L'efficacia, se ho ben capito cosa intendi, viene testata empiricamente attraverso ricerche statistiche. Queste possono essere fatte su aspetti "obiettivi", secondo una certa idea di scienza vagamente positivistica, oppure "soggettivi".
Ti faccio due esempi.
Fenomeni obiettivi: all'interno della psichiatria più classica (che comunque è solo una parte dell'odierna psichiatria) i disturbi mentali vengono classificati come sindromi, ovvero sulla base di liste di sintomi. E' la cosiddetta diagnostica nosografica, che ha un suo perché e una sua utilità; purtroppo devo rilevare che talvolta viene usata in maniera impropria (ma questo ora c'entra poco). Un sintomo dell'episodio maniacale e quindi di varie sindromi che presentano episodi maniacali è l'"eloquio disorganizzato". Un osservatore, possibilmente addestrato, rileva con la massima facilità un eloquio francamente disorganizzato o la sua assenza, quindi può registrare quel sintomo come assente o presente. I comportamenti di automutilazione sono un altro sintomo rilevabile obiettivamente (sempreché uno non confonda un dito schiacciato per sbaglio nella porta con una martellata volontaria sullo stesso).
Un altro esempio è misurare i livelli di certi neurotrasmettitori correlati con determinati stati psichici. E' chiaro però che per correlare la serotonina con la depressione, per esempio, devi prima diagnosticare una depressione, e questa si basa (come tutta la psichiatria) in gran parte su sintomi soggettivi.
Fenomeni soggettivi: l'esempio più semplice è chiedere al paziente "ti sembra di stare meglio, uguale o peggio rispetto a sei mesi fa?". Questo, ovviamente, riguarda la soggettività del paziente, e solo lui può decidere se si senta meglio o peggio.
A prescindere da quale sia il disegno sperimentale, gli studi evidence-based cercano correlazioni statistiche tra fenomeni. Per esempio, puoi chiedere a tre gruppi di pazienti come si sentano dopo tot mesi di (rispettivamente) psicoterapia analitica, psicoterapia comportamentale e psicofarmacoterapia. Oppure misura i livelli dei neurotrasmettitori. O fa RMNf. Oppure usa ancora altri marker diversi (questo spiega perché sia necessario fare così attenzione a ciò che dicono le ricerche. Talvolta i risultati tecnici reali sono molto lontani da ciò che si pretende sia il significato della ricerca; i dati sono una cosa, l'interpretazione degli stessi è un'altra).
Poi confronti i dati. Magari si incrociano. Poi si fanno ricerche di follow-up, ovvero si ricontrolla lo stato dei pazienti dopo un anno, dopo due, dopo dieci.
Alla fine, se si è fatto tutto bene, ciò che viene fuori è che tale terapia funziona meglio per disturbi fobici, quell'altra per disturbi da stress post-traumatico, e quell'altra ancora per disturbi di personalità narcisistica.
In generale comunque le terapie si possono mettere in macroraggruppamenti. La teoria dietro una tecnica terapeutica spesso non è affatto una teoria bensì un modello, che è tutt'altra cosa. La psicoanalisi relazionale e la psicoanalisi intersoggettiva modellizzano in maniera parzialmente differente (ma in gran parte sovrapponibile) gli stessi fenomeni. La psicoterapia cognitivo-costruttivista si basa in effetti sul lavoro di uno psicoanalista ed è in ogni aspetto una psicoterapia dinamica, come la rogersiana o la psicoterapia analitica. Eccetera.
Si può avere l'impressione che ci siano miliardi di indirizzi diversi e teorie incompatibili, ma in realtà gli approcci principali sono pochi. Dinamico, comportamentista, sistemico, mansionale...
E' a questo punto, quando rimangono modelli chiaramente differenti tra loro (e magari corredati di vere teorie differenti) che si può cominciare a riflettere sull'incompatibilità.
Immagino che da fuori si possa rimanere confusi da ciò che appare un gran caos teorico. Sarebbe buona cosa che ci fosse un'informazione a grandi linee su ciò che offrono e che sono i principali orientamenti. Purtroppo ci si limita troppo spesso a "la psicoanalisi dura troppo, i farmaci sono droga, l'ipnotista è un ciarlatano". E' difficile che un farmaco ti aiuti a capire cosa vuoi dalla vita; d'altra parte non è detto che ogni persona che soffre di una fobia specifica senta il bisogno di esplorare le profondità della sua personalità.
Insomma, in definitiva le questioni tecniche riguardano i professionisti. Ciò che riguarda il potenziale paziente sono gli scopi, le modalità e la logistica. Credo che sarebbe auspicabile rendere le informazioni su questi aspetti un po' più accessibili al pubblico che è, in defintiva, l'utente della cura e del servizio.
