cercando altro mi sono imbattuto in paio di articoli a riguardo...........un paio datati e uno più o meno recente.......non so quanto siano attendibili tutte le fonti e il loro contenuti...però assurdi alcuni punti, tra i quali le morti "casuali", dei vari personaggi direttamente/indirettamente conivolti in questa tragedia.
Ustica: «Trent'anni dopo il mosaico sta andando a posto» (28-06-2010)
Roma, giugno
«Adesso i pezzi del mosaico cominciano ad andare a posto. Ci sono voluti 30 anni per capire la verità. Per capire che il Dc 9 dell’Itavia caduto a Ustica non è stato colpito da un missile e non è esploso in aria: si sarebbe sbriciolato. E invece è stato ritrovato in fondo al mare nel raggio di poche centinaia di metri. Quell’aereo è caduto planando a causa di una grave avaria e il pilota, bravissimo, riuscì ad ammarare rimanendo a galla per tutta la notte. Le rivelazioni di Cossiga, confortate da quanto ha scritto il giudice Rosario Priore nel suo ultimo libro, lo confermano e confermano quello che io e l’equipaggio del mio aereo abbiamo visto all’alba del 28 giugno 1980».
1) L’AVVISTAMENTO - Parla l’uomo che ha visto riaffiorare i corpi e ipotizza l’ammaraggio.
Sergio Bonifacio, oggi colonnello in congedo dell’Aeronautica della marina militare, nel 1980 era tenente di vascello. Comandava un Bréguet Atlantic, un aereo sofisticatissimo usato per la caccia ai sommergibili. La notte di Ustica si alzò in volo alle 3 del mattino dalla base di Elmas (Cagliari) con il suo vice Alessandro Bigazzi e altri 12 uomini di equipaggio. Fu il primo a giungere sul luogo del disastro: «Perché tutti i velivoli di soccorso erano stati mandati sulla rotta Ponza-Palermo. L’unico a dover perlustrare l’area dell’ultimo punto di riporto, un terzo sopra il punto Condor e due terzi sotto, ero io», precisa. «Poco dopo le 9 ho visto affiorare il primo cadavere. Poi in successione ne sono riemersi una quarantina, tutti nella stessa posizione. Li ho marcati uno per uno con i candelotti al fosforo per consentirne il recupero alle navi che sopraggiungevano. Sa cosa significa questo? Che il Dc 9 in quel momento stava affondando, non era oltre i 50-70 metri di profondità, altrimenti quei corpi sarebbero finiti sul fondale marino, non sarebbero tornati a galla. Quindi l’aereo dell’Itavia affondava lentamente ancora 12 ore dopo la caduta. Vuol dire che era rimasto a galla per tutta la notte. Al massimo poteva avere una falla. Se fosse stato colpito da un missile o fosse esploso a 7 mila metri di altezza tutto questo non sarebbe potuto succedere. Ed ecco che oggi Cossiga ci dice che il Dc 9 è stato abbattuto da un missile a risonanza, non a impatto. Un missile che non ha fatto esplodere l’aereo, ma che può aver provocato un’avaria grave, con danni irreparabili a tutti i circuiti elettrici, consentendo al pilota di governarlo e di farlo planare. Certo l’ammaraggio non è stato morbido. Se si impatta sul mare a 270 km all’ora, l’acqua è una lastra di cemento. Ecco perché quasi tutti i corpi recuperati avevano una profonda ferita al ventre. È stata provocata dalla cintura di sicurezza. Ecco perché erano tutti senza scarpe: il comandante li aveva avvertiti che stavano ammarando. Molti, secondo me sono morti dissanguati dopo ore di agonia. Non dimentichiamo il corpo di quel carabiniere con un piede tranciato e la camicia stretta attorno alla caviglia per frenare l’emorragia. O quella mamma stretta in rigor mortis alla sua bambina. Se fosse morta all’istante avrebbe allentato la presa. Invece è sopravvissuta, forse dentro una bolla d’aria nell’aereo. Molti, se il Dc 9 fosse stato individuato