Frammenti di un discorso amoroso

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    Frammenti di un discorso amoroso

    E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto!...(1)

    Il discorso amoroso declinato per frammenti, l'amore detto attraverso le figure retoriche che lo compongono. Ciascun innamorato ne è o ne è stato il protagonista. E' il soggetto che vive l'amore, che proietta nell'oggetto desiderato e amato le sue fragili certezze, più spesso le sue ansie, le sue paure, i suoi sogni, le sue nostalgie. E' solo l'io a poter dire dell'amore: ma per frammenti, allegorie, illuminazioni. L'innamorato è incapace di parlare dell'amato in senso compiuto e descrttivo: ha terrore della parola, della gabbia che questa comporta e dunque del giudizio, della colpa, della banalizzazione di quel sentimento amoroso nel quale si sente sprofondato, protagonista a metà di una terra che condivide (o crede di condividere) con un solo altro essere umano, il suo amato. Eppure, le figure retoriche dell'amore (che si ripetono per ogni singola storia e in ogni tempo, sempre simili a se stesse, autentiche divinità inamovibili e pur sempre misteriose), queste figure retoriche - l'abbraccio; l'angoscia; l'annullamento; l'appagamento; l'assenza; la dichiarazione; l'esilio; l'identificazione; il corpo; il piangere; il possesso; l'addio - che l'innamorato vive dovrebbero convincerlo che non è il solo abitante, assieme al suo amato, di quella terra traballante e incerta che è l'esperienza amorosa. C'è tutta una umanità che si identifica con lui e attraverso lui, cittadino di un topos che lo fa, al tempo stesso, contemporaneo di un lontanissimo passato e di un altrettanto lontano futuro.

    Parlando dell'innamorato che si prepara all'appuntamento col suo amato, Barthes (2) scrive: "In vista di un appuntamento che mi esalta, io faccio accuratamente la mia toilette. Questa parola non ha solamente un significato di graziosità; senza parlare dell'uso scatologico che se ne fa, essa designa anche i preparativi ai quali viene sottoposto il condannato a morte prima di essere condotto al patibolo. Vestendomi, io faccio bello ciò che sta per essere guastato dal desiderio". L'innamorato che si fa bello è assimilato ad un condannato che sta per incontrare il suo carnefice. Questa stessa immagine la ritroviamo nei versi di una poetessa (3) del VI sec. a.c. Appena incontra l'oggetto del suo desiderio, ecco che


    Rapido fuoco affiora alle mie membra,
    e ho buio negli occhi e il rombo
    del sangue alle orecchie.
    E tutta in sudore e tremante
    come erba patita scoloro:
    e morte non pare lontana
    a me rapita di mente.

    La passione ci conduce al limite della esperienza sopportabile, quasi al confine con la morte stessa. A quanti di noi è capitato? Se quella è una delle liriche più famose dell'intero Occidente, Saffo non può certamente essere stata la sola a vivere il disfacimento della toilette per la quale si era, immagino, così amorevolmente preparata.

    L'agonia dell'innamorato secondo Barthes: "Lo psicotico vive nel timore del crollo, e vi sono dei momenti in cui un paziente ha bisogno che gli si dica che il crollo la cui paura mina la sua vita è già avvenuto. Lo stesso avviene, a quanto sembra, per l'angoscia di amore: essa è la paura di una perdita che è già avvenuta, sin dall'inizio dell'amore, sin dal momento in cui sono stato stregato. Bisognerebbe che qualcuno potesse dirmi: non essere più angosciato, tu l'hai già perduto/a".

