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Originariamente Scritto da Arturo Bandini Visualizza MessaggioIo invece ci sto male ogni volta che leggo di un'azienda italiana che si trasferisce o viene acquisita... Nel mio piccolo quando posso scegliere compro sempre prodotti italiani a costo di spendere di più
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Originariamente Scritto da Pasquino Visualizza MessaggioLo faccio anche io, soprattutto per i generi alimentari. Secondo me in tempi di crisi un minimo di protezionismo ci vuole
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è che di prodotti davvero italiani ne resta sempre meno... quand'ero ragazzino se c'era da comprare il televisore si chiamava il rivenditore brionvega... Mio padre era sempre attento a comprare automobili fiat (per mia madre) e lancia o alfa (per sè), ma ora fiat non è più italiana... E tanti magari comprano latte parmalat o pasta buitoni senza pensare che non sono più italiane...
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Originariamente Scritto da Arturo Bandini Visualizza Messaggioè che di prodotti davvero italiani ne resta sempre meno... quand'ero ragazzino se c'era da comprare il televisore si chiamava il rivenditore brionvega... Mio padre era sempre attento a comprare automobili fiat (per mia madre) e lancia o alfa (per sè), ma ora fiat non è più italiana... E tanti magari comprano latte parmalat o pasta buitoni senza pensare che non sono più italiane...
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E’ la globalizzazione nei suoi effetti piu’ quotidiani, l’autarchia
nom e’ piu’ contemplabile.
A parita’ di prodotto qualcosa fatto altrove (asia ad esempio) costa meno e ce lo cucchiamo a danno della nostra produzione.
In questo, avere una valuta forte oggi fa pensare a quanto fossero di difficile accesso prodotti come i tecnologici fino ad una ventina di anni fa.
Lo StarTac a 1.500.000 Lire era UNO STIPENDIO MEDIO, un qualsiasi smartphone attuale e’ MOLTO MENO dello stipendio medio.
La Lira era deliberatamente votata all’export, l’euro agevola l’import IN QUANTO FORTE.
Questo molto in generale, dato che comunque nonostante tutto l’export italiano ha sempre retto bene, certo si e’ polarizzato di piu’.
La concorenza ha devastato il tessuto delle piccole e medie imprese, chi sopravvive lo fa quasi sempre lottando strenuamente.
E’ tutto estremamente variegato e con grandi differenze, ma a grandi linee la questione “globalizzazione” e la questione “cambio valutario” sono paletti a cui l’Italia non ha reagito come si sarebbe convenuto.
Detto grezzamente: o paghi meno l’operaio o non ce la fai, quindi ti sposti altrove.
Ci sono da aggiungere i fattori legati alla burocrazia, perche’ no anche ai trmpi della giustizia, insomma essere attrattivi ha dei costi di riforma.
Gli investimenti esteri inattivita’ produttive sono un cappio al collo come quelli in ativita’ di finanziamento, un Paese leader non si fa dettare le condizioni come di fatto avviene.
Tuttavia o così, o ciao ciao.
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Una certa azienda può essere quotata in borsa oppure, se non lo è, spesso è di proprietà di qualche azienda/holding quotata. Allora bisogna vedere quali fondi mutui possiedono azioni della tale azienda quotata, e/o eventualmente quali fondi alternativi (AIF) possiedono quote OTC.
Poi bisogna vedere chi sono gli investitori di quei fondi, di solito in gran parte fondi pensione, fondi di pensioni integrative, e quote di investimento proposte dalle banche ai correntisti.
E' il paradosso di finanza e governance sconosciuto al grande pubblico. Spesso l'impiegato/operaio che sciopera è, inconsapevolmente, attraverso il fondo pensione, l'investitore ovvero il malvagio "padrone" contro cui si sciopera.
