Coronavirus, lo sport «salvato» per far sorridere l’Italia. Ma forse è ora di fermarci tutti
Ma l’emergenza non è solo del nostro Paese, ci vorranno molte riunioni per stabilire cosa fare e come rimediare a cominciare da Champions e Europei
di Mario Sconcerti
Il viaggio del virus entra di nuovo dentro Juve-Inter, ma soprattutto entra profondamente nella vita di tante squadre e città. Diciamocelo sinceramente: non è più giusto pronosticare niente, né un risultato né una gara del calendario. Siamo sospesi ai capricci del virus e alla nostra obbedienza delle nuove regole. Se posso dare un giudizio quasi solo personale, non credo sia giusto nemmeno giocare a porte chiuse, consentire viaggi speciali e assembramenti non necessari. Creano più sospetti che vantaggi, sono fragilissimi.
Se fermare il contagio significa quasi soltanto prevenire, è tempo di pensare di fermarci tutti. Sono ormai zona rossa più di venti capoluoghi di provincia. Ognuno di questi ha una squadra professionistica, molte sono tra serie A e serie B. Non è allarmismo. Quello racconta un pericolo sopravvalutato. Non è più il nostro caso. Oggi si tratta semplicemente di prendere atto di un pericolo reale e di difendersi nel modo migliore. È vero. Se chiude la Lombardia, se chiude parte dell’Emilia, parte del Piemonte, altre città sparse nel Paese, chiude l’intero sport. Ma è stonato, improprio, anche pensare solo alla sopravvivenza dei campionati. Venti squadre di serie A fanno 500 persone che vivono insieme e corrono, si annodano e sputano per semplice compenso respiratorio. Che senso ha metterli in pericolo, aiutare loro a mettere forse in pericolo noi? Ci sono grandi interessi in gioco, non superiori però a quelli di tante altre aziende e persone che sono messe adesso con le spalle al muro. Non facciamo metà dei guai e metà responsabilità. La decisione è forte quando è globale. La gente capirà perché ha paura.
Sono uno che ama il calcio e che di calcio ha vissuto per tutta la vita. È il mio lavoro e la mia antica compagnia. Non me la sento di vederlo sempre come un’eccezione straordinaria e stupida. Un oppio che manda profumo allucinante anche quando c’è bisogno di coscienza. C’è un tempo della vita e un tempo per l’oppio. Tutte e due insieme fanno una vita sbagliata. Per questo risparmiare il calcio adesso mi sembra un’offesa all’intelligenza di tutti e prima di tutto del calcio. Ci sarà tempo per rimediare. Il calcio è padrone dei propri calendari. L’emergenza non è solo italiana. Ci vorranno molte riunioni per stabilire che cosa fare e come rimediare. A partire dalla Champions, passando per gli Europei, finendo con le Olimpiadi. Ma rinviare, cambiare, tornare, dipende solo da noi. Si può giocare a luglio, in agosto. Si può ricominciare il nuovo campionato a metà settembre, all’inizio di ottobre fino a una ventina di anni fa era normale. E nel frattempo anticipare il mercato, sovrapporre giocatori nuovi e squadre. Non scandalizzatevi, è quello che già facciamo con i prestiti. Quanti ce ne sono? L’importante adesso è liberarci prima possibile di questo virus.
Non serve tempo, serve intelligenza. Anche il grande calcio ha diritto alla sua parte di contributo nel portarci tutti a casa. Niente eccezioni quindi. Solo trasparenza e solidarietà. Al posto di una grande partita come Juve-Inter offerta come grande distrazione di massa, è preferibile la discrezione della realtà. Vi ringraziamo, ma non ne abbiamo bisogno. Oggi lo scopo è un altro e anche il calcio ha diritto di partecipare alla corsa per trovarlo.
CorSera
Ma l’emergenza non è solo del nostro Paese, ci vorranno molte riunioni per stabilire cosa fare e come rimediare a cominciare da Champions e Europei
di Mario Sconcerti
Il viaggio del virus entra di nuovo dentro Juve-Inter, ma soprattutto entra profondamente nella vita di tante squadre e città. Diciamocelo sinceramente: non è più giusto pronosticare niente, né un risultato né una gara del calendario. Siamo sospesi ai capricci del virus e alla nostra obbedienza delle nuove regole. Se posso dare un giudizio quasi solo personale, non credo sia giusto nemmeno giocare a porte chiuse, consentire viaggi speciali e assembramenti non necessari. Creano più sospetti che vantaggi, sono fragilissimi.
Se fermare il contagio significa quasi soltanto prevenire, è tempo di pensare di fermarci tutti. Sono ormai zona rossa più di venti capoluoghi di provincia. Ognuno di questi ha una squadra professionistica, molte sono tra serie A e serie B. Non è allarmismo. Quello racconta un pericolo sopravvalutato. Non è più il nostro caso. Oggi si tratta semplicemente di prendere atto di un pericolo reale e di difendersi nel modo migliore. È vero. Se chiude la Lombardia, se chiude parte dell’Emilia, parte del Piemonte, altre città sparse nel Paese, chiude l’intero sport. Ma è stonato, improprio, anche pensare solo alla sopravvivenza dei campionati. Venti squadre di serie A fanno 500 persone che vivono insieme e corrono, si annodano e sputano per semplice compenso respiratorio. Che senso ha metterli in pericolo, aiutare loro a mettere forse in pericolo noi? Ci sono grandi interessi in gioco, non superiori però a quelli di tante altre aziende e persone che sono messe adesso con le spalle al muro. Non facciamo metà dei guai e metà responsabilità. La decisione è forte quando è globale. La gente capirà perché ha paura.
Sono uno che ama il calcio e che di calcio ha vissuto per tutta la vita. È il mio lavoro e la mia antica compagnia. Non me la sento di vederlo sempre come un’eccezione straordinaria e stupida. Un oppio che manda profumo allucinante anche quando c’è bisogno di coscienza. C’è un tempo della vita e un tempo per l’oppio. Tutte e due insieme fanno una vita sbagliata. Per questo risparmiare il calcio adesso mi sembra un’offesa all’intelligenza di tutti e prima di tutto del calcio. Ci sarà tempo per rimediare. Il calcio è padrone dei propri calendari. L’emergenza non è solo italiana. Ci vorranno molte riunioni per stabilire che cosa fare e come rimediare. A partire dalla Champions, passando per gli Europei, finendo con le Olimpiadi. Ma rinviare, cambiare, tornare, dipende solo da noi. Si può giocare a luglio, in agosto. Si può ricominciare il nuovo campionato a metà settembre, all’inizio di ottobre fino a una ventina di anni fa era normale. E nel frattempo anticipare il mercato, sovrapporre giocatori nuovi e squadre. Non scandalizzatevi, è quello che già facciamo con i prestiti. Quanti ce ne sono? L’importante adesso è liberarci prima possibile di questo virus.
Non serve tempo, serve intelligenza. Anche il grande calcio ha diritto alla sua parte di contributo nel portarci tutti a casa. Niente eccezioni quindi. Solo trasparenza e solidarietà. Al posto di una grande partita come Juve-Inter offerta come grande distrazione di massa, è preferibile la discrezione della realtà. Vi ringraziamo, ma non ne abbiamo bisogno. Oggi lo scopo è un altro e anche il calcio ha diritto di partecipare alla corsa per trovarlo.
CorSera
Commenta