Pensate mai.. ?

[Virulogo.88]

Il partito degli agnostici in effetti parrebbe essere il più numeroso

[600]

Dopo la morte di solito c'è il funerale

[Reno Raines]

Io posso solo sperare che dopo la morte non ci sia la possibilità di guardare sulla terra e sentire gente che chiede se c'è vita dopo la morte..

[zajka]

A cosa ci sia dopo la morte

Sì, ci penso, anche piuttosto frequentemente. Ma ti confesso che l'idea della morte mi spaventa più nella sua manifestazione ai viventi: la scomparsa delle persone care ti fa vivere un dolore che non è paragonabile a nient'altro. Pur essendo atea, ho capito solo alla prima dolorosa scomparsa di un parente che in questi momenti, quando tutto è finito e non riesci a fartene una ragione, quello che ti resta, prima di arrivare alla rassegnazione, è una segreta speranza che, in realtà, non sia finita... e che la persona sia andata laddove non è sola, dove ha trovato la sua pace.

[Manx]

Il partito degli agnostici in effetti parrebbe essere il più numeroso

ehm...se ti riferisci alla mia posizione, semmai è "gnostica" e non "agnostica". Ma anche la prima definizione "gnostica", se viene ricondotta a quanto ho detto io, è del tutto sbagliata e travisata, in quanto lo gnosticismo, originariamente, e nel significato a lui attribuito dalla storia delle religioni e dalla filosofia delle religioni...è tutt'altro, anzi, opposto o quasi a quanto ho detto io

[Caredds]

belle parole zajka. Hai perfettamente ragione.. la propria morte (per quanto possa essere dolorosa) si realizza in un attimo e dopo esso tutto finisce (o inizia?); quando muore un caro l'agonia è molto più lunga.

[Sean]

C'è piuttosto molto indifferentismo, almeno in Europa, dove si vive un cristianesimo "ateo" (cristiani per cultura e tradizione, ma assolutamente indifferenti nella pratica e nell'intimo). Nel mondo occidentale, poi, il tema della morte è stato praticamente accantonato, come se nessuno dovesse morire più. Della morte è sconveniente parlare, non è argomento da salotto, da aule scolastiche nè, ormai, da ricerca filosofica. Anche le religioni sembra facciano a gara a parlarne il meno possibile: i novissimi sono tra i temi più negletti dai preti. E' il trionfo del vitalismo esasperato e plasticato che ci hanno offerto e ci offrono questi decenni di luminarie tv. Vecchi che invece di pensare al trapasso stanno a sculettare in improbabili show televisivi, o in qualche club a cercare l'ultima "botta di vita"; i giovani che non hanno più rispetto per quella stessa vita, dato che l'argomento della sua fine viene bandito. E così la morte, tema originario e centrale di una immensità di riflessioni e che ha prodotto opere e culture, non trova più posto nelle noste vite, salvo riprendersi quel posto al momento giusto, quello suo da sempre. E l'uomo, avendo perso gli strumenti più adatti (filosofici o religiosi) per affrontare quell'istante capitale, si trova spiazzato e inquieto, come di fronte ad una rimozione forzata ma non troppo ben riuscita proprio perchè innaturale.

In questo senso, non parlare più della morte non è un segno di una società particolarmente progredita, ma anzi di un sistema malato alle sue radici. Ogni giorno ciascuno dovrebbe rivolgere un pensiero alla morte, proprio perchè quel decreto inevitabile è il miglior maestro che ha l'uomo per abbassare la sua superbia, l'orgoglio, le scelte frettolese, la vanità inutile e per imparare l'ubbidienza ed il rispetto. La morte obbliga ad un ordine nella vita, negli affetti, nelle cose pratiche, nell'uso che facciamo del nostro tempo: rende a tutto questo un valore, lo illumina di una sua unicità. E' una civiltà (ed una vita) vuota e che si riempie di idoli quella che non ha davanti a sè il senso della finitudine: ci si abbassa dalle vette della vita e della morte a quelle delle miserie e delle contingenze, diventando così schiavi del denaro, del sesso, del piacere, del cibo, della materialità. Molto al di là dall'essere una società atea, la nostra adora tanti piccoli e falsi dei: ipocriti, come l'uomo che nasconde a se stesso che, alla fine, sta una verità immutabile: dovremo morire, e non saremo noi (nonostante la nostra presunzione, il nostro abnorme IO) ad avere l'ultima parola.

