apro come sempre un tred che già temo verrà bollato come old, ma poichè il gravedigging è bandito e il tema è quantomeno urgente (seppur fin troppo inflazionato), l'unica soluzione era riproporre....
Ho letto qui e là, in caffetteria come in trash, messaggi di forte disillusione nei confronti non tanto delle istituzioni e dell'epoca in cui viviamo (che trovo tuttosommato capibili e legittime) ma proprio, più o meno implicitamente, nei confronti della vita, dell'esistenza così come si dà a noi, giorno per giorno.
Paura del futuro, paura del presente, paura delle proprie incapacità, inquietudini interiori...
se in qualche maniera la cosa può aiutare altri, mi par giusto condividere questa riflessione.
sono già alcuni anni che mi alzo la mattina con la profonda sensazione che il tempo stia per finire, anzi che è finito: finito per ritrovare la forma fisica, finito per fare esperienze entusiasmanti, per viaggiare in posti nuovi, per trovare il lavoro della mia vita, per prendere una seconda laurea e così via, via, via....
e da questi pensieri è un attimo ad arrivare all'analisi della propria vita, degli errori commessi, dell'immaturità dei 20 anni cattiva consigliera, dei rimorsi e dei rimpianti.
la cosa che mi fa pensare di più però è questa: ogni volta che mi prende un attacco di malinconia e rimpianto, questo pensiero negativo è ovviamente rivolto ai momenti in cui non ho combinato nulla, in cui avrei dovuto fare e non ho fatto, in cui c'era da agire e sono rimasto immobile, in cui c'era da studiare e non ho studiato, allenarsi e non mi sono allenato e così via.
bene: in quei momenti ero immobile per una sola ragione: invece di agire, ero paralizzato in pensieri negativi e nostalgici in cui mi deprimevo e mi crogiuolavo nell'apatia. proprio come in questi ultimi anni che mi alzo la mattina e penso che è finito il tempo per riprendersi.
quello che voglio cercare di dirvi è che il tempo finisce nel momento in cui DECIDETE di farvi soggiogare dal pensiero della fine.
il tempo in realtà finisce solo in due casi:
1) quando si muore (veramente)
2) quando si smette di lottare per andare a prendersi il meglio.
nel primo caso c'è poco da fare, ma almeno la cosa è democratica - tocca davvero tutti
nel secondo caso invece il controllo è possibile ma più complesso: è la sottile differenza tra l'agire e l'essere agito. tra il determinarsi autonomamente e l'essere determinato dal contesto circostante.
se è vero che siamo agenti (participi ATTIVI) e non agiti (participi PASSIVI), dobbiamo tenere a mente, nei momenti di sconforto, di perdita di lucidità e di consapevolezza dei propri limiti e possibilità, che la nostra vita è nelle nostre mani. ogni giorno decidiamo come deve andare la nostra giornata e se dobbiamo adeguarci oggi alle forze maggiori che imbrigliano le nostre azioni a clichè predefiniti, non significa che non abbiamo più tempo per contrastare queste forze in un futuro non troppo lontano per poterle piegare alla nostra volontà.
ci vuole pazienza, spirito di sopportazione e tenacia: ci vorrà forse più tempo di quello che avevamo previsto per raggiungere certi traguardi, ma se questi obiettivi li facciamo davvero nostri, solo la morte potrà frapporsi tra noi e il loro conseguimento.
La vita vi da l'indispensabile per poter raggiungere con le vostre sole forze i vostri obiettivi. se fate il vostro dovere, al resto ci penserà il destino.
questo per dirvi che malinconia, depressione, avvilimento fanno parte del gioco e nessuno pretende che vengano azzerati o debellati (solo gli imbecilli sono sempre felici, vita natural durante): la forza è resistere all'influenza che questi stati possono avere sulle nostre decisioni.
bisogna alzarsi e lavorare comunque e duramente: col sorriso e la spensieratezza in testa, così come con la carogna sulle spalle e l'angoscia nel cuore.
cerchiamo di non fermarci.
questo discorso apparirà mieloso e scontato a tutti coloro che non hanno mai avuto il dispiacere di incontrare momenti di profondo sconforto o che hanno una solida forza di volontà oltreche un equilibrio emotivo ben saldo e stabile.
per tutti quegli altri che sanno di cosa parlo, so per certo che non saranno parole buttate al vento.