subito, potevano essere salvati». Non è la prima volta che Sergio Bonifacio racconta quel che ha visto quella mattina, anche se il suo rapporto di volo (numero 113/80, redatto e consegnato lo stesso 28 giugno al Comando del 30° stormo di base a Elmas), è stato ignorato per 9 anni. «Mi chiedevo: come mai colui che è giunto per primo sul luogo del disastro e che ha visto riaffiorare i cadaveri, non viene sentito? Forse del mio rapporto non sanno nulla, pensavo. Ne parlai con l’ammiraglio Pizzarelli, membro della commissione Pratis. Mi fece capire che il mio rapporto non era fra i documenti in loro possesso. L’ammiraglio lo verificò parlandone con il mio copilota, che gli confermò tutto. Fui interrogato per la prima volta il 25 ottobre 1989 dal Procuratore militare di Cagliari. Due mesi dopo mi convocò il giudice Bucarelli che mi congedò dicendomi: “Tutto torna, Bonifacio”». Poi l’ufficiale è stato interrogato anche dal giudice Rosario Priore e dai membri di diverse commissioni d’inchiesta. E lui e gli altri 13 membri dell’equipaggio hanno sempre ripetuto le stesse cose. Non c’è una sbavatura nelle 14 dichiarazioni. 28 occhi quella mattina hanno visto riaffiorare i primi cadaveri dell’aereo dell’Itavia dopo le 9 del mattino. «E prima dei corpi», aggiunge Bonifacio, «avevamo notato una chiazza di cherosene che ci aveva segnalato un elicottero, poi le parti leggere del Dc 9 come i cuscini dei sedili, i salvagente sgonfi, le valigie e altri oggetti».
E prima di tutto questo, colonnello, che cosa aveva notato in mare?
«Se mi vuole far dire che avevo visto l’aereo che galleggiava o un sommergibile, non ci sto. Non l’ho mai detto, non l’ha mai detto il mio equipaggio e non è scritto da nessuna parte. Fu una invenzione di un giornalista de L’Europeo, smentita da tutti. Un’invenzione che ha finito per rendere inattendibile la mia testimonianza perché il giudice Priore quando mi convocò mi chiese subito: “È vero che lei ha visto l’aereo galleggiare?”. “No, non è vero”. E lui mi congedò frettolosamente. Ma io sono stato chiamato a testimoniare al processo contro i generali. Doveva vedere l’imbarazzo dei difensori nel pormi le domande. Io non ho testimoniato contro nessuno, solo contro la stupidità di chi non aveva capito».
Perché lei in realtà, prima del riaffiorare dei corpi, cosa vide o cosa capì?
«Il mare era blu scuro. Notai uno strano fenomeno di chiarore sull’acqua e al centro una riga scura. Pensai a un bordo alare. Tanto che dissi al mio copilota: “Guarda l’ala!”. Bigazzi mi rispose: “Ma il Dc 9 non ha lo sghiacciatore pneumatico”. Significa che lui vedeva una riga nera ma non capiva cosa fosse, perché il Dc 9 non ha lo sghiacciatore di gomma nera sui bordi delle ali. E nel rapporto mi sono limitato a scrivere: “Vedo qualcosa in trasparenza ma non la identifico”».
Perché lei parla di uno strano fenomeno di chiarore?
«Perché sull’acqua blu non avrei potuto notare una riga nera o comunque scura. Quel fenomeno di chiarore poteva essere, dico poteva essere perché io non l’ho individuata, la sagoma bianca dell’aereo che affondava. E la riga scura che abbiamo visto poteva essere in realtà la striscia rossa che gli aerei Itavia avevano lungo la fiancata. Sotto l’acqua il rosso diventa scuro».
Dopo 30 anni cosa pensa sia successo realmente?
«Che il Dc 9 sia affondato imbarcando acqua lentamente da una falla. Si è fermato a 50-70 metri perché, all’interno, la pressione dell’aria e dell’acqua si compensavano. Poi la pressione dell’acqua ha provocato il cosiddetto “colpo di ariete” che ha sfondato la coda. In quel momento i cadaveri hanno cominciato a risalire».