Alla fine di questa filiera, è tutt'altro che scontato chi sia davvero il proprietario (o meglio l'investitore) dell'azienda taldeitali. Quando si dice che un'azienda è stata comprata dai francesi si intende che è stata acquisita da una holding domiciliata in Francia, ma chi siano i veri proprietari di quella holding è da vedere.
Che poi l'Italia ha una fetta molto grande di AIF europei, tra le altre cose. Mi pare sia la terza domiciliazione di hedge fund, e diventa la seconda con l'uscita del Regno Unito.Originariamente Scritto da SeanBob è pure un fervente cattolico.
E' solo in virtù di questo suo essere del Cristo che gli perdono quei suoi certi amori per le polveri, il rock, la psicologia, la pornografia e pure per Sion.
Alice - How long is forever?
White Rabbit - Sometimes, just one second.
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Originariamente Scritto da Sly83 Visualizza MessaggioE’ la globalizzazione nei suoi effetti piu’ quotidiani, l’autarchia
nom e’ piu’ contemplabile.
A parita’ di prodotto qualcosa fatto altrove (asia ad esempio) costa meno e ce lo cucchiamo a danno della nostra produzione.
In questo, avere una valuta forte oggi fa pensare a quanto fossero di difficile accesso prodotti come i tecnologici fino ad una ventina di anni fa.
Lo StarTac a 1.500.000 Lire era UNO STIPENDIO MEDIO, un qualsiasi smartphone attuale e’ MOLTO MENO dello stipendio medio.
La Lira era deliberatamente votata all’export, l’euro agevola l’import IN QUANTO FORTE.
Questo molto in generale, dato che comunque nonostante tutto l’export italiano ha sempre retto bene, certo si e’ polarizzato di piu’.
La concorenza ha devastato il tessuto delle piccole e medie imprese, chi sopravvive lo fa quasi sempre lottando strenuamente.
E’ tutto estremamente variegato e con grandi differenze, ma a grandi linee la questione “globalizzazione” e la questione “cambio valutario” sono paletti a cui l’Italia non ha reagito come si sarebbe convenuto.
Detto grezzamente: o paghi meno l’operaio o non ce la fai, quindi ti sposti altrove.
Ci sono da aggiungere i fattori legati alla burocrazia, perche’ no anche ai trmpi della giustizia, insomma essere attrattivi ha dei costi di riforma.
Gli investimenti esteri inattivita’ produttive sono un cappio al collo come quelli in ativita’ di finanziamento, un Paese leader non si fa dettare le condizioni come di fatto avviene.
Tuttavia o così, o ciao ciao.
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Originariamente Scritto da Bob Terwilliger Visualizza MessaggioUna certa azienda può essere quotata in borsa oppure, se non lo è, spesso è di proprietà di qualche azienda/holding quotata. Allora bisogna vedere quali fondi mutui possiedono azioni della tale azienda quotata, e/o eventualmente quali fondi alternativi (AIF) possiedono quote OTC.
Poi bisogna vedere chi sono gli investitori di quei fondi, di solito in gran parte fondi pensione, fondi di pensioni integrative, e quote di investimento proposte dalle banche ai correntisti.
E' il paradosso di finanza e governance sconosciuto al grande pubblico. Spesso l'impiegato/operaio che sciopera è, inconsapevolmente, attraverso il fondo pensione, l'investitore ovvero il malvagio "padrone" contro cui si sciopera.
Alla fine di questa filiera, è tutt'altro che scontato chi sia davvero il proprietario (o meglio l'investitore) dell'azienda taldeitali. Quando si dice che un'azienda è stata comprata dai francesi si intende che è stata acquisita da una holding domiciliata in Francia, ma chi siano i veri proprietari di quella holding è da vedere.
Che poi l'Italia ha una fetta molto grande di AIF europei, tra le altre cose. Mi pare sia la terza domiciliazione di hedge fund, e diventa la seconda con l'uscita del Regno Unito.
