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In ogni caso la cessione a privati avviene per gara pubblica: una apparenza di procedura concorrenziale è salvata ( art 23-bis comma 4 lett. d ).
Quindi l' obiezione della cessione coatta non è vera o è mal posta
Un altra cosa priva completamente di senso è la definzione di quorum:
Nelle elezioni amministrative è necessario il quorum del 50% +1 (è cioè necessario che ci siano voti validi corrispondenti almeno alla metà più uno degli aventi diritto) qualora ci sia una sola lista candidata.
Da notare la parte evidenziata in nero.Il voto di chi non va a votare dovrebbe essere considerato nullo,non sfavorevole al referendum visto che non è stata espressa un opinione in merito.Il 50% + 1 dovrebbe riguardare le persone che hanno espresso una votazione,non prendendo in considerazione anche chi non va a votare.Si vota SI oppure NO,ma andando a scriverlo,non si puo affermare che chi non va a votare abbia preso gia la decisione,a prescindere,di votare NO.Ma chi le inventa certe stupidità
@corlis: ho letto alcuni tuoi interventi,fammi capire,vorresti un paese all'avanguardia come gli altri paesi europei dove l'indebitamento pubblico venga ridotto e ci sia piu occupazione e tranquillità a livello di lavoro?Il discorso di rischiare e seguire la strada che hanno scelto sull'energia nucleare gli altri paesi è follia.L'italia puo diventare quello che vuoi,piena di centrali nucleari,dove il lavoro sbocca a fiocchi e ci sia una ripresa economica forte,ma in un paese a livello geografico completamente diverso rispetto alla francia e alla germania,a livello sismico intendo,una scelta del genere è un azzardo contro la natura.Gli italiani fanno bene ad avere paura delle centrali nucleari pur non essendo a conoscenza del motivo per cui vale la pena sostenere ciò.Indubbiamente le centrali nucleari porterebbero in italia una ripresa economica sull'energia,e la situazione migliorerebbe non solo in questo settore ma anche nel bilancio finanziario dell'intero paese,ma questa scelta,questa strada per quanto lunga possa essere avrà termine prima di quanto tu possa pensare.Quindi la questione piu che altro è che il nostro paese per organizazzione ma ancor prima di tutto per motivi geografici e sismici non è idoneo ad avere certi vantaggi,che altri paesi per fortuna loro,geograficamente parlando,possono permettersi.Ma apparte tutto questo corlis,la soluzione o meglio l'alternativa al nucleare è gia sotto gli occhi di tutti,come lo è la possibilità di introdurre sul mercato le automobili elettriche,i soldi per incentivare i cittadini italiani a utilizzare l'energia solare e ad avere riguardo nel preservarla senza sprecarla come fanno molti oggi,ci sono,solo che non vengono utilizzati per questi scopi ma per altre questioni banali.Il Probema di fondo è che tutto il sistema è sbagliato,le fondamenta su cui si basa sono state pensate solo in vista del presente,non del domani,non ha un idea di fondo che possa rimanere tale ed essere continuamente migliorata,ma è fatto di scelte l'una totalmente diversa dall'altra che ogni tot anni dovranno essere cambiate e riadeguate.Fare una centrale in italia,vuol dire avere alte probabilità di vedere ripetersi disastri ambientale come quelli fino ad oggi accaduti,e non perchè le centrali sarebero obsolete(sicuramente saremo all'avanguardia come gli altri paesi,se non meglio)ma per cause naturali a cui l'uomo non sarà mai preparato del tutto.
