Attenzione: Calcio Inside! Parte III

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    Valencia-Atalanta, la Dea apre le porte alla storia

    Nel Mestalla deserto, i nerazzurri partono dal 4-1 per un posto nei quarti di Champions

    Con la testa al Mestalla, ma con il cuore a Bergamo, frastornata dal coronavirus. Bergamo che, alla tv (la gara è a porte chiuse, anche se i tifosi del Valencia si sono dati appuntamento fuori dallo stadio per sostenere la propria squadra), proverà a scacciare per due ore l’ansia del contagio.

    Questo è il primo obiettivo dell’Atalanta in scena stasera a Valencia per il ritorno degli ottavi di Champions League; il secondo è conquistare i quarti di finale, un obiettivo alla portata dei nerazzurri considerato il 4-1 dell’andata. Ma non ditelo a Gasperini. «Dovremo essere bravi a considerare il match nei 90 minuti ed essere pronti a ogni evenienza — le parole del tecnico dei nerazzurri —. Non ci sarà il pubblico, che avrebbe dato una spinta maggiore ai nostri avversari. Noi dovremo rimanere concentrati sul campo e sul Valencia, che ha pregi, ma anche punti deboli». L’Atalanta arriva al Mestalla con dieci giorni di riposo. «Avrei preferito giocare e sfruttare l’entusiasmo che si è creato dopo la gara di andata — continua l’allenatore —, ma è andata così».


    Gasp, poi, parla dell’emergenza coronavirus. «Siamo molto preoccupati per ciò che sta accadendo in Italia e a Bergamo. E questo influisce sullo spogliatoio, perché tutti noi siamo fortemente coinvolti da quello che ci circonda. Speriamo che la qualificazione possa regalare una soddisfazione ai nostri tifosi e possa alleviare il peso della situazione». Che, in Spagna, sembra lontano anni luce: «Qui non c’è la percezione di pericolo che abbiano noi». Quindi, il ritorno alla partita: «l lavoro non è ancora finito. I miei ragazzi sono stati fantastici tre settimane fa, ma non festeggerò nulla sino alla fine della partita». Piedi di piombo, dunque. Comprensibilmente, vista la portata dell’obiettivo che definire storico è quantomeno riduttivo, se ripercorriamo il cammino che ha portato l’Atalanta fino in Spagna, con la qualificazione agli ottavi presa per i capelli all’ultima giornata con il successo in Ucraina contro lo Shakhtar. A maggior ragione se consideriamo dove si trovava il club guidato da Percassi prima dell’avvento del Gasp nel 2016: a lottare per non retrocedere in serie B. L’esatto opposto del Valencia che è abituato a vivere la Champions, tanto da arrivare alla finale due volte all’inizio degli anni Duemila.

    Ma il Valencia odierno è lontano parente di quello di Cuper. Sia per qualità sia per disponibilità degli effettivi a causa dell’infermeria stracolma (difesa a pezzi, ma sono rientrati Florenzi, che finisce in panchina, e Rodrigo). Altro fattore che gioca in favore dei nerazzurri, i quali devono rinunciare al solo Toloi, fermato da noie muscolari. La squadra di Gasperini si presenta così con la formazione tipo, guidata da capitan Gomez. Il Papu, all’aeroporto di Valencia, dopo aver gentilmente declinato le domande dei cronisti spagnoli, all’insistenza della stampa ha risposto in modo stizzito.



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    popoli studiosi scriveranno
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      Inter, fuori dalla lotta scudetto ora punta sull’Europa. Ma c’è il caso Eriksen

      Nerazzurri in frenata, il danese non è inserito e, anzi, è un corpo estraneo

      Lo scudetto ha chiuso le porte in faccia all’Inter. Il tecnico Antonio Conte ha certificato un divario incolmabile. «La differenza con la Juventus sta nei due scontri diretti, li abbiamo persi entrambi. Tra noi e loro resta un gap, il k.o. non ci deve sconfortare».

      Impossibile non abbattersi. Il morale era a terra ad Appiano Gentile. Si è vista una differenza lampante, non solo a livello qualitativo, ma anche di gruppo. La Juve può contare su una base storica abituata a disputare certe partite, a non sbagliarle. Ha individualità, calciatori esperti come Bonucci, Chiellini, Buffon, Pjanic, Ronaldo, capaci di trainare, soprattutto in certi big match, il resto della truppa. All’Inter certe figure mancano, il gruppo non è fatto di vincenti, ma di giocatori che devono ancora fare il salto per diventare top player, come disse Conte a inizio stagione. Insomma non c’è l’abitudine a lottare ad alti livelli.