Tutte le Istituzioni sono inserite in questo meccanismo e credo che alla fine nessuno sia stato talmente ottuso da non prevederne almeno in parte le dinamiche, anche in maniera “dolosa” (daipende dal punto di osservazione).
Mi spiegate altrimenti perche’ mai francesi, italiani e tedeschi, che fino al momento prima stavano o a farsi la guerra o a iniziare le barzellette, si sarebbero imbarcamenati in un progetto come quello Europeo?
Qualche vantaggio per tutti, con annessi rischi...non sempre condivisi.
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Camera dei Deputati 14 dicembre 1978, discorso di Napolitano:
(…) Ma mi si permetta, onorevoli colleghi, di ripartire dalla posizione assunta da noi di fronte alle indicazioni scaturite questa estate dalla riunione dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione. Guardammo allora con interesse ai propositi di rilancio del processo di integrazione e di maggiore solidarietà, per far fronte ad una crisi di portata mondiale, per accelerare lo sviluppo delle economie europee, combattere la disoccupazione e, insieme, ridurre l’inflazione. Ponemmo in questo senso il problema delle condizioni in cui l’euro avrebbe potuto nascere come strumento valido e vitale, al quale l’Italia avrebbe potuto aderire fin dall’inizio. Quello delle garanzie da conseguire affinché l’euro possa avere successo, favorire un sostanziale riequilibrio all’interno dell’Unione europea (e non sortire un effetto contrario), è un rilevante problema politico.
Le esigenze poste da parte italiana non riflettevano solo il nostro interesse nazionale: la preoccupazione espressa dai nostri negoziatori fu innanzitutto quella di dar vita a un sistema realistico e duraturo, in quanto – cito parole e concetti del ministro del tesoro e del governatore della Banca d’Italia: “Un suo insuccesso comporterebbe gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema monetario internazionale e sulle possibilità di avanzamento della costruzione economica europea”.
Ma dal vertice è venuta solo la conferma di una sostanziale resistenza dei Paesi più forti, della Germania, e in particolare della banca centrale tedesca, ad assumere impegni effettivi e sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio tra gli andamenti delle economie di paesi della Comunità. E’ così venuto alla luce un equivoco di fondo: se cioè il nuovo sistema debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, o debba servire a garantire il Paese più forte, ferma restando la politica non espansiva della Germania, spingendosi un Paese come l’Italia alla deflazione.
Queste valutazioni sono a noi apparse tali da giustificare pienamente una scelta che si limitasse ad una dichiarazione di principio favorevole e che escludesse l’entrata dal primo gennaio nell’euro, tanto più in presenza di una analoga decisione della Gran Bretagna, con tutto ciò che questa decisione comportava e comporta.
Perché non si sono ascoltate abbastanza nei giorni scorsi queste voci e si è giunti ad una decisione precipitata ed arrischiata?
No, onorevoli colleghi, noi siamo dinanzi a una risoluzione che assume le caratteristiche ristrette di una unione monetaria, le cui caratteristiche rischiano per lo più di creare gravi problemi ai Paesi più deboli che entrino a farne parte. Naturalmente non sottovalutiamo l’importanza degli sforzi rivolti a creare un’area di stabilità monetaria. Ma se è vero che le frequenti fluttuazioni dei cambi costituiscono una causa di instabilità, è vero anche che esse sono il riflesso di squilibri profondi all’interno dei singoli Paesi.
La verità è che forse – come si è scritto fuori d’Italia – si è finito per mettere il “carro” di un accordo monetario davanti ai “buoi” di un accordo per le economie.
