dei titoli dei giornali o dei servizi tv che davano già per sicuro l’arrivo di Rangnick. Se di fronte alle stesse voci Boban se n’è andato offeso con un’intervista in cui criticava tutto e tutti, e se Maldini ha espresso pubblicamente le sue perplessità (a proposito: Pioli va d’accordo sia con Gazidis che con Maldini, che ora resterà: il difficile matrimonio tra l’ad e il dirigente-bandiera è destinato a continuare, ma questa è un’altra storia) Pioli non ha mai detto mezza parola fuori posto.


          È vero che la società ripeteva a maggior ragione a lui quello che faceva filtrare all’esterno, ovvero che nulla era deciso, che le valutazioni sull’allenatore del futuro erano in corso, ma la maggior parte dei tecnici avrebbe sbraitato, organizzato campagne mediatiche, urlato i propri meriti. Pioli no, ha continuato a restare concentrato sui propri giocatori (che lo hanno difeso), convinto che la forza delle cose sarebbe stata sufficiente a spostare equilibri e giudizi. In genere non basta, ma è quello che pensano le brave persone. E per una volta è andata così.



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            Milan, Pioli e la linea della continuità
            L’obiettivo ora è tenere Ibrahimovic,
            e Donnarumma è un punto fisso


            Lo svedese chiede 6 milioni di euro a stagione, ottimismo sul futuro di Maldini

            «Lo abbiamo scelto perché è la persona giusta per allenare il Milan che abbiamo in mente noi. Quindi non solo per gli ultimi risultati o perché da qui alla prossima stagione manca davvero poco tempo. Ma per come ha fatto giocare la squadra, in maniera divertente, verticale, moderna. E per la sua serietà, la sua professionalità. Non ha mai messo se stesso davanti alla squadra e al progetto. Così fa un vero manager. Ecco perché lo abbiamo scelto». Fin qui in inglese. Poi, in italiano, ecco lo slogan: «L’abbiamo scelto perché, oltre a essere un grande allenatore, Stefano Pioli è un grande uomo». Così l’a.d. rossonero Ivan Gazidis ha voluto spiegare ieri a Milanello i perché della clamorosa svolta del Diavolo. Ribadendo fin da subito un concetto base: puntare su Pioli è stata una scelta precisa, non subita.

            A subirla, semmai, è stato Ralf Rangnick. «Per un manager è doveroso analizzare tutte le possibilità» ha spiegato Gazidis. Dopo mesi di trattative, incontri, di budget e profili analizzati, l’a.d. ha però scelto con convinzione di cambiare strada. Restando su quella vecchia, prolungando il contratto del tecnico di Parma fino al 2022, per una cifra attorno ai 2 milioni annui. Ed evitare così l’errore commesso un anno fa con Gattuso.


            Il nuovo Diavolo inizia oggi. Nel segno della continuità. E chissà che questo non significhi proseguire anche con Ibrahimovic e Maldini. A sentire Gazidis, le due questioni sono però parecchio differenti. «Non so se dire se ora Ibra abbia più possibilità di restare. Ci ha dato una grande mano, da quando è arrivato. Ci ha messo passione, istinto, talento. Ha aiutato i più giovani. Un giocatore fenomenale. Decideremo insieme».

            Trovare un’intesa non sarà facile. Ibra non è ancora convinto del tutto di chiudere in Svezia all’Hammarby. Resterebbe a Milano, ma vuole 6 milioni di euro netti all’anno. Uno stipendio da superstar, quale lo svedese è stato ed è tutt’ora. Per ora però il club non ha fatto proposte. C’è anche stata una scenetta, proprio mentre Gazidis iniziava a parlare in una delle salette del centro sportivo di Carnago. Fuori dalla finestra, qualcuno ha piazzato un paio di sgasate con una Ferrari. «Chi è?» ha chiesto il dirigente. «È Zlatan, chi sennò?» la risposta divertita di un membro dello staff. E giù tutti a ridere. A conferma che l’atmosfera, a Milanello, è completamente cambiata. «Questo è il Milan che vogliamo, che vinca e ci faccia divertire» ha sorriso il presidente Paolo Scaroni, presente insieme a Gazidis.

            Filtra invece maggiore ottimismo sul futuro di Maldini. Un’apertura netta, quella di Gazidis: «Ha due anni di contratto e mi aspetto che rimanga, ci sentiamo tutti i giorni, il suo apporto è importantissimo» ha spiegato l’a.d., lasciando intendere che non è previsto al momento l’ingresso di altre figure dirigenziali. Fosse sbarcato Rangnick, sul quale Maldini si era espresso in maniera inequivocabile definendolo «non da Milan», il destino dell’ex capitano sarebbe stato chiaramente altrove. La svolta lo rimette invece in pista. Quello di Gazidis somiglia a un assist.

            Ora Paolo, che ieri ha incontrato l’agente di Rebic e Jovic, si prenderà qualche giorno per decidere cosa fare del proprio futuro. Meno dubbi sul d.s. Massara, che resterà, così come Gigio Donnarumma. «Una bandiera, un simbolo, incredibile abbia solo 21 anni. Giustamente lo cerca mezzo mendo, spero che le nostre strade continuino insieme». È quello che succederà. Il Diavolo, dopo molto, troppo tempo, rialza la testa.


