Ho sognato casa della nonna, il piccolo appartamento nel palazzo popolare, poche stanze raccolte: la cucina dei fiammiferi e della minestra, la sala col tavolo dei giochi, il bagno dove il nonno tossiva, la camera. Sognavo di essere bambino e di dormire nel grande letto in mezzo al nonno e alla nonna. Ho una grande nostalgia di quella casa, ma non desidero rivederla: non sono i muri che mi mancano, ma chi era lì e il tempo in cui era. Quando la nonna se ne è andata da quella casa, ormai 15 anni fa, le ho fatto un filmino in cui raccontava la storia dei suoi lunghi anni in Via Adua. Chi l' avrebbe pensato la tristezza e l'angoscia con cui oggi lo vedo, chiuso nel cassetto, senza avere il coraggio di affrontarlo. E' forse la cosa più triste e spaventosa che io possieda.
Viadua, la chiamavo così da bambino, come una parola sola.
Via Adua
è il luogo in cui io ho vissuto, in cui abito ancora, dove ogni cosa successa continua a accadere.
Lì non sono un uomo, ma giulio bambino, mai ragazzo
Lì il babbo mi aspetta all'uscita del cortile
Lì carichiamo il camper e poi partiamo
e io mi sento all'inizio di un viaggio, di un'avventura
Lì sono nato, lì finirò
per sempre, Lì, io sto tornando.
ho sognato che tornavo a Viadua da un lungo viaggio, andavo a trovare la nonna. Mi fermavo sotto casa sua guardando in alto, cercando di ricordare, con la paura di sbagliarmi. Salivo le scale e lei era lì che aspettava sorridente, mi diceva "è il tuo compleanno, non l'ho dimenticato stavolta, non sono più malata!". E poi la seguivo in camera e pensavo "ora però sono sicuro, non mi sbaglio, il nonno è morto da tanti anni". E in camera c'era il nonno, un po' malato, un po' strano, ma anche lui sorrideva e mi parlava della Fiorentina, e poi arrivava lo zio e spalancava la finestra e mi diceva "ti piace questo panorama?" e io piangevo per la gioia, e mi sono svegliato singhiozzando mentre guardavo fuori dalla finestra il brutto e amato scorcio del cortile di Viadua. E sono rimasto un po' nel dormiveglia, incerto se nel mio sogno ci fosse qualcosa di sbagliato, non riuscivo a ricordare. E poi di nuovo mi sono addormentato e il sogno ha ripreso da lì, e c'era il babbo che leggeva il giornale e la nonna e poi di nuovo sono andato in camera e lo zio ha spalancato la finestra, e di nuovo ho pianto per la gioia e tutti sorridevano e erano così belli e giovani, come quando ero bambino. Questi sogni si ripetono ogni notte e mi annientano, mi lasciano svuotato. E sono talmente ingenui nel loro simbolismo e scontati nel significato, e io non so perchè insista a infliggermi tutto ciò ogni notte, per poi passare il giorno a ripetermi che sono andati via.
il nostro presente che era, in quale sfascio è stato gettato? I nostri anni, ora, sono una casa abbandonata. Il tavolo delle nostre cene non esiste più, non esistono i piatti e le tende sono stracci per la polvere. Nella casa di Viadua, ormai, vivono altre persone, e dove vivevamo noi, ora siamo i morti.
Il tempo è una rete sfondata, una sedia rotta, una ciabatta rosicchiata dai topi
e la foto appiccicata sul marmo delle tomba, a indicarne il contenuto come un'etichetta sul cibo per cani
Non c'è più Argo, babbo, nè la sua cuccia davanti alla pendola, nè la sua ciotola accanto.
Sul muro di cucina, imbiancato nel tuo ultimo maggio, c'è già qualche macchia.
In salotto un mobilino da chiesa, la tua foto sulla scrivania tra i libri, fatta altare con candelabri di cristallo.
In giardino è tolto l'agrifoglio, al suo posto una forsizia, e un arbusto sotto la finestra, dove c'era la fotinia. Accanto al melograno non c'è più la camelia, ma un'ortensia, e al posto della ginestra una landina.
Al muro il gelsomino che piantai quel giugno... ma hai fatto in tempo a vederlo, tu?