Onorevoli colleghi, in quest’aula si è parlato (vi si è riferito poco fa anche il collega Cicchitto) delle sollecitazioni e delle assicurazioni pervenuteci da governi amici. Queste sollecitazioni confermano l’esistenza di un reale e forte interesse degli altri Paesi membri della Comunità ad avere l’Italia al più presto presente nell’euro. Si sarebbe, dunque, potuto far leva su questo interesse, non dando adesione immediata, per portare avanti un serio negoziato. Ma se ci si vuole, onorevoli colleghi, confrontare con i problemi di fondo, i problemi delle politiche economiche, bisogna sbarazzarsi di ogni residuo di europeismo retorico e di maniera. Si è giunti a sostenere che “l’Italia non dovesse scegliere in questi giorni se appartenere o meno all’euro, ma se recidere” – dico recidere – “o meno i suoi legami con i Paesi dell’Europa occidentale, sul terreno economico e sul terreno politico”. Ma questa è una tesi che non trova alcun riscontro obiettivo, che non poggia su alcun argomento razionale e si colloca, invece, nel quadro di una drammatizzazione gratuita ed esasperata della scelta che era davanti tal nostro Paese.
Se oggi, comunque, tra i fautori dell’ingresso immediato circolasse il calcolo di far leva su gravi difficoltà che possono derivare dalla disciplina del nuovo meccanismo di cambio europeo per porre la sinistra – eludendo la difficile strada della ricerca del consenso – dinanzi ad una sostanziale distorsione della sua linea ispiratrice, dinanzi alla proposta di una politica di deflazione e di rigore a senso unico, diciamo subito che si tratta di un calcolo irresponsabile e velleitario“.
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Originariamente Scritto da THE ALEX Visualizza MessaggioSi ma più complesso e articolato... Prima parlavate di delocalizzazione, fenomeno reso possibile dall'abolizione delle frontiere europee. Il problema non è stato solo l'euro ma l'Europa. I capitalisti fanno i capitalisti e pensano al profitto, qualcuno avrebbe dovuto prevedere e tutelare lavoratori e consumatori italiani e ovviamente non l'ha fatto.
Il problema non sono né la produzione né la distribuzione della ricchezza; il problema è la prosperità stessa. L'aumento della vita media crea la maggior parte dei casini. La prosperità aumenta più in fretta di quanto la società riesca ad adattarvisi.Originariamente Scritto da SeanBob è pure un fervente cattolico.
E' solo in virtù di questo suo essere del Cristo che gli perdono quei suoi certi amori per le polveri, il rock, la psicologia, la pornografia e pure per Sion.
Alice - How long is forever?
White Rabbit - Sometimes, just one second.
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Originariamente Scritto da Bob Terwilliger Visualizza MessaggioI capitalisti pensano al profitto e questo, secondo la dottrina ancora ben viva di Milton Friedman, porta il massimo beneficio possibile alla collettività. Ora, al di là degli estremismi di Friedman, non c'è dubbio che l'attuale società sia la più pacifica e prospera della storia. Mortalità infantile, malattia, carestia e guerre sono al loro minimo di sempre. Uno smartphone e l'ubiquitaria rete dati ad alta velocità sono meraviglie della tecnologia impensabili vent'anni fa, e oggi sono già comuni anche nei paesi in via di sviluppo. La medicina si sta sviluppando a grande velocità, e la robotica diminuirà rapidamente i lavori umili e usuranti. Immensi capitali sono spesi nello sviluppo sostenibile.
Il problema non sono né la produzione né la distribuzione della ricchezza; il problema è la prosperità stessa. L'aumento della vita media crea la maggior parte dei casini. La prosperità aumenta più in fretta di quanto la società riesca ad adattarvisi.
Solo sulla parola "prosperità", potremmo discuterne 4 gg, ma puoi garantirmi che ci sia maggiore prosperità oggi in Italia di quanta ce ne fosse 20 anni fa?
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Originariamente Scritto da THE ALEX Visualizza MessaggioBob, non me la buttare sul filosofico altrimenti ti tiro in un pippone stile "zen e arte della manutenzione della motocicletta" che non finisce piu
Solo sulla parola "prosperità", potremmo discuterne 4 gg, ma puoi garantirmi che ci sia maggiore prosperità oggi in Italia di quanta ce ne fosse 20 anni fa?
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