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              Zaniolo e la nuova maglia Roma: «La amo davvero». Con Fonseca il caso è chiuso

              Un post su Instagram per celebrare la nuova divisa, l’ultima firmata Nike, è stato l’occasione per chiudere le polemiche col tecnico

              Le parole di Fonseca

              Nel giorno in cui la Roma deve cercare di riprendersi il quinto posto in classifica ai danni del Milan, il palcoscenico è ancora tutto per Zaniolo, al centro di un vero e proprio caso dopo la lite in campo con Gianluca Mancini al termine di Roma-Verona, e dopo che Paulo Fonseca si era schierato apertamente con il difensore. Martedì la vicenda ha assunto dei toni per certi versi paradossali: fermo per un risentimento al polpaccio che gli aveva fatto saltare la gara contro l’Inter, era stato inizialmente escluso dalla lista dei convocati per la Spal dal tecnico portoghese. «Zaniolo — le parole di Fonseca al sito della società — non ce la fa ancora a tornare tra i convocati. Non è giusto quello che si scrive su di lui, chi mi conosce sa che dico sempre la verità, come ho fatto già con altri giocatori. Certe notizie non sono vere e non c’è alcun problema con Nicolò: se ho detto che ho parlato con lui e che non ci sono problemi vuole dire che è la verità. Quando c’è un problema lo dico. In questo momento lui è veramente infortunato. Non ci sono altri problemi».

              Il dietrofront

              Un’ora dopo, la grottesca retromarcia. «Avevo detto che non avrei convocato Zaniolo, ma purtroppo si è fermato Cengiz Under. Così ho chiesto a Nicolò come stava e se se la sentiva di partire. Ha sostenuto un test che ha dato risposte migliori rispetto ai giorni scorsi e ho deciso di portarlo». Una guarigione rapida, che per tutta la giornata di martedì ha alimentato ulteriori polemiche. Nella notte, poi, lo stesso Zaniolo aveva pubblicato un post, poi rimosso nella mattinata di mercoledì dopo essersi consultato col suo staff, che si prestava a più interpretazioni. «Il rumore più forte è il silenzio di chi non risponde». Infine la pace, che a Trigoria sperano sia definitiva, con Zaniolo che già dalla gara con la Spal potrà ricominciare a concentrarsi solamente sul calcio giocato.


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                Lautaro da quando si è iniziato a parlare di Barcellona s'è praticamente bloccato, sparito dalla scena...con tutto che poi il trasferimento non è nemmeno certo e che dunque potrebbe restare all'Inter...indi per cui bisogna vedere quanto c'è di distrazione da mercato e quanto di blocco tecnico che ogni attaccante attraversa durante una stagione.

                Invece Conte, da quando lo scudetto ha preso una direzione chiara, ha finalmente smesso i panni dell'isterico arruffapopolo per tornare a ragionare a mente fredda, dicendo in pochi giorni due cose molto juventine: per migliorare si deve guardare ai migliori e il secondo è solo il primo dei perdenti...quindi stavolta immagino che i cinesi si guarderanno bene dal distribuire le medagliette di latta, e questo è forse un passo nella direzione giusta.

                Per la nona volta di fila la squadra migliore sta per confermarsi la Juventus: vincendo ad Udine sarebbe scudetto con 3 giornate di anticipo. Sarri si è improvvisamente accorto che la critica, così compattamente schierata dalla sua parte ai tempi del Napoli, adesso lo è meno: sta diventando antipatico. Non si preoccupi: è uno degli effetti che tocca a chi vince, quindi è sulla strada giusta, anzi insista e prosegua. Nel calcio, solo i perdenti sono universalmente simpatici.
                Last edited by Sean; 23-07-2020, 05:52:12.
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                  Attenzione: Calcio Inside! Parte III

                  La Roma vince 6-1 con gol finale di Zaniolo, che a fine partita allega un’immagine con Mancini negli spogliatoi, così i giornalai, radio e media vari, possono continuare a masticare amaro e scrivere cose che non esistono.


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                      sopra una sola teca di cristallo
                      popoli studiosi scriveranno
                      forse, tra mille inverni
                      «nessun vincolo univa questi morti
                      nella necropoli deserta»

                      C. Campo - Moriremo Lontani


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                        ...ma di noi
                        sopra una sola teca di cristallo
                        popoli studiosi scriveranno
                        forse, tra mille inverni
                        «nessun vincolo univa questi morti
                        nella necropoli deserta»

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                          ...ma di noi
                          sopra una sola teca di cristallo
                          popoli studiosi scriveranno
                          forse, tra mille inverni
                          «nessun vincolo univa questi morti
                          nella necropoli deserta»

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                            CorSera
                            ...ma di noi
                            sopra una sola teca di cristallo
                            popoli studiosi scriveranno
                            forse, tra mille inverni
                            «nessun vincolo univa questi morti
                            nella necropoli deserta»

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                              forse, tra mille inverni
                              «nessun vincolo univa questi morti
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                                forse, tra mille inverni
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