2) LA BATTAGLIA - Parla l’uomo che raccolse le confidenze del pilota Nutarelli
«Fossimo stati a casa quella sera! Non avremmo visto quello che purtroppo abbiamo dovuto vedere». L’arrivo di un cameriere interrompe il discorso. Al tavolino di un bar, davanti all’istituto tecnico aeronautico Malignani di Udine, sono seduti un asso delle Frecce Tricolori, il tenente colonnello Ivo Nutarelli che nel 1988 perderà tragicamente la vita con il collega Mario Naldini, durante una esibizione a Ramstein in Germania, e l’insegnante dell’istituto aeronautico Andrea Agostinis, destinato qualche anno dopo a diventare «famoso» suo malgrado perché coinvolto e poi prosciolto nell’inchiesta sugli attentati di Unabomber. I due si conoscono bene e si frequentano perché abitano nello stesso palazzo, perché dall’Istituto Malignani escono molti dei piloti destinati a finire nella pattuglia acrobatica delle Frecce Tricolori e perché il professor Agostinis porta spesso i suoi allievi alla base di Rivolto. «Era la fine di maggio del 1986», ricorda Andrea Agostinis, «Con Ivo si parlava di un incidente aereo e io commentai: “Assomiglia un po’ alla sciagura di Ustica”. Mai l’avessi detto. Nutarelli si fece scuro in volto. Si incupì e si lasciò scappare quella frase: “Fossimo stati a casa quella sera”. «Non ne afferrai appieno il significato. Capii solo dopo il disastro di Ramstein. Credo che Nutarelli in quel momento stesse per farmi rivelazioni molto importanti che non riusciva più a tenersi dentro. Era stressato, preoccupato. Ustica evidentemente lo tormentava. Ma solo quando mi interrogò Rosario Priore afferrai fino in fondo il significato di quella frase. La sera del 27 giugno 1980 Nutarelli e Naldini si alzarono in volo dalla base di Grosseto con i loro F 104. Intercettarono il Dc 9 Itavia, lo affiancarono e poi scoprirono qualcosa di molto grave perché lanciarono il segnale di allarme, ma non via radio. “Squoccarono” elettronicamente il codice di emergenza e per essere più sicuri che il loro segnale fosse stato recepito, come da manuale, fecero una manovra a triangolo che serve proprio per avvertire gli operatori radar a terra di una situazione di massima allerta. Non usarono la radio evidentemente per non farsi intercettare da altri. È la prova che Nutarelli e Naldini avevano scoperto qualcosa di veramente grave. Forse aerei non della Nato che avevano violato il nostro spazio aereo. Pare che nei giorni successivi abbiano confidato a qualche collega che c’era stato un combattimento aereo». Ma Rosario Priore da lei cosa volle sapere?
«Nutarelli morì a Ramstein due giorni prima di essere interrogato dal magistrato. Priore fece a me delle domande che avrebbe voluto fare al pilota. Perché mi chiese con insistenza se conoscevo la procedura di scarico dei missili durante una missione e al rientro alla base. Domande tecniche, dalle quali capii che quella sera Naldini e Nutarelli erano rientrati senza un solo missile. Mi sono sempre chiesto: “Li avevano lanciati tutti? Alcuni li avevano scaricati in mare per non farli ritrovare? O subito dopo l’atterraggio il comando aveva ordinato di farli sparire?”».
Professore, sta dicendo che anche Nutarelli e Naldini quella sera hanno lanciato dei missili? E contro chi?
«Non ho dubbi. L’ho capito dalle domande che mi ha fatto Priore. Anche loro hanno sparato. E sono tornati alla base con 450 chili in meno sul loro caccia. Contro chi non lo so ma è chiaro che il segnale di emergenza generale che hanno usato, lo si lancia solo quando c’è una situazione di combattimento».
Le due testimonianze che vi abbiamo proposto a trent’anni dai fatti sono importanti tasselli di una storia complicatissima. Ma che potrebbe finalmente portare a una svolta se la nuova inchiesta aperta nel 2008 dalla Procura di Roma troverà riscontri alle dichiarazioni del Presidente Francesco Cossiga. Cossiga sostiene di aver saputo dai nostri servizi segreti che fu un aereo della marina militare francese a lanciare il missile che abbattè il Dc 9.
