Non ero nato al tempo, ma tramite le testimonianze di chi ha vissuto in prima persona la situazione, mi hanno fatto capire chiaramente cosa ha provato in quei dannatissimi giorni di fuoco, sembrava proprio di averla vissuta in prima persona.
Fu una tragedia che Tempio mai dimenticherà, e renderà sempre onore ai 9 volontari periti nell’incendio, oltre all’eterno ringraziamento verso i 15 superstiti (decorati con la medaglia al valor civile, anche se porteranno con sé per sempre i segni fisici e psicologici di quel evento) nella speranza che ACCADA mai più.
Grazie a loro si potè evitare una tragedia ancora più grande.
Fonte : blog vari e modifiche effettuate dal sottoscritto.
Il 28 luglio del 1983 era un giovedì.
Nella notte tra il sabato e la domenica precedenti, dei criminali avevano appiccato le fiamme nelle campagne tra Viddalba e Aggius.
Poi l’incendio raggiunse Aglientu e Luogosanto. Le lingue di fuoco arrivarono, la domenica, a Bortigiadas e attaccarono la collina di Curragghja. Molte case vennero evacuate, mentre dal canalone della Fumosa arrivava un vento forte che spingeva le fiamme con un’incredibile velocità fino alla collina che dominava la città di Tempio Pausania : Curragghja
Le concause che favorirono l’incendio furono un ondata di caldo torrido che già da giorni imperversava in Gallura, con punte di 41° e un fortissimo vento di maestrale alternato a scirocco delle volte.
Le campane delle chiese di Tempio, Aggius, Bortigiadas, Luogosanto suonano all’impazzata per diffondere un appello: servono volontari per aiutare ad arginare le fiamme.
Lì c’erano trecento uomini, tra forestali e volontari. In un baleno fu l’inferno. I vaporizzatori dei forestali esplosero per la temperatura troppo alta, non restava altro da fare che tentare l’impossibile con frasche e tanta forza di volontà.
La radio locale chiama tutti ad aiutare e gli abitanti delle zone colpite si riuniscono in gruppi per dare una mano, anche in bermuda e ciabatte, ma con un pò d’acqua da bere e qualche panino da offrire ai vigili del fuoco e agli uomini della forestale che non si fermano da giorni.
Ai più volenterosi i Forestali forniscono tute e guanti e li mandano sui lati del fronte del fuoco, per attaccarlo dai fianchi.
Per giorni gli uomini della zona, ma anche i forestieri, si avvicendano sul fronte del fuoco. La notte tornano negli alloggi ricoperti di fuliggine ma dalle docce non scende nemmeno una goccia d’acqua.
L’acqua è finita: non ce n’è per spegnere le fiamme, non ce n’è per sopravvivere.
Il caos.
E il fuoco continua ad avanzare verso Tempio Pausania distruggendo tutto ciò che trova, senza sosta, alimentato dal forte vento e dal caldo che non dava tregua.
E’ il 28 luglio 1983 . Dopo giorni di lotta senza tregua le campane continuano a suonare. C’è bisogno di mani forti e di braccia che provino a fermare la devastazione.
L’ordine è uno solo: “Non bisogna lasciar saltare il fuoco, non bisogna lasciargli attraversare la strada”.
Ma, ovviamente, non fu sufficiente.
Al di là della strada che si snoda all’inizio dell’abitato di Tempio, infatti, ci sono i castagni e la pineta.
Il fuoco aumenta, divora l’ossigeno e succede il peggio: le lingue infuocate, che sembrano uscire da un gigantesco lanciafiamme, scavalcano la strada.
Un gruppo di volontari si trova in trappola: le fiamme li circondano su tre lati. Nell’unico lato libero c’è una piazzola che, però, si apre su una scarpata ripida. Non si può andare da nessuna parte. Non c’è via di fuga.