    E l'appagamento: "Il fatto è che, se è incoerente esprimere malamente l'infelicità, per contro, nel caso della felicità, sarebbe una colpa sciuparne l'espressione: l'io parla solo quando è ferito; quando mi sento appagato o mi ricordo di esserlo stato, il linguaggio ci appare angusto: io sono trasportato fuori dal linguaggio, cioè fuori del mediocre, del generico. Appagamento vuol dire abolizione dei retaggi. La Gioia vuole se stessa, l'eternità, la ripetizione delle stesse cose, essa vuole che tutto resti com'è. L'innamorato appagato non ha alcun bisogno di scrivere, di trasmettere, di riprodurre". Sarà per questa afasia dell'amore nella sua pienezza che si dice che l'arte nasce dal dolore? L'innamorato appagato è muto: o è capace di fare arte della sua esperienza amorosa o sarebbe meglio il silenzio attorno a ciò che vive/ha vissuto. Sarà per questo che Edgar Lee Masters (4) dell'amore fa parlare solo i morti?...


    Da ragazzo
    non potevo correre nè giocare
    .
    Da uomo potei solo sorseggiare dalla coppa,
    non bere -
    perchè dopo la scarlattina m'era rimasto il cuore
    malato.
    Eppure riposo qui
    consolato da un segreto che solo Mary conosce:
    c'è un giardino di acacie,
    di catalpe e di pergole dolci di viti -
    là, quel pomeriggio di giugno a fianco di Mary -
    mentre la baciavo con l'anima sulle labbra
    l'anima d'un tratto volò via.

    E ancora: "Nel panico amoroso, ho paura della mia propria distruzione, che, improvvisamente intravedo, certa, ben formata, nel lampo della parola, dell'immagine. Manipolare l'assenza significa far durare questo momento, ritardare il più al lungo possibile l'istante in cui l'altro potrebbe, dall'assenza, piombare bruscamente nella morte". Tutto questo e molto, molto altro ancora racchiude il cuore dell'innamorato. C'è da chiedersi se l'oggetto del suo amore lo saprà mai. La figura dell'androgino diviso che cerca la propria metà (e dunque l'abbraccio, un ritorno, dice Barthes, nel seno della madre, nella completezza del Tutto) è quella che più rispecchia l'innamorato diviso dall'oggetto del suo amore: "Talvolta mi succede di sopportare bene l'assenza. Questa assenza ben sopportata non è altro che l'oblio. A intermittenza, io sono infedele. E' la condizione per la mia sopravvivenza; poichè se io non dimenticassi, morirei. L'innamorato che non dimentica qualche volta muore per eccesso, fatica e tensione di memoria" Tutto questo sta nel cuore di chi ha fatto o fa esperienza di amore. L'amato saprà mai ciò che ha abitato o abita quel cuore? La grande contraddizione, il gigantesco spasimo, il mistero finale e ineffabile di un cuore che ama (5):


    ...Ma tu eri molto di più.
    E qualche volta ce ne siamo accorti
    quando la sera entravi nella sala;
    allora ci rendevamo conto: perciò
    preghiamo, e ora tante cose ti seguono, per la strada
    che solo tu conosci.
    E l'hai dovuta imparare.
    L'hai imparata ieri...

    Lunghe schiere di monache
    in te discendono, pozzo profondo;
    è scuro dentro di te.
    Lungo le tue vene vuote
    si affollano per giungere al tuo cuore. Si incontravano lì
    i tuoi dolori e le tue piccole dolcezze
    e i tuoi ricordi - Ora si aggirano
    in preghiera nel tuo cuore,
    che, buio, rimane aperto a tutti.


    ______________________________

    1) Giuseppe Ungaretti, Il Dolore

    2) Roland Barthes, Frammenti Di Un Discorso Amoroso

    3) Saffo, Come Uno Degli Dei, Felice - Nella traduzione di Salvatore Quasimodo

    4) Edgar Lee Masters, Antolgia Di Spoon River

    5) Rainer Maria Rilke, Requiem per Gretel


    ...ma di noi
    sopra una sola teca di cristallo
    popoli studiosi scriveranno
    forse, tra mille inverni
    «nessun vincolo univa questi morti
    nella necropoli deserta»

    C. Campo - Moriremo Lontani


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    #2
    Il dito sulla maschera

    "L'amore mi sconvolge. Anche se sono calmo, tremo all'idea che questa calma venga meno, e l'inquietudine mi impedisce di assaporare in essa il diletto. Il minimo strappo porta via tutta la pezza. Impossibile non fare precipitare le cose al peggio. Niente mi impedisce di perdere la bussola mentre si trattava soltanto di un passo falso. Aspettare è un supplizio; possedere è un altro supplizio, per paura di perdere ciò che ho".