      Chi avrebbe dovuto aggiungere qualità è il danese Christian Eriksen. Il centrocampista però è ancora un corpo estraneo. Non dà sufficienti garanzie, soprattutto deve cambiare atteggiamento. È arrivato come l’arma in più, sta diventando un boomerang. La stagione dell’Inter ha preso una piega difficile, la sconfitta di Torino ha sancito l’addio allo scudetto, la Coppa Italia resta in sospeso, rimane l’Europa League diventato obiettivo primario. Eriksen è da più di un mese in Italia, ma finora ha sempre tenuto lo stesso atteggiamento, soprattutto in campo. Che la squadra sia in vantaggio o costretta a rimontare il centrocampista gioca con la stessa intensità e questo l’Inter, che rispetto all’andata ha 10 punti in meno, non se lo può permettere. Finora è stato titolare soltanto in tre occasioni: in campionato a Udine e nella doppia sfida con il Ludogorets, quando trovò anche la prima rete in nerazzurro. Corteggiato per un mese, pagato 20 milioni, presentato alla Scala come il più importante degli acquisti, il danese si aspettava forse di entrare da subito nella formazione titolare. Conte però non è né un marziano né un autolesionista, conosce il valore del giocatore, ma anche i suoi attuali limiti. Giovedì in coppa contro il Getafe potrebbe partire dall’inizio, per provare a trasformarsi da caso in risorsa.



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        Juventus-Inter, nerazzurri ridimensionati nei sogni e nella ambizioni

        Dallo scontro con i bianconeri, esce una squadra consapevole dei suoi limiti. Del resto la parola preferita dell'ex ct è "gap". Ora tocca alla società riempirlo

        Dal silenzio dello Stadium l’Inter esce ridimensionata, nei sogni e nelle ambizioni. Dopo i primi dieci minuti di smarrimento, la squadra di Antonio Conte ha trovato le energie e l’ordine necessari a imbrigliare un avversario evidentemente più forte ma non irresistibile. Nel secondo tempo, dopo il gol di Ramsey, i nerazzurri si sono persi e hanno assistito da spettatori al capolavoro di Dybala che – qualsiasi sarà l’esito di questo campionato, menomato dall’emergenza virus – resterà l’immagine della superiorità juventina sull’Inter.

        Dall’evidenza non si scappa, e Conte con onestà nemmeno ci prova: “I sei punti di distanza in classifica fra loro e noi sono la somma della sconfitta dell’andata e di quella del ritorno – ha detto dopo la partita – dopo il gol di Ramsey avremmo dovuto reagire in modo più deciso”. L’ex ct non si dispera e per la prima volta, senza citare né l’uno né l’altro, riconosce ad Allegri e Sarri i loro meriti nel coltivare quella squadra vincente che lui ha lasciato nel 2014: “La Juve da otto anni è sempre migliorata, di stagione in stagione – ha detto Conte – noi all’Inter siamo all’inizio di un percorso, abbiamo cominciato a porci certi obiettivi da poco”.


        Se Sarri ha messo in campo una squadra completamente diversa da quella che tutti (probabilmente anche lo stesso Conte) si aspettavano, l’ex ct invece ha puntato su quell’undici base (schierato con il 3-5-2) che ha portato l’Inter a giocarsi il campionato con Juve e Lazio. L’unica scelta su cui poteva esserci qualche dubbio è stata l’impiego di Bastoni in difesa con De Vrij e Skriniar. Ma nemmeno questa è una novità: da tempo il 20enne della provincia di Cremona ha scalzato il molto più esperto Godin nelle gerarchie della difesa. E nonostante un Handanovic rientrato dall’infortunio in palla – belle le parate in avvio su De Ligt e Matuidi – l’Inter alla fine ha dovuto capitolare: troppo prevedibile e ingessata per contenere le fiammate di gioco dei bianconeri, non sempre belli ma a tratti bellissimi.


        Non è dato sapere quanto ancora si potrà giocare di questo campionato fra porte chiuse, rischi di contagio, rinvii, proteste dei calciatori e litigi fra governo, Lega di Serie A e tv. Quel che è sicuro è che l’Inter dalla sfida con la Juventus esce con una doppia consapevolezza. La prima: la leadership di Conte è salda e la squadra è più forte di quella dell’anno scorso. La seconda: quanto fatto finora, qualsiasi saranno i risultati di eventuali prossime partite, non è sufficiente a interrompere la tirannide juventina sul campionato di Serie A. Una delle parole preferite di Conte è “gap”. Il gap con i bianconeri esiste e spetta soprattutto a lui colmarlo. Steven Zhang e Beppe Marotta sono pronti ad aiutarlo.

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          Juventus, non solo la carta Dybala: la svolta di Sarri arriva nel cuore

          Bentancur per Pjanic la chiave contro l’Inter

          E se fosse davvero la svolta buona per la Juve? È difficile dirlo perché il contesto è più che mai precario e anche perché altre volte la squadra di Sarri aveva dato l’impressione di aver trovato la formula giusta. Ma di sicuro la vittoria sull’Inter assomiglia a qualcosa di nuovo: per l’atteggiamento, per il gioco (per lunghi tratti) e soprattutto per le scelte legate agli interpreti.

          La questione centrale non sembra ridursi al dibattito su Dybala: con la sua magia di esterno che ha chiuso la partita contro l’Inter di Lukaku — con il quale in estate ha rischiato di essere scambiato — l’argentino ha dimostrato che la scelta del «dodicesimo uomo» è una strategia definita. E a turno, lui, Higuain e Costa possono interpretare al meglio questo ruolo.