Dieci, forse quindici uomini si buttano a terra e cercano di proteggersi in qualunque modo: chi mette la faccia a terra, dentro la sabbia, chi si protegge il volto con le mani.
Pochi secondi, forse qualche minuto. Lunghi una vita intera.
Urla si alzano da quella maledetta piazzola, invocazioni di aiuto, grida di disperazione.
Alle fiamme e alle urla si unisce un fumo denso e tossico: una discarica abusiva viene divorata dal fuoco e appesta con il suo fumo nocivo l’aria già infernale.
Ad un certo punto il vento gira e apre un varco fra le fiamme: pochi secondi per attraversarlo, nel fumo che si taglia a fette. Fra i sopravvissuti, uno ha la maglietta in fiamme e un compagno gliela spegne addosso.
Un uomo ha con se una borraccia: non beve l’acqua ma se la butta sulla testa. Appena il tempo di sentire un minimo di refrigerio, e sviene. Quando si riprende chiede acqua senza sosta. Viene caricato su una macchina e, mentre è in braccio a diversi uomini che lo soccorrono, vede venir via dalle sue braccia lembi di pelle intera.
I carabinieri, che hanno istituito un posto di blocco, hanno l’ordine di non far passare nessuno. Il conducente dell’auto con il ferito a bordo perde la calma, apostrofa in malo modo gli agenti e finalmente riesce a dirigersi verso l’ospedale, mentre l’uomo sviene e rinviene in continuazione.
Dopo le prime cure, con tre flebo attaccate, viene trasferito a Sassari, insieme ad altri 3 superstiti dell’incendio. Il mattino dopo i 4 vengono messi su un piccolo aereo e trasferiti d’urgenza al Centro Traumatologico Ortopedico di Torino.
Uno dei feriti muore durante il volo. A terra la conta delle vittime prosegue e non si fermerà per giorni.
All’arrivo a Torino il responso dei medici è tragico: gli uomini quasi sicuramente non avrebbero passato la mezzanotte.
La notte fortunatamente passa e iniziano le terapie: decorticazione ogni giorno, cioè l’eliminazione delle croste e della pelle morta da tutto il corpo, con il bisturi. Ogni santo giorno l’operazione si ripete.
Sui letti non ci sono lenzuola ma fogli di nylon, per impedire alla pelle di attaccarsi alla stoffa, ma ogni movimento riapre le ferite.
Altri sopravvissuti vengono ricoverati al CTO di Torino e il personale viene precettato: per un mese e più le stesse persone, con un’abnegazione da medaglia, si prendono cura dei feriti.
Durante le notti, dolorosissime, gli incubi si impadroniscono del sonno dei superstiti: fiamme che bruciavano le loro case, lingue di fuoco che avvolgevano i loro cari.
L’incendio non aveva bruciato solo la loro terra e la loro pelle, aveva violentato la loro anima.
Due mesi di ricovero in camera sterile, due trapianti di pelle, altri lunghissimi mesi di ricovero in reparto.
Dopo tantissimo tempo, finalmente, i feriti rientrano a Tempio.
Centinaia di persone li attendono sotto casa, ma loro, il giorno stesso del ritorno in città, chiedono una sola cosa: andare a Curragghja.
Vogliono andare a vedere quello che è stato il loro calvario, che ancora li perseguita nei sogni e che li rende incubi.
Un amico li accompagna.
In mezzo alla devastazione, ai mozziconi neri che rendono lunare la collina dove prima si stendevano castagneti rigogliosi, piangono i loro 9 amici che lì, in quelle fiamme, hanno perso la vita.
Un’apocalisse.
Tonino Manconi, segretario della Comunità Montana; Silvestro Manconi e il suo parente Mario Ghisu, impegnati nella decortica del sughero a Tempio; il Maresciallo Salvatore Pala e Diego Falchi, del corpo della Forestale, che hanno lottato senza posa per tre giorni e tre notti contro le fiamme; Nino Visicale e Tonuccio Fara; Gigi Maisto, che è spirato alcuni giorni dopo e Claudio Migali, che è deceduto sul volo per Torino.