Queste le cose che sono cambiate, babbo, da quando tu non ci sei. Te le racconto, così il tempo non ti farà straniero, e ogni stagione nuova io ti dirò cosa è cambiato, cosa c'è ancora, come a un cieco si descrivono gli ostacoli, e nel sonno verrai per le stanze con passo sicuro. Il tempo non ci cambierà, babbo, e questa sarà sempre la tua casa, e sai che anch'io non sarò mai straniero per te.
Viadua, la chiamavo così da bambino, come una parola sola.
Via Adua
è il luogo in cui io ho vissuto, in cui abito ancora, dove ogni cosa successa continua a accadere.
Lì non sono un uomo, ma giulio bambino, mai ragazzo
Lì il babbo mi aspetta all'uscita del cortile
Lì carichiamo il camper e poi partiamo
e io mi sento all'inizio di un viaggio, di un'avventura
Lì sono nato, lì finirò
per sempre, Lì, io sto tornando.
ho sognato che tornavo a Viadua da un lungo viaggio, andavo a trovare la nonna. Mi fermavo sotto casa sua guardando in alto, cercando di ricordare, con la paura di sbagliarmi. Salivo le scale e lei era lì che aspettava sorridente, mi diceva "è il tuo compleanno, non l'ho dimenticato stavolta, non sono più malata!". E poi la seguivo in camera e pensavo "ora però sono sicuro, non mi sbaglio, il nonno è morto da tanti anni". E in camera c'era il nonno, un po' malato, un po' strano, ma anche lui sorrideva e mi parlava della Fiorentina, e poi arrivava lo zio e spalancava la finestra e mi diceva "ti piace questo panorama?" e io piangevo per la gioia, e mi sono svegliato singhiozzando mentre guardavo fuori dalla finestra il brutto e amato scorcio del cortile di Viadua. E sono rimasto un po' nel dormiveglia, incerto se nel mio sogno ci fosse qualcosa di sbagliato, non riuscivo a ricordare. E poi di nuovo mi sono addormentato e il sogno ha ripreso da lì, e c'era il babbo che leggeva il giornale e la nonna e poi di nuovo sono andato in camera e lo zio ha spalancato la finestra, e di nuovo ho pianto per la gioia e tutti sorridevano e erano così belli e giovani, come quando ero bambino. Questi sogni si ripetono ogni notte e mi annientano, mi lasciano svuotato. E sono talmente ingenui nel loro simbolismo e scontati nel significato, e io non so perchè insista a infliggermi tutto ciò ogni notte, per poi passare il giorno a ripetermi che sono andati via.
il nostro presente che era, in quale sfascio è stato gettato? I nostri anni, ora, sono una casa abbandonata. Il tavolo delle nostre cene non esiste più, non esistono i piatti e le tende sono stracci per la polvere. Nella casa di Viadua, ormai, vivono altre persone, e dove vivevamo noi, ora siamo i morti.
Il tempo è una rete sfondata, una sedia rotta, una ciabatta rosicchiata dai topi
e la foto appiccicata sul marmo delle tomba, a indicarne il contenuto come un'etichetta sul cibo per cani
Non c'è più Argo, babbo, nè la sua cuccia davanti alla pendola, nè la sua ciotola accanto.
Sul muro di cucina, imbiancato nel tuo ultimo maggio, c'è già qualche macchia.
In salotto un mobilino da chiesa, la tua foto sulla scrivania tra i libri, fatta altare con candelabri di cristallo.
In giardino è tolto l'agrifoglio, al suo posto una forsizia, e un arbusto sotto la finestra, dove c'era la fotinia. Accanto al melograno non c'è più la camelia, ma un'ortensia, e al posto della ginestra una landina.
Al muro il gelsomino che piantai quel giugno... ma hai fatto in tempo a vederlo, tu?
Queste le cose che sono cambiate, babbo, da quando tu non ci sei. Te le racconto, così il tempo non ti farà straniero, e ogni stagione nuova io ti dirò cosa è cambiato, cosa c'è ancora, come a un cieco si descrivono gli ostacoli, e nel sonno verrai per le stanze con passo sicuro. Il tempo non ci cambierà, babbo, e questa sarà sempre la tua casa, e sai che anch'io non sarò mai straniero per te.
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