Per quanto riguarda l'acqua oggi il corriere presenta questo editoriale:
LEGGI CARENTI, MA IL NO È MEGLIO
Demagogia sull’acqua
I due referendum sull’acqua affrontano in modo sbagliato e demagogico due problemi veri, aperti dal decreto Ronchi sulla privatizzazione dei servizi idrici convertito in legge dal governo Berlusconi con voto di fiducia, contrari Pd, Idv e Udc, e da un altro decreto del 2006. La propaganda referendaria denuncia la privatizzazione dell’acqua. Ma è una forzatura. Il decreto Ronchi, l’abbiamo scritto nel 2008 e lo ribadiamo oggi, non tocca la proprietà delle risorse idriche. L’acqua è un bene pubblico e tale resta. Il decreto mette in gioco il servizio e conferma la proprietà pubblica di acquedotti, fogne e depuratori, ancorché con qualche lacuna: i regolamenti d’attuazione, infatti, non chiariscono a quali condizioni le migliorie apportate dai gestori passino al concedente pubblico al termine della concessione e nulla dicono sulle infrastrutture già devolute alle municipalizzate e poi confluite addirittura in società quotate come A2A. Liberalizzare i servizi idrici, monopoli naturali come le autostrade, non è facile. Se ne possono solo dare in concessione la costruzione, lo sviluppo e la gestione per un congruo periodo attraverso gare trasparenti e successivi, severi controlli. Un Paese senza pregiudizi farebbe gare aperte a tutte le imprese di accertata solidità e competenza senza badare alla natura pubblica, privata o mista delle proprietà. L’articolo 23 bis del decreto e i successivi aggiornamenti, invece, tendono a privilegiare la mano privata. Con una certa confusione. Essi infatti dispongono l'affidamento dei servizi idrici a soggetti privati attraverso gara europea o l’affidamento a società a capitale misto nelle quali un socio industriale privato, scelto attraverso gara, abbia almeno il 40%. La norma costringe inoltre i Comuni azionisti di ex municipalizzate quotate in Borsa a interrompere la concessione, mettendo a gara il servizio idrico che già svolgono (e non sempre male). Oppure, se vogliono evitare la gara, a ridurre al 30% entro il 2012 la loro partecipazione all’intera azienda (che fa anche molto altro). Alla prima gara, tuttavia, possono partecipare anche i gerenti uscenti, in genere pubblici. Insomma, una Babele. Senza nemmeno il faro di un’Autorità degna. Il primo quesito referendario chiede l’abrogazione dell'articolo 23 bis. Potrebbe essere la classica materia su cui ciascuno si esprime secondo la propria filosofia e la propria percezione della gestione pubblica: diffusi fallimenti, specialmente al Sud; esempi non di rado eccellenti, per lo più al Nord. Ma c’è un dettaglio: la norma si applica ai 64 Ato (Ambiti territoriali ottimali) dove i servizi idrici sono ancora interamente pubblici. E negli altri 28 Ato che cosa si farà? Se vincono i sì, osserva Antonio Massarutto nel suo Privati nell’acqua? Tra bene comune e mercato, editore il Mulino, avremo un’Italia a doppio regime, pubblico e privato, e soprattutto un’Italia che non avrà più l’obbligo di mettere a gara il servizio. Il rischio degli extraprofitti monopolistici o, più spesso, dell’inefficienza clientelare aumenterebbe. Tanto consiglia di votare no, magari turandosi il naso. Il secondo quesito referendario invoca l’abrogazione «dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito», prevista dal decreto n. 152 del 3 aprile 2006. La storia delle privatizzazioni conta ripetute regalie, e questo giornale le ha ripetutamente denunciate. Anche sull’acqua, con l’Autorità debole e subordinata al governo e Comuni compiacenti o maldestri, possono darsi speculazioni. La soglia massima del 7% lordo alla remunerazione del capitale investito è inadeguata data la diversità delle situazioni e delle attività: depurare a Milano è più caro che a Lecce, trasportare a Trento costa meno che a Firenze. D'altra parte, la storia di Parigi, dove la gestione dell’acqua torna pubblica dopo 25 anni, insegna qualcosa a tutti. Ma pensare che la tariffa dei servizi idrici non debba remunerare il capitale è un azzardo. I promotori del referendum possono pur pensare a servizi idrici con tariffe pari ai costi o a carico della fiscalità generale. I politici di Pdl, Lega e Pd che sostengono il sì, molto meno. Sono gli stessi che hanno quotato le maggiori ex municipalizzate in Borsa, dove guadagnare si deve. E come fa Antonio Di Pietro a voler abrogare il principio della remunerazione del capitale che da ministro aveva controfirmato?
Per fermare le dispersioni, assicurare acqua corrente ai 10 milioni di cittadini che l’hanno a intermittenza, collegare alle fogne e ai depuratori il 20-30% che è isolato, servono investimenti dai 65 ai 120 miliardi di euro. L’Italia con il debito pubblico al 120% del Pil non può caricare un simile onere sul bilancio dello Stato o aumentare le tasse per un pari importo. Servono soggetti capaci di attirare capitali privati, anche per rispettare i vincoli europei. Ma i capitali privati non arrivano senza remunerazione. Certo, la cosa si farà sentire in tariffa. Ma a fronte di un servizio migliore e, se ben temperata da una forte Autorità, non si farà sentire troppo: l’acqua resterà in fondo alla scala dei prezzi di un Paese che si svena serenamente per il telefonino. Perciò, e senza turarsi il naso, è consigliabile un altro no.
affrontano in modo sbagliato e demagogico due problemi veri, aperti dal decreto Ronchi sulla privatizzazione dei servizi idrici convertito in legge...