          La vera novità riguarda il cuore del gioco, perché la prima volta Bentancur è stato scelto al posto di Pjanic, che si è accomodato in panchina. In discussione non ci sono le doti del bosniaco, ma la sua capacità di interpretare al meglio quello che chiede Sarri: difendere-attaccando e muovere la palla velocemente, sono i due principi chiave per l’allenatore e sono naufragati a febbraio.

          Bentancur assicura più ritmo, oltre a una maggiore solidità in copertura. Per Allegri, che lo stimava molto, l’uruguaiano dove migliorare nel cosiddetto gioco lungo: il lancio — lunghissimo — con cui l’ex Boca ha pescato Dybala rappresenta in questo senso un segnale di maturazione, tecnica e di personalità, notevole.

          Tutto si risolve quindi col cambio di regista? No, perché tutte le «colpe» del centrocampo non ricadono ovviamente su Pjanic: Ramsey e Matuidi come mezzali, se sono in buona condizione, garantiscono idee, giocate e solidità ben distribuite tra i due. Il gallese ha segnato ancora e ha duettato con Dybala nell’occasione del raddoppio. Il francese ha ricordato che quando unisce la qualità alla quantità non teme confronti, almeno con Rabiot. Senza dimenticare che è tornato a disposizione anche Khedira, non uno qualsiasi. L’abbondanza, in vista dell’unica partita rimasta nel calendario di marzo, quella fondamentale con il Lione, è un fattore chiave. Ma la chiarezza di certe scelte, lo è ancora di più.



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            Porte chiuse anche per Siviglia-Roma.
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              Dybala vicino al rinnovo fino al 2025 ad oltre 10 milioni.
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                Originariamente Scritto da Sean Visualizza Messaggio
                Dybala vicino al rinnovo fino al 2025 ad oltre 10 milioni.
                Se hanno puntato forte dall'inizio su di lui, se gli hanno quasi subito aumentato l'ingaggio e consegnato la 10,se lui ha puntato i piedi per rimanere al di là di una questione economica che lo avrebbe premiato oltre Manica, questa è una notizia scontata.... Deve essersi aperta una parentesi negativa, molto probabilmente extra calcistica l'anno scorso, che però è stata chiusa dopo il "suggerimento" di Nedved....
                « Success is my only mothafuckin' option,failure's not.... »

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                  Sì, ci troviamo di fronte ad uno dei rari casi (odierni) di giocatore straniero che intende sposare una maglia. Ci metterei anche Higuain, che ha fatto di tutto per rimanere (anche se la resa tecnica, stante la fase declinante, è minore e la spesa non vale l'impresa).

                  Questo è di conforto.

                  Dovrebbe semmai riflettere Paratici, che ha cercato in tutti i modi di sbolognarlo, anche tentando di spedirlo a Manchester per Lukaku, che non segna nei big match nemmeno per sbaglio.
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                    Unica difesa possibile è su quella "parentesi" di cui non conosciamo contenuti e modalità, ma che non deve essere stata leggera, visti i rimproveri pubblici, assolutamente alieni alla Juve.
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                      Originariamente Scritto da Zbigniew Visualizza Messaggio
                      Juve-Inter non abbisogna di alcuna analisi, si è spiegata da sola.

                      Quindi aggiorno L'ALESSIO sulla cena che è stata anticipata a ieri alle 12:30 ed è diventata pranzo domenicale.
                      Formazione ridotta per una defezione dell'ultimo minuto dovuta ad un richiamo in servizio di uno degli invitati per andare a fare quello che paura non ne ha.
                      Dopo i tempi regolamentari e i supplementari c'è stato il quinto set senza tie break (il cambio di sport è indice di come ad un certo punto abbiamo cominciato a capirci poco) interrotto solo dall'idea di qualcuno che è andato in auto a prendere una borsa - se lo è ricordato al terzo bicchiere di Vin Santo - dove gli erano rimasti alcuni petardi dalla notte di capodanno.
                      Cos'è il genio? Non saprei, di certo non il mio amico.

                      Se come dicono in giro l'alcol uccide il virus, non mi ammalerò mai più in vita mia.

                      Highlight della giornata: Valentino (mesi 30 circa) che si alza sulla sedia, si mette un tovagliolo di fronte alla bocca e con lo stesso accento della madre (una expat di Piacenza) dice ad alta voce:
                      "Sono un dottove, sono un dottove" soffiando via ogni pensiero greve potessimo avere.
                      Perché ho la sensazione che al di là di una ironica chiave narrativa, si nasconda una temibilissima base di vera realtà?
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                            Gazzetta
                            ...ma di noi
                            sopra una sola teca di cristallo
                            popoli studiosi scriveranno
                            forse, tra mille inverni
                            «nessun vincolo univa questi morti
                            nella necropoli deserta»

                            C. Campo - Moriremo Lontani


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                              popoli studiosi scriveranno
                              forse, tra mille inverni
                              «nessun vincolo univa questi morti
                              nella necropoli deserta»

                              C. Campo - Moriremo Lontani


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                                Aspettate a dire che l Inter è fuori dalla lotta scudetto, la prima Juventus di conte si trovò a meno 4 dal Milan

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