A questo proposito:
La Fed rincorre l’inflazione: è pronta ad alzare ancora i tassi
I prezzi e i mercati sembrano andare più veloci della banca centrale Usa che continuerà ad alzare i tassi, ma corre il rischio di restare «indietro»
Troppo in ritardo? Sì, è probabile. La Federal reserve ha forse reagito con troppa lentezza a un’inflazione che non era determinata soltanto da fattori dell’offerta – le restrizioni, le interruzioni delle catene di forniture – ma anche da fattori di domanda – le spese pubbliche monstre, le spese finanziate dai risparmi extra – e che quindi chiedeva un intervento più deciso, più rapido. Ora deve correre, ma nello stesso tempo non può scatenare movimenti disordinati nel settore finanziario e, soprattutto, in quello creditizio dove la politica monetaria si incontra con l’economia reale.
Il rischio di un disancoraggio delle aspettative
ASPETTATIVE DI INFLAZIONE DI MERCATO
La situazione è abbastanza delicata. Le aspettative di inflazione si stanno stabilizzando a livelli piuttosto alti: i break even – la differenza tra i rendimenti dei titoli indicizzati e quelli “normali” – sono vicini al 3,4% per i cinque anni e vicini al 3% per i dieci anni. Gli inflation rate swaps 5y5y, che sono meno alterati da eventuali premi al rischio, sono però in rialzo e si stanno avvicinando al 2,5%. Non è mancato, nei giorni scorsi, qualche strappo verso il 2,7% che dimostra l’interesse degli investitori a scommettere – o proteggersi – su livelli di inflazione più elevati nel lungo periodo. Il rischio di un disancoraggio delle aspettative è reale.
Inflazione core sempre in rialzo
L’inflazione misurata dall'indice Pce, preferito dalla Fed, ha raggiunto il 6,6%. Soprattutto, l'indice core è ormai al 5,17%: negli Usa l’inflazione complessiva tende a “seguire” questa inflazione di fondo che tende ad alzarsi. È da diverso tempo che i rincari Usa sono generalizzati, ad amplissimo spettro, e non semplicemente variazioni dei prezzi relativi – dell’energia rispetto agli altri, per esempio – dolorose ma non aggredibili con la politica monetaria.
Rendimenti in rialzo, ma non nel brevissimo termine
LA CURVA DEI RENDIMENTI DAL 2020
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I mercati hanno ben compreso sia l’orientamento ormai “da falco” della Banca centrale Usa, sia le prospettive di inflazione: i rendimenti americani sono in rapido rialzo. È sintomatico però che la parte più a breve della curva, quella che riflette e al tempo stesso esprime la politica monetaria, resta a livelli più bassi rispetto al 2020: il segno più evidente di una politica monetaria in ritardo.
Condizioni finanziarie molto accomodanti
L’INDICE FED CHICAGO DELLE CONDIZIONI FINANZIARIE
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L’indice delle condizioni finanziarie della Fed di Chicago, che riassume l’andamento di oltre 100 indicatori lungo tutta la catena di trasmissione della politica monetaria, pur restando ben al di sotto della media di lungo periodo (pari per definizione a zero) - che rappresenta anche un’indicazione semplicistica del valore di equilibrio - è tornata a livelli del 2016, quando era appena iniziata la prima normalizzazione della politica monetaria dopo i quantitative easing. In quel periodo, la Fed era alla “guida” del processo, adesso sembra che tutta la struttura dei tassi sia “più avanti” della politica monetaria, che fatica a rincorrerla.
La Fed rincorre l’inflazione: è pronta ad alzare ancora i tassi
I prezzi e i mercati sembrano andare più veloci della banca centrale Usa che continuerà ad alzare i tassi, ma corre il rischio di restare «indietro»
Troppo in ritardo? Sì, è probabile. La Federal reserve ha forse reagito con troppa lentezza a un’inflazione che non era determinata soltanto da fattori dell’offerta – le restrizioni, le interruzioni delle catene di forniture – ma anche da fattori di domanda – le spese pubbliche monstre, le spese finanziate dai risparmi extra – e che quindi chiedeva un intervento più deciso, più rapido. Ora deve correre, ma nello stesso tempo non può scatenare movimenti disordinati nel settore finanziario e, soprattutto, in quello creditizio dove la politica monetaria si incontra con l’economia reale.
Il rischio di un disancoraggio delle aspettative
ASPETTATIVE DI INFLAZIONE DI MERCATO
La situazione è abbastanza delicata. Le aspettative di inflazione si stanno stabilizzando a livelli piuttosto alti: i break even – la differenza tra i rendimenti dei titoli indicizzati e quelli “normali” – sono vicini al 3,4% per i cinque anni e vicini al 3% per i dieci anni. Gli inflation rate swaps 5y5y, che sono meno alterati da eventuali premi al rischio, sono però in rialzo e si stanno avvicinando al 2,5%. Non è mancato, nei giorni scorsi, qualche strappo verso il 2,7% che dimostra l’interesse degli investitori a scommettere – o proteggersi – su livelli di inflazione più elevati nel lungo periodo. Il rischio di un disancoraggio delle aspettative è reale.
Inflazione core sempre in rialzo
L’inflazione misurata dall'indice Pce, preferito dalla Fed, ha raggiunto il 6,6%. Soprattutto, l'indice core è ormai al 5,17%: negli Usa l’inflazione complessiva tende a “seguire” questa inflazione di fondo che tende ad alzarsi. È da diverso tempo che i rincari Usa sono generalizzati, ad amplissimo spettro, e non semplicemente variazioni dei prezzi relativi – dell’energia rispetto agli altri, per esempio – dolorose ma non aggredibili con la politica monetaria.
Rendimenti in rialzo, ma non nel brevissimo termine
LA CURVA DEI RENDIMENTI DAL 2020
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I mercati hanno ben compreso sia l’orientamento ormai “da falco” della Banca centrale Usa, sia le prospettive di inflazione: i rendimenti americani sono in rapido rialzo. È sintomatico però che la parte più a breve della curva, quella che riflette e al tempo stesso esprime la politica monetaria, resta a livelli più bassi rispetto al 2020: il segno più evidente di una politica monetaria in ritardo.
Condizioni finanziarie molto accomodanti
L’INDICE FED CHICAGO DELLE CONDIZIONI FINANZIARIE
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L’indice delle condizioni finanziarie della Fed di Chicago, che riassume l’andamento di oltre 100 indicatori lungo tutta la catena di trasmissione della politica monetaria, pur restando ben al di sotto della media di lungo periodo (pari per definizione a zero) - che rappresenta anche un’indicazione semplicistica del valore di equilibrio - è tornata a livelli del 2016, quando era appena iniziata la prima normalizzazione della politica monetaria dopo i quantitative easing. In quel periodo, la Fed era alla “guida” del processo, adesso sembra che tutta la struttura dei tassi sia “più avanti” della politica monetaria, che fatica a rincorrerla.
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