Ti faccio due esempi.
Fenomeni obiettivi: all'interno della psichiatria più classica (che comunque è solo una parte dell'odierna psichiatria) i disturbi mentali vengono classificati come sindromi, ovvero sulla base di liste di sintomi. E' la cosiddetta diagnostica nosografica, che ha un suo perché e una sua utilità; purtroppo devo rilevare che talvolta viene usata in maniera impropria (ma questo ora c'entra poco). Un sintomo dell'episodio maniacale e quindi di varie sindromi che presentano episodi maniacali è l'"eloquio disorganizzato". Un osservatore, possibilmente addestrato, rileva con la massima facilità un eloquio francamente disorganizzato o la sua assenza, quindi può registrare quel sintomo come assente o presente. I comportamenti di automutilazione sono un altro sintomo rilevabile obiettivamente (sempreché uno non confonda un dito schiacciato per sbaglio nella porta con una martellata volontaria sullo stesso).
Un altro esempio è misurare i livelli di certi neurotrasmettitori correlati con determinati stati psichici. E' chiaro però che per correlare la serotonina con la depressione, per esempio, devi prima diagnosticare una depressione, e questa si basa (come tutta la psichiatria) in gran parte su sintomi soggettivi.
Fenomeni soggettivi: l'esempio più semplice è chiedere al paziente "ti sembra di stare meglio, uguale o peggio rispetto a sei mesi fa?". Questo, ovviamente, riguarda la soggettività del paziente, e solo lui può decidere se si senta meglio o peggio.
A prescindere da quale sia il disegno sperimentale, gli studi evidence-based cercano correlazioni statistiche tra fenomeni. Per esempio, puoi chiedere a tre gruppi di pazienti come si sentano dopo tot mesi di (rispettivamente) psicoterapia analitica, psicoterapia comportamentale e psicofarmacoterapia. Oppure misura i livelli dei neurotrasmettitori. O fa RMNf. Oppure usa ancora altri marker diversi (questo spiega perché sia necessario fare così attenzione a ciò che dicono le ricerche. Talvolta i risultati tecnici reali sono molto lontani da ciò che si pretende sia il significato della ricerca; i dati sono una cosa, l'interpretazione degli stessi è un'altra).
Poi confronti i dati. Magari si incrociano. Poi si fanno ricerche di follow-up, ovvero si ricontrolla lo stato dei pazienti dopo un anno, dopo due, dopo dieci.
Alla fine, se si è fatto tutto bene, ciò che viene fuori è che tale terapia funziona meglio per disturbi fobici, quell'altra per disturbi da stress post-traumatico, e quell'altra ancora per disturbi di personalità narcisistica.
In generale comunque le terapie si possono mettere in macroraggruppamenti. La teoria dietro una tecnica terapeutica spesso non è affatto una teoria bensì un modello, che è tutt'altra cosa. La psicoanalisi relazionale e la psicoanalisi intersoggettiva modellizzano in maniera parzialmente differente (ma in gran parte sovrapponibile) gli stessi fenomeni. La psicoterapia cognitivo-costruttivista si basa in effetti sul lavoro di uno psicoanalista ed è in ogni aspetto una psicoterapia dinamica, come la rogersiana o la psicoterapia analitica. Eccetera.
Si può avere l'impressione che ci siano miliardi di indirizzi diversi e teorie incompatibili, ma in realtà gli approcci principali sono pochi. Dinamico, comportamentista, sistemico, mansionale...
E' a questo punto, quando rimangono modelli chiaramente differenti tra loro (e magari corredati di vere teorie differenti) che si può cominciare a riflettere sull'incompatibilità.
Immagino che da fuori si possa rimanere confusi da ciò che appare un gran caos teorico. Sarebbe buona cosa che ci fosse un'informazione a grandi linee su ciò che offrono e che sono i principali orientamenti. Purtroppo ci si limita troppo spesso a "la psicoanalisi dura troppo, i farmaci sono droga, l'ipnotista è un ciarlatano". E' difficile che un farmaco ti aiuti a capire cosa vuoi dalla vita; d'altra parte non è detto che ogni persona che soffre di una fobia specifica senta il bisogno di esplorare le profondità della sua personalità.
Insomma, in definitiva le questioni tecniche riguardano i professionisti. Ciò che riguarda il potenziale paziente sono gli scopi, le modalità e la logistica. Credo che sarebbe auspicabile rendere le informazioni su questi aspetti un po' più accessibili al pubblico che è, in defintiva, l'utente della cura e del servizio.
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