È strano morire ventenni. Quando si è appena concluso lo sfasamento dell'adolescenza, ma è ancora troppo presto per avere la stabilità degli uomini, nell'ottica adulta. A ventanni si cerca ancora di costruire la propria identità sociale e psicologica, è l'età in cui si cercano i nuovi appoggi ideologici, pubblici, universali, associativi, cui aggrapparsi, dopo aver distrutto i precedenti che in fin dei conti non sono mai appartenuti a te, ma a chi ti ha messo al mondo. Avevo 20 anni quando ho lasciato l'Italia dei primi Anni Ottanta. L'ho fatto in silenzio, nella pace del sonno, e con il cranio fracassato.
Sono romano, aderente al Fronte della Gioventù. La notte del 2 febbraio 1983 affiggevo con Daniela alcuni manifesti che incitavano alla protesta per l'esproprio di Villa Chigi. Arrivato nello spartitraffico di Piazza Gondar, ho fatto un solo errore: ho dato le spalle a due ragazzi che alle 24.45 aspettavano l'autobus… Ma l'autobus a quell'ora mica passava… Il rumore di passi veloci alle mie spalle, una corsa forse… Un gran dolore alla testa, tanto calore, lo stordimento forte, pesante, insistente… Come un grande coccio di vetro piantato sul capo. Cammino verso l'auto dove Daniela a bocca aperta aveva visto tutto, parliamo un po’. «C'è da pulire la ferita», fa lei scossa. Il sangue defluisce, cerco di fare quello che posso alla fontanella. Poi la decisione di tornare a casa. La ferita fa male, mi lamento, mamma e papà sentono.
Lì, scivolo via dalla vita. Sguscio in un riposo innaturale, mentre mamma chiama l'ambulanza e piange. Papà mi chiama, cerca di riportami da lui, mi prende la mano, la scuote. Ma è troppo tardi, sono già lontano. Lo chiamano 'coma'. Io sono finito nel 'coma', così dicono i dottori ai miei genitori, che dicono anche che l'indomani mattina mi operano. Sono nudo nella sala operatoria e m'hanno rasato i capelli: ho due ematomi e un tratto di cranio fratturato. Chi è stato? La domanda viene fatta a Daniela che è l'unica ad aver visto tutto quello che mi è successo. Il dottor Marchionne, che è il dirigente della Digos romana che si occupa del caso, del mio caso, però sembra più interessato a che facevamo noi nel Fronte della Gioventù: vuole i nomi di chi c'era dentro, vuol sapere che ci dicevamo, quali erano i rapporti fra i noi e i dirigenti… Lei risponde a tutto, poi d'un tratto Marchionne esclama: «Faida interna!». Che vuol dire? Che a colpirmi è stato qualcuno che si sedeva accanto a me alle riunioni del Fronte? Ma che dice? Perché? È impossibile.
Il Presidente della Repubblica viene a trovarmi all'ospedale, mi sfiora la mano. Lo fa come un padre, dicono che abbia un caratteraccio, non c'ho mai creduto. Poi dopo 7 giorni di 'coma' io muoio. A Dio, gli ci son voluti 7 giorni per creare il mondo. A me 7 per lasciarlo. I miei amici mi stanno vicino, fanno striscioni con il mio nome. Qualcuno li strappa, qualcuno scrive 'sono stato io' sui muri. Ci sono perquisizioni nelle case dei Collettivi Autonomi di Valmelaina e dell'Africano. Un nome torna sempre: Corrado Quarra. Daniela dice che è lui, l'ha riconosciuto. Ha aggredito anche altri ragazzi con la spranga. Daniela poi dà la descrizione dell'altro ragazzo. Qualcuno dice che l'identikit descrive Luca Baldassarre. Daniela in un confronto all'americana indica un ragazzo che pensa sia Baldassarre. Marchionne ride: «Vedi, il giovane da te riconosciuto non è Baldassarre, ma un amico scelto appositamente per la grande somiglianza». Il giudice istruttore Calabria, che pure si occupava dell'indagine si fa beffe di Daniela: «Se hai sbagliato il secondo riconoscimento puoi anche aver sbagliato il primo». Quarra viene scarcerato, lo si proscioglie dalle accuse, poco prima di Capodanno, così ha il tempo di festeggiarlo con la sua famiglia. Io, invece, qui mi sento solo. M'hanno rubato i Capodanni, m'hanno rubato la mia mamma e il mio papà… Il mio nome? Io mi chiamo Paolo Di Nella e sono morto in silenzio, nella pace del sonno, e con il cranio fracassato.