Che ne pensate?
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Per quanto riguarda l'acqua oggi il corriere presenta questo editoriale:
LEGGI CARENTI, MA IL NO È MEGLIO
Demagogia sull’acqua
I due referendum sull’acqua affrontano in modo sbagliato e demagogico due problemi veri, aperti dal decreto Ronchi sulla privatizzazione dei servizi idrici convertito in legge dal governo Berlusconi con voto di fiducia, contrari Pd, Idv e Udc, e da un altro decreto del 2006. La propaganda referendaria denuncia la privatizzazione dell’acqua. Ma è una forzatura. Il decreto Ronchi, l’abbiamo scritto nel 2008 e lo ribadiamo oggi, non tocca la proprietà delle risorse idriche. L’acqua è un bene pubblico e tale resta. Il decreto mette in gioco il servizio e conferma la proprietà pubblica di acquedotti, fogne e depuratori, ancorché con qualche lacuna: i regolamenti d’attuazione, infatti, non chiariscono a quali condizioni le migliorie apportate dai gestori passino al concedente pubblico al termine della concessione e nulla dicono sulle infrastrutture già devolute alle municipalizzate e poi confluite addirittura in società quotate come A2A. Liberalizzare i servizi idrici, monopoli naturali come le autostrade, non è facile. Se ne possono solo dare in concessione la costruzione, lo sviluppo e la gestione per un congruo periodo attraverso gare trasparenti e successivi, severi controlli. Un Paese senza pregiudizi farebbe gare aperte a tutte le imprese di accertata solidità e competenza senza badare alla natura pubblica, privata o mista delle proprietà. L’articolo 23 bis del decreto e i successivi aggiornamenti, invece, tendono a privilegiare la mano privata. Con una certa confusione. Essi infatti dispongono l'affidamento dei servizi idrici a soggetti privati attraverso gara europea o l’affidamento a società a capitale misto nelle quali un socio industriale privato, scelto attraverso gara, abbia almeno il 40%. La norma costringe inoltre i Comuni azionisti di ex municipalizzate quotate in Borsa a interrompere la concessione, mettendo a gara il servizio idrico che già svolgono (e non sempre male). Oppure, se vogliono evitare la gara, a ridurre al 30% entro il 2012 la loro partecipazione all’intera azienda (che fa anche molto altro). Alla prima gara, tuttavia, possono partecipare anche i gerenti uscenti, in genere pubblici. Insomma, una Babele. Senza nemmeno il faro di un’Autorità degna. Il primo quesito referendario chiede l’abrogazione dell'articolo 23 bis. Potrebbe essere la classica materia su cui ciascuno si esprime secondo la propria filosofia e la propria percezione della gestione pubblica: diffusi fallimenti, specialmente al Sud; esempi non di rado eccellenti, per lo più al Nord. Ma c’è un dettaglio: la norma si applica ai 64 Ato (Ambiti territoriali ottimali) dove i servizi idrici sono ancora interamente pubblici. E negli altri 28 Ato che cosa si farà? Se vincono i sì, osserva Antonio Massarutto nel suo Privati nell’acqua? Tra bene comune e mercato, editore il Mulino, avremo un’Italia a doppio regime, pubblico e privato, e soprattutto un’Italia che non avrà più l’obbligo di mettere a gara il servizio. Il rischio degli extraprofitti monopolistici o, più spesso, dell’inefficienza clientelare aumenterebbe. Tanto consiglia di votare no, magari turandosi il naso. Il secondo quesito referendario invoca l’abrogazione «dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito», prevista dal decreto n. 152 del 3 aprile 2006. La storia delle privatizzazioni conta ripetute regalie, e questo giornale le ha ripetutamente denunciate. Anche sull’acqua, con l’Autorità debole e subordinata al governo e Comuni compiacenti o maldestri, possono darsi speculazioni. La soglia massima del 7% lordo alla remunerazione del capitale investito è inadeguata data la diversità delle situazioni e delle attività: depurare a Milano è più caro che a Lecce, trasportare a Trento costa meno che a Firenze. D'altra parte, la storia di Parigi, dove la gestione dell’acqua torna pubblica dopo 25 anni, insegna qualcosa a tutti. Ma pensare che la tariffa dei servizi idrici non debba remunerare il capitale è un azzardo. I promotori del referendum possono pur pensare a servizi idrici con tariffe pari ai costi o a carico della fiscalità generale. I politici di Pdl, Lega e Pd che sostengono il sì, molto meno. Sono gli stessi che hanno quotato le maggiori ex municipalizzate in Borsa, dove guadagnare si deve. E come fa Antonio Di Pietro a voler abrogare il principio della remunerazione del capitale che da ministro aveva controfirmato?