Ho letto qui e là, in caffetteria come in trash, messaggi di forte disillusione nei confronti non tanto delle istituzioni e dell'epoca in cui viviamo (che trovo tuttosommato capibili e legittime) ma proprio, più o meno implicitamente, nei confronti della vita, dell'esistenza così come si dà a noi, giorno per giorno.
Paura del futuro, paura del presente, paura delle proprie incapacità, inquietudini interiori...
se in qualche maniera la cosa può aiutare altri, mi par giusto condividere questa riflessione.
sono già alcuni anni che mi alzo la mattina con la profonda sensazione che il tempo stia per finire, anzi che è finito: finito per ritrovare la forma fisica, finito per fare esperienze entusiasmanti, per viaggiare in posti nuovi, per trovare il lavoro della mia vita, per prendere una seconda laurea e così via, via, via....
e da questi pensieri è un attimo ad arrivare all'analisi della propria vita, degli errori commessi, dell'immaturità dei 20 anni cattiva consigliera, dei rimorsi e dei rimpianti.
la cosa che mi fa pensare di più però è questa: ogni volta che mi prende un attacco di malinconia e rimpianto, questo pensiero negativo è ovviamente rivolto ai momenti in cui non ho combinato nulla, in cui avrei dovuto fare e non ho fatto, in cui c'era da agire e sono rimasto immobile, in cui c'era da studiare e non ho studiato, allenarsi e non mi sono allenato e così via.
bene: in quei momenti ero immobile per una sola ragione: invece di agire, ero paralizzato in pensieri negativi e nostalgici in cui mi deprimevo e mi crogiuolavo nell'apatia. proprio come in questi ultimi anni che mi alzo la mattina e penso che è finito il tempo per riprendersi.
quello che voglio cercare di dirvi è che il tempo finisce nel momento in cui DECIDETE di farvi soggiogare dal pensiero della fine.
il tempo in realtà finisce solo in due casi:
1) quando si muore (veramente)
2) quando si smette di lottare per andare a prendersi il meglio.
nel primo caso c'è poco da fare, ma almeno la cosa è democratica - tocca davvero tutti
nel secondo caso invece il controllo è possibile ma più complesso: è la sottile differenza tra l'agire e l'essere agito. tra il determinarsi autonomamente e l'essere determinato dal contesto circostante.
se è vero che siamo agenti (participi ATTIVI) e non agiti (participi PASSIVI), dobbiamo tenere a mente, nei momenti di sconforto, di perdita di lucidità e di consapevolezza dei propri limiti e possibilità, che la nostra vita è nelle nostre mani. ogni giorno decidiamo come deve andare la nostra giornata e se dobbiamo adeguarci oggi alle forze maggiori che imbrigliano le nostre azioni a clichè predefiniti, non significa che non abbiamo più tempo per contrastare queste forze in un futuro non troppo lontano per poterle piegare alla nostra volontà.
ci vuole pazienza, spirito di sopportazione e tenacia: ci vorrà forse più tempo di quello che avevamo previsto per raggiungere certi traguardi, ma se questi obiettivi li facciamo davvero nostri, solo la morte potrà frapporsi tra noi e il loro conseguimento.
La vita vi da l'indispensabile per poter raggiungere con le vostre sole forze i vostri obiettivi. se fate il vostro dovere, al resto ci penserà il destino.
questo per dirvi che malinconia, depressione, avvilimento fanno parte del gioco e nessuno pretende che vengano azzerati o debellati (solo gli imbecilli sono sempre felici, vita natural durante): la forza è resistere all'influenza che questi stati possono avere sulle nostre decisioni.
bisogna alzarsi e lavorare comunque e duramente: col sorriso e la spensieratezza in testa, così come con la carogna sulle spalle e l'angoscia nel cuore.
cerchiamo di non fermarci.
questo discorso apparirà mieloso e scontato a tutti coloro che non hanno mai avuto il dispiacere di incontrare momenti di profondo sconforto o che hanno una solida forza di volontà oltreche un equilibrio emotivo ben saldo e stabile.
per tutti quegli altri che sanno di cosa parlo, so per certo che non saranno parole buttate al vento.
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