Sono romano, aderente al Fronte della Gioventù. La notte del 2 febbraio 1983 affiggevo con Daniela alcuni manifesti che incitavano alla protesta per l'esproprio di Villa Chigi. Arrivato nello spartitraffico di Piazza Gondar, ho fatto un solo errore: ho dato le spalle a due ragazzi che alle 24.45 aspettavano l'autobus… Ma l'autobus a quell'ora mica passava… Il rumore di passi veloci alle mie spalle, una corsa forse… Un gran dolore alla testa, tanto calore, lo stordimento forte, pesante, insistente… Come un grande coccio di vetro piantato sul capo. Cammino verso l'auto dove Daniela a bocca aperta aveva visto tutto, parliamo un po’. «C'è da pulire la ferita», fa lei scossa. Il sangue defluisce, cerco di fare quello che posso alla fontanella. Poi la decisione di tornare a casa. La ferita fa male, mi lamento, mamma e papà sentono.
Lì, scivolo via dalla vita. Sguscio in un riposo innaturale, mentre mamma chiama l'ambulanza e piange. Papà mi chiama, cerca di riportami da lui, mi prende la mano, la scuote. Ma è troppo tardi, sono già lontano. Lo chiamano 'coma'. Io sono finito nel 'coma', così dicono i dottori ai miei genitori, che dicono anche che l'indomani mattina mi operano. Sono nudo nella sala operatoria e m'hanno rasato i capelli: ho due ematomi e un tratto di cranio fratturato. Chi è stato? La domanda viene fatta a Daniela che è l'unica ad aver visto tutto quello che mi è successo. Il dottor Marchionne, che è il dirigente della Digos romana che si occupa del caso, del mio caso, però sembra più interessato a che facevamo noi nel Fronte della Gioventù: vuole i nomi di chi c'era dentro, vuol sapere che ci dicevamo, quali erano i rapporti fra i noi e i dirigenti… Lei risponde a tutto, poi d'un tratto Marchionne esclama: «Faida interna!». Che vuol dire? Che a colpirmi è stato qualcuno che si sedeva accanto a me alle riunioni del Fronte? Ma che dice? Perché? È impossibile.
Il Presidente della Repubblica viene a trovarmi all'ospedale, mi sfiora la mano. Lo fa come un padre, dicono che abbia un caratteraccio, non c'ho mai creduto. Poi dopo 7 giorni di 'coma' io muoio. A Dio, gli ci son voluti 7 giorni per creare il mondo. A me 7 per lasciarlo. I miei amici mi stanno vicino, fanno striscioni con il mio nome. Qualcuno li strappa, qualcuno scrive 'sono stato io' sui muri. Ci sono perquisizioni nelle case dei Collettivi Autonomi di Valmelaina e dell'Africano. Un nome torna sempre: Corrado Quarra. Daniela dice che è lui, l'ha riconosciuto. Ha aggredito anche altri ragazzi con la spranga. Daniela poi dà la descrizione dell'altro ragazzo. Qualcuno dice che l'identikit descrive Luca Baldassarre. Daniela in un confronto all'americana indica un ragazzo che pensa sia Baldassarre. Marchionne ride: «Vedi, il giovane da te riconosciuto non è Baldassarre, ma un amico scelto appositamente per la grande somiglianza». Il giudice istruttore Calabria, che pure si occupava dell'indagine si fa beffe di Daniela: «Se hai sbagliato il secondo riconoscimento puoi anche aver sbagliato il primo». Quarra viene scarcerato, lo si proscioglie dalle accuse, poco prima di Capodanno, così ha il tempo di festeggiarlo con la sua famiglia. Io, invece, qui mi sento solo. M'hanno rubato i Capodanni, m'hanno rubato la mia mamma e il mio papà… Il mio nome? Io mi chiamo Paolo Di Nella e sono morto in silenzio, nella pace del sonno, e con il cranio fracassato.
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