Oggi è il 28 luglio 2011: sono passati 28 lunghissimi anni.
Si celebra la giornata di lutto per i 9 Martiri di Curragghja, come accade appunto dal 1983, a quali nel 2007 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito la Medaglia d’oro al Valore Civile.
Successivamente, il 28 Luglio 2009, alla presenza del Governatore della Sardegna Ugo Cappellacci, sono state assegnate le medaglie al valore anche ai sopravvissuti a quella tragedia.
Fortissimi polemiche sul funzionamento dell’apparato antincendio nell’immediato post-incendio, ritenuto inadeguato di fronte alle emergenze, carenza di personale per via dei pochi fondi dal ministero, aerei che dovettero decollare dal resto d’Italia (I canadair erano una chimera all’epoca!), con notevoli ritardi, fatto sta che non diedero la giusta importanza al rischio incendi in Sardegna da parte del Ministero.
Si dà il fatto che mesi dopo quella tragedia fu potenziato del triplo tutto ciò che concerne l’antincendio.
Uno dei superstiti, Giuseppe Sotgiu, ha chiuso una sua intervista con questa frase:
“Auguriamoci che questa data venga ricordata per quello che è successo a Curragghja, con la speranza che, davvero, non abbia a succedere più.”
La mappa dove ho selezionato l’area interessata dal rogo seguendo le indicazioni (il punto rosso indica l’origine del rogo, l’area colpita è la striscia blu), son circa 35 km di fronte fino a Curragghja e 110-120 mila ettari di terreno bruciati.
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Link alle gallerie delle foto, sono molto esplicative :
http://www.28luglio.it/gallery.html
Link sugli articoli dei giornali all’epoca :
http://www.28luglio.it/articoli-stampa-regionale.html
Trailer video commemorativo :
http://www.youtube.com/watch?v=y3MFI0BMM6c
Scusate il post chilometrico, ma mi premeva farvi capire che chi appica incendi è un meschino e un assassino.
Fu una tragedia che Tempio mai dimenticherà, e renderà sempre onore ai 9 volontari periti nell’incendio, oltre all’eterno ringraziamento verso i 15 superstiti (decorati con la medaglia al valor civile, anche se porteranno con sé per sempre i segni fisici e psicologici di quel evento) nella speranza che ACCADA mai più.
Grazie a loro si potè evitare una tragedia ancora più grande.
Fonte : blog vari e modifiche effettuate dal sottoscritto.
Il 28 luglio del 1983 era un giovedì.
Nella notte tra il sabato e la domenica precedenti, dei criminali avevano appiccato le fiamme nelle campagne tra Viddalba e Aggius.
Poi l’incendio raggiunse Aglientu e Luogosanto. Le lingue di fuoco arrivarono, la domenica, a Bortigiadas e attaccarono la collina di Curragghja. Molte case vennero evacuate, mentre dal canalone della Fumosa arrivava un vento forte che spingeva le fiamme con un’incredibile velocità fino alla collina che dominava la città di Tempio Pausania : Curragghja
Le concause che favorirono l’incendio furono un ondata di caldo torrido che già da giorni imperversava in Gallura, con punte di 41° e un fortissimo vento di maestrale alternato a scirocco delle volte.
Le campane delle chiese di Tempio, Aggius, Bortigiadas, Luogosanto suonano all’impazzata per diffondere un appello: servono volontari per aiutare ad arginare le fiamme.
Lì c’erano trecento uomini, tra forestali e volontari. In un baleno fu l’inferno. I vaporizzatori dei forestali esplosero per la temperatura troppo alta, non restava altro da fare che tentare l’impossibile con frasche e tanta forza di volontà.