    Cocteau (1) ci introduce alla più tipica delle (tragiche) figure amorose nella quale l'innamorato si perde, incapace di giungere ad una soluzione per lui soddisfacente, quella del "possesso" dell'oggetto amato. Il desiderio di possedere ogni istante e ogni più intimo pensiero dell'altro porta l'innamorato a rivelare al mondo (e all'amato) le fatali crepe che sfigurano la delizia del suo essere in amore. Questa scissione, questo turbamento angosciano a tal punto l'innamorato da fargli commettere - nel rapporto amoroso - tutta una serie di errori che, sovente, portano alla distruzione stessa del rapporto e della figura amata. L'eccesso di amore, il "di più" che l'innamorato vive nel suo mondo ideale trova tanti ostacoli nel comportamento ignaro e innocente di chi nulla sospetta (l'amato) sino a che l'amante - non potendo più trattenere le sue passioni - esonda, precipitando nel terrore di aver rovinato tutto, "si trattava solo di un piccolo passo falso"...

    Barthes (2) su questo topos così comune: "Partito per le vacanze senza di me, dal giorno della sua partenza, X...non mi ha più dato alcun segno di vita: incidente? scipero delle poste? indifferenza? tattica a distanza? esercizio di un voler-vivere temporaneo o semplice innocenza? (...) La cosa mi angoscia sempre di più: passo attraverso tutti i quadri della scenografia dell'attesa. Ma quando X si farà vivo, che cosa gli dirò? Dovrò nascondergli il mio turbamento (come va?)? Farlo esplodere aggressivamente (E' mica bello, avresti almeno potuto...)? O con passione (non sai in che agitazione mi hai messo...)? Oppure, lasciar filtrare questo turbamento delicatamente, leggermente, per renderlo manifesto senza farlo pesare all'altro (ero un pò in pensiero...)? A questo punto sono colto da una seconda angoscia: quella di dover decidere quale grado di pubblicità dare alla mia prima angoscia".

    L'innamorato si trova scisso non solo nella impossibilità ontica di poter essere "completamente e veramente" uno col suo amato, ma pure all'interno del proprio io, in opposizioni che non hanno apparente soluzione. Da qui i dubbi, le gelosie, le scenate, i sensi di colpa e tutta quella atroce sfilata di maschere dolorose che l'innamorato indossa precipitando in quella che sente come l'anticamera del disastro finale. Barthes:

    "Sono coinvolto in un doppio discorso da cui non posso uscire. Da una parte mi dico: e se l'altro, per qualche particolare disposizione della sua struttura, avesse bisogno della mia domanda? Non potrebbe allora giustificarsi il mio abbandono alla espressione letterale, al dire lirico della mia passione? L'eccesso, la follia, non sono forse la mia verità, la mia forza? (...) Ma, d'altra parte, mi dico: i segni di questa passione rischiano di soffocare l'altro. Non sarebbe perciò meglio, proprio perchè lo amo, nascondergli quanto lo amo?"

    Siamo qui completamente immersi nella doppiezza dell'amore. Il terreno è diventato improvvisamente periglioso, l'innamorato non sa - a questo punto della sua storia amorosa - quale è il sentiero giusto e salvico da imboccare. Non lo sa neppure Barthes:

    "Vedo l'altro con occhio sdoppiato: ora lo vedo come un oggetto, ora come un soggetto; esito tra la tirannia e l'oblazione. In tal modo finisco per fare a me stesso un ricatto: se amo l'altro sono tenuto a volere il suo bene; ma in questo caso non posso che farmi del male: tranello: io sono condannato a essere o un santo o un mostro".