Per fermare le dispersioni, assicurare acqua corrente ai 10 milioni di cittadini che l’hanno a intermittenza, collegare alle fogne e ai depuratori il 20-30% che è isolato, servono investimenti dai 65 ai 120 miliardi di euro. L’Italia con il debito pubblico al 120% del Pil non può caricare un simile onere sul bilancio dello Stato o aumentare le tasse per un pari importo. Servono soggetti capaci di attirare capitali privati, anche per rispettare i vincoli europei. Ma i capitali privati non arrivano senza remunerazione. Certo, la cosa si farà sentire in tariffa. Ma a fronte di un servizio migliore e, se ben temperata da una forte Autorità, non si farà sentire troppo: l’acqua resterà in fondo alla scala dei prezzi di un Paese che si svena serenamente per il telefonino. Perciò, e senza turarsi il naso, è consigliabile un altro no.
Da quello che ho capito qui http://www.altalex.com/index.php?idnot=47518, leggendo l' art 23 - bis, l' affidamento a privati non è obbligatorio, è una possibilità contemplata. Il criterio imprescindibile è quello della gara pubblica o - in casi eccezionali della procedura in house.
Quanto agli ATO, è vero che sono interamente pubblici ma anche in questo caso, la cessione del 40% del capitale ai privati è eventuale anche se è forse più probabile. Però secondo la norma tutte le gestioni non conformi alle procedure previste dall' articolo o si adeguano entro la data del 31 dicembre 2011, o si adeguano e diventano società a partecipazione mista o cessano.
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sono molto indeciso sulla questione acqua. Da una parte, lo stato non potrà mai accollarsi la spesa di miliardi di euro per le tubature, ci vogliono interventi esterni, dall'altra per spendere così tanto, dovranno avere altrettanti se non più introiti, ciò significa acqua più cara. Che fare ?!
Originariamente Scritto da modgallagher
gandhi invece di giocarsi il libretto della macchina si gioca la cartella clinica
" tra noi sarebbe come abbinare un vino pregiato a un ottimo cibo " ..
sono molto indeciso sulla questione acqua. Da una parte, lo stato non potrà mai accollarsi la spesa di miliardi di euro per le tubature, ci vogliono interventi esterni, dall'altra per spendere così tanto, dovranno avere altrettanti se non più introiti, ciò significa acqua più cara. Che fare ?!
Ci stavo pensando, anche se mi dispiacerebbe non votare. Mi piacerebbe sentire il parere di qualcuno che non sia il solito politico di parte che la tira dal suo mulino
Originariamente Scritto da modgallagher
gandhi invece di giocarsi il libretto della macchina si gioca la cartella clinica
" tra noi sarebbe come abbinare un vino pregiato a un ottimo cibo " ..
mi sembra giusto. patetica la posizione di chi per vincere sfrutta l'apporto di quella 20ina di milioni di persone che fisiologicamente non vota,altrimenti non potrebbe mai vincere.
come quando la chiesa fece quella campagna patetica contro la ricerca,gli embrioni,qualche anno fa. solo con l'astensionismo e l'ignoranza della gente si poteva vincere.
Underground BodyBuilding Militia
Originariamente Scritto da Ingegnere88
lo inserisco tutto e godo,solo che + godo e + ne ho voglia
sono molto indeciso sulla questione acqua. Da una parte, lo stato non potrà mai accollarsi la spesa di miliardi di euro per le tubature, ci vogliono interventi esterni, dall'altra per spendere così tanto, dovranno avere altrettanti se non più introiti, ciò significa acqua più cara. Che fare ?!
ai 10 milioni di cittadini che l’hanno a intermittenza, collegare alle fogne e ai depuratori il 20-30% che è isolato, servono investimenti dai 65 ai 120 miliardi di euro. L’Italia con il debito pubblico al 120% del Pil non può caricare un simile onere sul bilancio dello Stato o aumentare le tasse per un pari importo
ma questo 10% dove si colloca? forse al sud? forse che sia come per l'immondizia? allora - privatizzando - i soldi per gli impianti non verrebbero forse più incamerati dalle varie organizzazioni mafiose?
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