La radio locale chiama tutti ad aiutare e gli abitanti delle zone colpite si riuniscono in gruppi per dare una mano, anche in bermuda e ciabatte, ma con un pò d’acqua da bere e qualche panino da offrire ai vigili del fuoco e agli uomini della forestale che non si fermano da giorni.
Ai più volenterosi i Forestali forniscono tute e guanti e li mandano sui lati del fronte del fuoco, per attaccarlo dai fianchi.
Per giorni gli uomini della zona, ma anche i forestieri, si avvicendano sul fronte del fuoco. La notte tornano negli alloggi ricoperti di fuliggine ma dalle docce non scende nemmeno una goccia d’acqua.
L’acqua è finita: non ce n’è per spegnere le fiamme, non ce n’è per sopravvivere.
Il caos.
E il fuoco continua ad avanzare verso Tempio Pausania distruggendo tutto ciò che trova, senza sosta, alimentato dal forte vento e dal caldo che non dava tregua.
E’ il 28 luglio 1983 . Dopo giorni di lotta senza tregua le campane continuano a suonare. C’è bisogno di mani forti e di braccia che provino a fermare la devastazione.
L’ordine è uno solo: “Non bisogna lasciar saltare il fuoco, non bisogna lasciargli attraversare la strada”.
Ma, ovviamente, non fu sufficiente.
Al di là della strada che si snoda all’inizio dell’abitato di Tempio, infatti, ci sono i castagni e la pineta.
Il fuoco aumenta, divora l’ossigeno e succede il peggio: le lingue infuocate, che sembrano uscire da un gigantesco lanciafiamme, scavalcano la strada.
Un gruppo di volontari si trova in trappola: le fiamme li circondano su tre lati. Nell’unico lato libero c’è una piazzola che, però, si apre su una scarpata ripida. Non si può andare da nessuna parte. Non c’è via di fuga.
Dieci, forse quindici uomini si buttano a terra e cercano di proteggersi in qualunque modo: chi mette la faccia a terra, dentro la sabbia, chi si protegge il volto con le mani.
Pochi secondi, forse qualche minuto. Lunghi una vita intera.
Urla si alzano da quella maledetta piazzola, invocazioni di aiuto, grida di disperazione.
Alle fiamme e alle urla si unisce un fumo denso e tossico: una discarica abusiva viene divorata dal fuoco e appesta con il suo fumo nocivo l’aria già infernale.
Ad un certo punto il vento gira e apre un varco fra le fiamme: pochi secondi per attraversarlo, nel fumo che si taglia a fette. Fra i sopravvissuti, uno ha la maglietta in fiamme e un compagno gliela spegne addosso.
Un uomo ha con se una borraccia: non beve l’acqua ma se la butta sulla testa. Appena il tempo di sentire un minimo di refrigerio, e sviene. Quando si riprende chiede acqua senza sosta. Viene caricato su una macchina e, mentre è in braccio a diversi uomini che lo soccorrono, vede venir via dalle sue braccia lembi di pelle intera.
I carabinieri, che hanno istituito un posto di blocco, hanno l’ordine di non far passare nessuno. Il conducente dell’auto con il ferito a bordo perde la calma, apostrofa in malo modo gli agenti e finalmente riesce a dirigersi verso l’ospedale, mentre l’uomo sviene e rinviene in continuazione.
Dopo le prime cure, con tre flebo attaccate, viene trasferito a Sassari, insieme ad altri 3 superstiti dell’incendio. Il mattino dopo i 4 vengono messi su un piccolo aereo e trasferiti d’urgenza al Centro Traumatologico Ortopedico di Torino.
Uno dei feriti muore durante il volo. A terra la conta delle vittime prosegue e non si fermerà per giorni.
All’arrivo a Torino il responso dei medici è tragico: gli uomini quasi sicuramente non avrebbero passato la mezzanotte.
La notte fortunatamente passa e iniziano le terapie: decorticazione ogni giorno, cioè l’eliminazione delle croste e della pelle morta da tutto il corpo, con il bisturi. Ogni santo giorno l’operazione si ripete.
