Ho già scritto una parola di ringraziamento qualche giorno fa, quando la sorella di Manuel mi aveva parlato di questo forum e invitato a leggerlo. Ora, dopo aver letto tutti i commenti voglio aggiungere qualche frase alle bellissime parole di Sean e a quelle di tutti coloro che l'hanno ricordato qui, dove lui era praticamente di casa.
Io ho condiviso con lui le ultime esperienze in vita. Qui leggo della parte precedente e capisco molte cose di lui, di chi era ed è.
Ho visto con i miei occhi il crudele contrappasso, quando quel corpo, alla cui forma aveva dedicato per più di un decennio tempo ed energie, sembrava essergli rivoltato definitivamente contro. La fragilità aveva preso il posto della forza, i gonfiori e la magrezza gli avevano reso nemico lo specchio. "Sono una canna al vento" e non lo accettava, poi è iniziata un'altra fase. La fase dell'abbandono, quella dell'apertura all'infinito, all'eternità. "Ogni giorno sento un pezzo di vita che se ne va", diceva. La morfina è stata sua fedele compagna contro il dolore, lei lo portava via, in altre dimensioni eppure la ragione tornava sempre e sempre c'era modo di ascoltare le fantasiose farneticazioni a cui la sua fervida fantasia l'aveva portato tra morfina e dolore, con un'impressionante lucidità. Crudele il fato con lui. Eppure, la logica della rivendicazione, quella del "non è giusto" e quella della quantità, "ha avuto troppo poco tempo" gli stavano strette.
Nell'ultimo periodo era diventata una gran fatica riuscire a rispondere ai messaggi via chat, sostenere una visita ed essere cooperativo durante i tanti, troppi appuntamenti farmacologici quotidiani. Ma il senso di tutto quello sforzo era racchiuso in piccole cose: riuscire a mangiare qualcosa, scambiare due parole, fare due passi, respirare un pò meglio, ascoltare ad occhi chiusi il verso degli uccelli del giardino. I cinguettii, racchiusi nel fantasioso sogno morfinico diventavano canti e poesie o suggerimenti di cose da dire. Pecore, fenicotteri rosa, stornelli, ricordi del passato, tutto si univa e si mischiava; poi, una volta che il dolore si spegneva risorgeva la speranza, quella di non provarlo mai più, quella di abbandonarsi ad un sogno di vita, o magari di morte che fosse pace e serenità per tutti.
Una stanchezza radicale e profonda faceva da sottofondo al trascorrere lento delle ore e alle tante, troppe notti insonni da recuperare.
3 mesi, il tempo in cui le speranze in una cura si sono estinte e ambizioni, desideri, tensioni, difficoltà si sono trasformate nell'accettazione di una condizione che cambiava di ora in ora, di minuto in minuto, ogni istante. Negli ultimi tempi non riusciva più a leggere e, considerando la sua inestinguibile passione per la lettura, è stato questo il vero sintomo che la morte si stava avvicinando. Ed è arrivata furtiva, la meschina, quando credevo che, ancora una volta, avrebbe vinto il dolore e superato la nottata. Però non l'ha colto impreparato, poiché già altre volte l'aveva vista in faccia e probabilmente la stava aspettando.
E forse, a pensarci bene, la morte non esiste. Forse è davvero solo un passaggio e se non lo è, noi non lo potremo mai sapere, quindi ci conviene sperarlo. In ogni caso, a noi ancora vivi lui ha lasciato un messaggio: quello di di godere, di gioire, di apprezzare ogni frazione di secondo di questa strana vita che abbiamo avuto il dono di ricevere.
Paradossalmente, sono stati proprio la malattia e il dolore che gli hanno regalato questa profonda consapevolezza. Per questo noi ora non possiamo sprecare questa sudata e preziosa eredità.
Io ho condiviso con lui le ultime esperienze in vita. Qui leggo della parte precedente e capisco molte cose di lui, di chi era ed è.
Ho visto con i miei occhi il crudele contrappasso, quando quel corpo, alla cui forma aveva dedicato per più di un decennio tempo ed energie, sembrava essergli rivoltato definitivamente contro. La fragilità aveva preso il posto della forza, i gonfiori e la magrezza gli avevano reso nemico lo specchio. "Sono una canna al vento" e non lo accettava, poi è iniziata un'altra fase. La fase dell'abbandono, quella dell'apertura all'infinito, all'eternità. "Ogni giorno sento un pezzo di vita che se ne va", diceva. La morfina è stata sua fedele compagna contro il dolore, lei lo portava via, in altre dimensioni eppure la ragione tornava sempre e sempre c'era modo di ascoltare le fantasiose farneticazioni a cui la sua fervida fantasia l'aveva portato tra morfina e dolore, con un'impressionante lucidità. Crudele il fato con lui. Eppure, la logica della rivendicazione, quella del "non è giusto" e quella della quantità, "ha avuto troppo poco tempo" gli stavano strette.
Nell'ultimo periodo era diventata una gran fatica riuscire a rispondere ai messaggi via chat, sostenere una visita ed essere cooperativo durante i tanti, troppi appuntamenti farmacologici quotidiani. Ma il senso di tutto quello sforzo era racchiuso in piccole cose: riuscire a mangiare qualcosa, scambiare due parole, fare due passi, respirare un pò meglio, ascoltare ad occhi chiusi il verso degli uccelli del giardino. I cinguettii, racchiusi nel fantasioso sogno morfinico diventavano canti e poesie o suggerimenti di cose da dire. Pecore, fenicotteri rosa, stornelli, ricordi del passato, tutto si univa e si mischiava; poi, una volta che il dolore si spegneva risorgeva la speranza, quella di non provarlo mai più, quella di abbandonarsi ad un sogno di vita, o magari di morte che fosse pace e serenità per tutti.
Una stanchezza radicale e profonda faceva da sottofondo al trascorrere lento delle ore e alle tante, troppe notti insonni da recuperare.
3 mesi, il tempo in cui le speranze in una cura si sono estinte e ambizioni, desideri, tensioni, difficoltà si sono trasformate nell'accettazione di una condizione che cambiava di ora in ora, di minuto in minuto, ogni istante. Negli ultimi tempi non riusciva più a leggere e, considerando la sua inestinguibile passione per la lettura, è stato questo il vero sintomo che la morte si stava avvicinando. Ed è arrivata furtiva, la meschina, quando credevo che, ancora una volta, avrebbe vinto il dolore e superato la nottata. Però non l'ha colto impreparato, poiché già altre volte l'aveva vista in faccia e probabilmente la stava aspettando.
E forse, a pensarci bene, la morte non esiste. Forse è davvero solo un passaggio e se non lo è, noi non lo potremo mai sapere, quindi ci conviene sperarlo. In ogni caso, a noi ancora vivi lui ha lasciato un messaggio: quello di di godere, di gioire, di apprezzare ogni frazione di secondo di questa strana vita che abbiamo avuto il dono di ricevere.
Paradossalmente, sono stati proprio la malattia e il dolore che gli hanno regalato questa profonda consapevolezza. Per questo noi ora non possiamo sprecare questa sudata e preziosa eredità.
Commenta