[Manx]

In questi casi è l'impotenza di fronte alla morte che distrugge e logora. E anche il piu' pio cristiano non supera "facilmente" questi momenti...cosi' come il piu' materialista degli atei...in questi casi ha la "tentazione" della fede (ho assistito di persona ad una "conversione" di un anziano del mio paese...comunista fino all'osso, bestemmiatore incallito che non salutava nemmeno il parroco - suo vicino, tra l'altro. Morta la moglie...per anni il sabato sera e la domenica mattina era in prima fila alla messa).

edit: rispondevo a zaika/caredds.

[thetongue]

nn lo so ma mi importa lasciare un segno

si ma se non esisterai piu' che te frega? non ha senso

[Sergio]

A me hanno lasciato un segno sull'auto, forse era uno che era morto.

[ilcatigamatti]

A me hanno lasciato un segno sull'auto, forse era uno che era morto.

sono io che faccio le prove

[ma_75]

Poeti, filosofi, scienziati hanno discusso di questo che è l'interrogativo per eccellenza dell'uomo e, come è naturale che sia per un problema al quale non possiamo applicare il metodo scientifico, non hanno potuto fare altro che formulare ipotesi. In casi in cui non esiste la prova non rimane che la fede, non intesa in senso religioso, ma come fiducia in una opinione. Da cosa nasca questa fiducia è difficile dire; per alcuni è frutto dell'educazione ricevuta, per altri delle letture fatte ma tenderei a diffidare di chiunque sia sicuro di possedere la risposta esatta. E' vero che nessuno è tornato per raccontarci cosa vi fosse (salvo Dante, ovvio) ma questo, cioè la non tangibilità del post mortem, non è certo una prova. Non lo sono scientificamente tutti gli argumenta ex silentio, specie quando pensiamo a quante cose esistono senza che noi le vediamo. Vedere è diverso da percepire, e tutto ciò che è spirituale, ossia che riguarda lo spirito, è percepito, non visto. Negare l'esistenza di un post mortem sulla base di questo implica negare in radice l'esistenza dell'anima, legare l'uomo alla sua sola dimensione terrena e, vorrei dire, animale. Questo sarebbe il più grave torto che noi possiamo arrecare all'uomo: abbassarlo al livello bestiale. E, sebbene la nostra società sia una società sempre più materialistica e sempre meno metafisica, non credo nessuno di noi si consideri poco più di un babbuino (per quanto la trash di bodyweb inclini questa sicurezza).
E' evidente, per contro, che l'idea di una dimensione ultraterrena sia strettamente collegata al sorgere del pensiero magico-religioso, probabilmente per la stessa convinzione dell'uomo di misurarsi con una dimensione che non era in grado di comprendere e che, quindi, richiedeva un'autorità superiore ma, qui, veramente, lascerei da parte le diatribe credenti/atei: sarebbe una banalizzazione e una mortificazione di un interrogativo che chiunque, credo, si sia sempre posto.
Quel che è certo è che in quell'attimo preciso la nostra dimensione cambierà: se per unirci al nulla eterno (alla suggestiva immagine della polvere di stelle) o per ricongiungerci all'essere supremo nessuno lo saprà mai.

ἀλλὰ γὰρ ἤδη ὥρα ἀπιέναι, ἐμοὶ μὲν ἀποθανουμένῳ, ὑμῖν δὲ βιωσομένοις: ὁπότεροι δὲ ἡμῶν ἔρχονται ἐπὶ ἄμεινον πρᾶγμα, ἄδηλον παντὶ πλὴν ἢ τῷ θεῷ.

(ma vedo che è tempo ormai di andar via, io a morire, voi a vivere. Chi di noi avrà sorte migliore, occulto è a ognuno, tranne che al dio....)

[Caredds]

Sono veramente entusiasta delle risposte ricevute sin'ora, danno molti spunti di riflessione.

[Manx]

Sono veramente entusiasta delle risposte ricevute sin'ora, danno molti spunti di riflessione.

la prossima volta pero' apri direttamente in caffetteria, cosi' eviti il cartellino e hai reply con giudizio

[Caredds]

la prossima volta pero' apri direttamente in caffetteria, cosi' eviti il cartellino e hai reply con giudizio

ho agito senza pensare dieci secondi, la prossima volta andrà diversamente