Sui letti non ci sono lenzuola ma fogli di nylon, per impedire alla pelle di attaccarsi alla stoffa, ma ogni movimento riapre le ferite.
Altri sopravvissuti vengono ricoverati al CTO di Torino e il personale viene precettato: per un mese e più le stesse persone, con un’abnegazione da medaglia, si prendono cura dei feriti.
Durante le notti, dolorosissime, gli incubi si impadroniscono del sonno dei superstiti: fiamme che bruciavano le loro case, lingue di fuoco che avvolgevano i loro cari.
L’incendio non aveva bruciato solo la loro terra e la loro pelle, aveva violentato la loro anima.
Due mesi di ricovero in camera sterile, due trapianti di pelle, altri lunghissimi mesi di ricovero in reparto.
Dopo tantissimo tempo, finalmente, i feriti rientrano a Tempio.
Centinaia di persone li attendono sotto casa, ma loro, il giorno stesso del ritorno in città, chiedono una sola cosa: andare a Curragghja.
Vogliono andare a vedere quello che è stato il loro calvario, che ancora li perseguita nei sogni e che li rende incubi.
Un amico li accompagna.
In mezzo alla devastazione, ai mozziconi neri che rendono lunare la collina dove prima si stendevano castagneti rigogliosi, piangono i loro 9 amici che lì, in quelle fiamme, hanno perso la vita.
Un’apocalisse.
Tonino Manconi, segretario della Comunità Montana; Silvestro Manconi e il suo parente Mario Ghisu, impegnati nella decortica del sughero a Tempio; il Maresciallo Salvatore Pala e Diego Falchi, del corpo della Forestale, che hanno lottato senza posa per tre giorni e tre notti contro le fiamme; Nino Visicale e Tonuccio Fara; Gigi Maisto, che è spirato alcuni giorni dopo e Claudio Migali, che è deceduto sul volo per Torino.
Oggi è il 28 luglio 2011: sono passati 28 lunghissimi anni.
Si celebra la giornata di lutto per i 9 Martiri di Curragghja, come accade appunto dal 1983, a quali nel 2007 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito la Medaglia d’oro al Valore Civile.
Successivamente, il 28 Luglio 2009, alla presenza del Governatore della Sardegna Ugo Cappellacci, sono state assegnate le medaglie al valore anche ai sopravvissuti a quella tragedia.
Fortissimi polemiche sul funzionamento dell’apparato antincendio nell’immediato post-incendio, ritenuto inadeguato di fronte alle emergenze, carenza di personale per via dei pochi fondi dal ministero, aerei che dovettero decollare dal resto d’Italia (I canadair erano una chimera all’epoca!), con notevoli ritardi, fatto sta che non diedero la giusta importanza al rischio incendi in Sardegna da parte del Ministero.
Si dà il fatto che mesi dopo quella tragedia fu potenziato del triplo tutto ciò che concerne l’antincendio.
Uno dei superstiti, Giuseppe Sotgiu, ha chiuso una sua intervista con questa frase:
“Auguriamoci che questa data venga ricordata per quello che è successo a Curragghja, con la speranza che, davvero, non abbia a succedere più.”
La mappa dove ho selezionato l’area interessata dal rogo seguendo le indicazioni (il punto rosso indica l’origine del rogo, l’area colpita è la striscia blu), son circa 35 km di fronte fino a Curragghja e 110-120 mila ettari di terreno bruciati.
Uploaded with ImageShack.us
Link alle gallerie delle foto, sono molto esplicative :
http://www.28luglio.it/gallery.html
Link sugli articoli dei giornali all’epoca :
http://www.28luglio.it/articoli-stampa-regionale.html
Trailer video commemorativo :
http://www.youtube.com/watch?v=y3MFI0BMM6c
Scusate il post chilometrico, ma mi premeva farvi capire che chi appica incendi è un meschino e un assassino.
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