Certo - riflettevo - con l'Europa sarebbe dovuta arrivare una nuova primavera, la promessa di immancabili destini. Il sorgere dell'euro si dava ad indovinare come il sole di una nuova era gravida di tante opportunità a portata di mano e di un continente che avrebbe finalmente chiuso i suoi conti col passato per proporsi come polo centrale tra l'America e l'Asia (o la Russia e l'Est).
Dopo soli 16 anni dalla nascita della unione monetaria, ci troviamo a contare i pezzi sparsi di questa spericolata avventura. La Gran Bretagna se ne va, in un rigurgito di orgoglio nazionalista, proprio quei riflussi che non avrebbero dovuto essere più, almeno a sentire alcuni illuminati esperti di allora.
Sedici anni di crisi continue, di autunno greve, altro che primavera. Tremendi atti terroristici, lacerazioni del tessuto sociale, spinte separatiste che attraversano non pochi stati, lavoro che manca, intere economie che sono diventate pericolanti, vecchie classi politiche che muoiono e nuove che non nascono, la sensazione di attraversare terre, un tempo familiari, e che oggi non si conoscono più, trasformazioni repentine e senza governo, come se una locomotiva corresse a velocità folle non si sa verso dove.
Se ci poniamo un attimo a riflettere, se ci sediamo per un momento, non appare così lunare questo distacco della Gran Bretagna. Dove stiamo andando e chi è che ci sta portando per mano? Dov'è questo sole? A crisi segue crisi in un inesausto e sfibrante agonizzare di nazioni, di popoli, di società, di persone.
Non c'è stata nessuna festa, non si sono viste le Grandi Opportunità ma solo i piccoli drammi quotidiani di chi prima lottava per darsi un futuro o solo per sopravvivere e oggi ancora lotta. Trasformazioni così incalzanti da non dare nemmeno il tempo a loro di penetrare e a noi di abituarci, che subito ecco che ci si precipita verso altre frontiere immancabilmente "obbligatore", perchè modernissime - dicono - inevitabili, se non vuoi restare indietro.
Era inevitabile anche l'UE ed il suo trionfo, tutti saremmo stati meglio (e più ricchi e più al sicuro) entro questa grande Europa unita. Invece è nata morta, un organismo costruito in laboratorio che assomiglia in tutto e per tutto ad un essere umano e al quale manca però il soffio vitale: senza quello abbiamo solo un bellissimo cadavere.
Quante generazioni stiamo perdendo nell'attesa? Quanto futuro dibattendoci entro questa agonia che non vuol finire? E' proprio necessario che la locomotiva corra a questa velocità senza poterla fermare e ripensare? Valutare se tutto è buono e se tutto è giusto?
In fine motus velocior: presso la fine il moto si fa più veloce. Questa velocità di cambiamenti, di continui sommovimenti, di spasmi non mi fa pensare ad una nascita (che d'altronde s'attende e non viene) ma piuttosto ad una fine.
Dopo soli 16 anni dalla nascita della unione monetaria, ci troviamo a contare i pezzi sparsi di questa spericolata avventura. La Gran Bretagna se ne va, in un rigurgito di orgoglio nazionalista, proprio quei riflussi che non avrebbero dovuto essere più, almeno a sentire alcuni illuminati esperti di allora.
Sedici anni di crisi continue, di autunno greve, altro che primavera. Tremendi atti terroristici, lacerazioni del tessuto sociale, spinte separatiste che attraversano non pochi stati, lavoro che manca, intere economie che sono diventate pericolanti, vecchie classi politiche che muoiono e nuove che non nascono, la sensazione di attraversare terre, un tempo familiari, e che oggi non si conoscono più, trasformazioni repentine e senza governo, come se una locomotiva corresse a velocità folle non si sa verso dove.
Se ci poniamo un attimo a riflettere, se ci sediamo per un momento, non appare così lunare questo distacco della Gran Bretagna. Dove stiamo andando e chi è che ci sta portando per mano? Dov'è questo sole? A crisi segue crisi in un inesausto e sfibrante agonizzare di nazioni, di popoli, di società, di persone.
Non c'è stata nessuna festa, non si sono viste le Grandi Opportunità ma solo i piccoli drammi quotidiani di chi prima lottava per darsi un futuro o solo per sopravvivere e oggi ancora lotta. Trasformazioni così incalzanti da non dare nemmeno il tempo a loro di penetrare e a noi di abituarci, che subito ecco che ci si precipita verso altre frontiere immancabilmente "obbligatore", perchè modernissime - dicono - inevitabili, se non vuoi restare indietro.
Era inevitabile anche l'UE ed il suo trionfo, tutti saremmo stati meglio (e più ricchi e più al sicuro) entro questa grande Europa unita. Invece è nata morta, un organismo costruito in laboratorio che assomiglia in tutto e per tutto ad un essere umano e al quale manca però il soffio vitale: senza quello abbiamo solo un bellissimo cadavere.
Quante generazioni stiamo perdendo nell'attesa? Quanto futuro dibattendoci entro questa agonia che non vuol finire? E' proprio necessario che la locomotiva corra a questa velocità senza poterla fermare e ripensare? Valutare se tutto è buono e se tutto è giusto?
In fine motus velocior: presso la fine il moto si fa più veloce. Questa velocità di cambiamenti, di continui sommovimenti, di spasmi non mi fa pensare ad una nascita (che d'altronde s'attende e non viene) ma piuttosto ad una fine.
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