    Essere santo o essere mostro: a questo porta la passione amorosa quando imbocca - fatalmente - la strada del desiderio del possesso dell'oggetto amato? Ci si può anche chiedere: è un amore maturo questo che mette l'amante nelle condizioni di fare o il bene dell'altro (sciogliendo i vincoli passionali, sopendoli, mimetizzandoli) o il suo stesso male ("regalando" la libertà all'amato, dunque allontanandolo da sè)? Tanti soggetti amorosi cadono vittima di queste opposizioni. Pavese, nel frontespizio del suo "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi" scrisse che "maturare è tutto". Credo intendesse riferirsi al desiderio, al sogno di un amore maturo, sciolto dalle tragiche antinomie della passione che vuol possedere sino a distruggere ciò che ama o se stessa. Per Pavese, restò solo una ultima aspirazione, un lascito estremo messo sulla carta.

    Barthes: "Imporre alla mia passione la maschera della discrezione (della impassibilità). E tuttavia, nascondere totalmente una passione è inconcepibile (...) perchè, nella sua essenza, la passione è fatta per essere vista: bisogna che il nascondere si veda: sappiate che io sto nascondendo qualcosa: bisogna che insieme la cosa si sappia e non si sappia: che si sappia che non voglio darlo a vedere: ecco il messaggio che io rivolgo all'altro. Cammino col dito puntato sulla maschera: metto una maschera sulla mia passione, ma con un dito discreto (e scaltro) indico questa maschera".

    Io non conosco altro e più alto modo di uscire dalla impasse del doppio amoroso delle figure del possesso e della libertà, del male per sè e del bene per l'altro, che la via che indica - poetando magnificamente - ancora Rilke (3). Credo che proprio a questa forma/comprensione di amore intendesse riferirsi Pavese col suo "maturare è tutto". Di imboccare questo sentiero, è l'augurio migliore da farsi ad un soggetto innamorato ed al suo amato, perchè possano - assieme, aiutandosi - radicarsi uno dentro l'altro, arrivando a comprendere che nessuna altra forma di "possesso" è possibile e concepibile qua su questa terra, in questa vita. Qui concludendo:



    Dov'è l'uomo che ha diritto al possesso?
    Chi può possedere ciò che non ha tempo,
    ciò che di volta in volta è felicità
    e poi sfugge
    , come la palla
    dalle mani di un bambino?

    Perchè se esiste è questa la colpa:
    di non essere la libertà di chi
    si ama, con tutta la libertà che è in noi. Amando
    abbiamo solo questo: non legare
    l'altro, perchè il legame è facile
    e non bisogna certo conquistarlo.

    ...Se ci sei allora sentimi, devi aiutarmi.
    Guarda, noi precipitiamo
    in ogni nostro progresso,
    senza sapere quando, diretti
    a qualcosa che ci sfugge, e impigliati
    dentro di noi come un sogno
    muoriamo senza risvegliarci.

    Nessuno va oltre a questo. Può accadere
    a chiunque abbia spinto le sue forze
    in un faticoso progetto
    di non poterlo mantenere
    e trascinato dal suo stesso peso
    di lasciarlo cadere, sfinito.

    Per questa antica repulsione che vedo
    tra la vita e l'opera compiuta
    tanto che ne parlo: aiutami.

    Aiutami,
    e perchè tu non ti perda, come a volte
    le cose che più mi mancano: resta dentro di me.




    ________________________________


    1) Jean Cocteau, Il Libro Bianco

    2) Roland Barthes, Frammenti Di Un Discorso Amoroso

    3) Rainer Maria Rilke, Per Una Amica
    Last edited by Sean; 05-10-2011, 20:32:40.
    ...ma di noi
    sopra una sola teca di cristallo
    popoli studiosi scriveranno
    forse, tra mille inverni
    «nessun vincolo univa questi morti
    nella necropoli deserta»

    C. Campo - Moriremo Lontani


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