Gian Gavino Sulas
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Ustica 30 anni dopo: incidenti, suicidi e morti sospette
in anniversari, cronaca
Nella sciagura di Ustica non ci sono solo le 81 vittime del DC 9. C’è una serie di morti sospette e di testimoni scomparsi che lo stesso giudice Rosario Priore definisce: «Una casistica inquietante. Troppe morti improvvise».
Vediamola questa lista che secondo il magistrato è di una decina di morti strane, ma forse sono di più.
3 agosto 1980 - In un incidente stradale perde la vita il colonnello Pierangelo Tedoldi che doveva assumere il comando dell’aeroporto di Grosseto.
9 maggio 1981 - Stroncato da un infarto muore il giovane capitano Maurizio Gari, capocontrollore della sala operativa della Difesa aerea a Poggio Ballone. Era di servizio la sera del disastro.
23 gennaio 1983 - In un incidente stradale perde la vita Giovanni Battista Finetti, sindaco di Grosseto. Aveva ripetutamente chiesto informazioni ai militari del centro radar di Poggio Ballone.
31 marzo 1987 - Viene trovato impiccato (la polizia scientifica dirà «In modo innaturale») il maresciallo Mario Alberto Dettori, in servizio a Poggio Ballone la sera del 27 giugno 1980. «Aveva commesso l’imprudenza di rivelare ai familiari di aver assistito a uno scenario di guerra», ha detto Priore.
12 agosto 1988 - Muore in un incidente stradale il maresciallo Ugo Zammarelli. Era in servizio presso il SIOS (Servizio segreto dell’aeronautica) di Cagliari.
28 agosto 1988 - Durante una esibizione delle Frecce Tricolori a Ramstein (Germania) entrano in collisione e precipitano sulla folla i colonnelli Mario Naldini e Ivo Nutarelli. Quest’ultimo due giorni dopo doveva essere interrogato da Priore. La sera del 27 giugno 1980 si erano alzati in volo da Grosseto e avevano lanciato l’allarme di emergenza generale. Perché? Cosa avevano visto? I comandi dell’aeronautica militare e la Nato non lo hanno mai rivelato.
1° febbraio 1991 - Viene assassinato il maresciallo Antonio Muzio. Era in servizio alla torre di controllo di Lamezia Terme quando sulla Sila precipitò il misterioso Mig libico.
13 novembre 1992 - In un incidente stradale muore il maresciallo Antonio Pagliara, in servizio alla base radar di Otranto.
12 gennaio 1993 - A Bruxelles viene assassinato il generale Roberto Boemio. La sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità per la sciagura del DC 9 e per la caduta del Mig libico sulla Sila. La magistratura belga non ha mai fatto luce sull’omicidio.
21 dicembre 1995 - È trovato impiccato il maresciallo Franco Parisi. Era di turno la mattina del 18 luglio 1980 (data ufficiale della caduta del Mig libico sulla Sila) al centro radar di Otranto. Doveva essere ascoltato come testimone da Priore.
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a colonnello a barbone per paura
Da sei mesi Guglielmo Sinigaglia, ex ufficiale del Sismi indagato per
la strage, ha scelto di vivere a Milano chiedendo l’elemosina
MILANO — Era in servizio come colonnello del Sismi la sera del 27
giugno 1980, quando il Dc-9 Itavia precipitò nel mare di Ustica, con
le sue 81 vittime. Oggi Guglielmo Sinigaglia, 46 anni, ex membro di
Stay Behind, fa il barbone a Milano, pur risultando tra gli indagati
eccellenti nell'inchiesta del giudice Priore. Il suo nome è finito
nell'elenco degli inquisiti per reticenza, ma certo oggi lui sembra
temere più qualcosa di oscuro e indecifrabile che la semplice
violazione del segreto istruttorio.
«Voglio stare ancora con mia moglie — sussurra — vedere mio figlio
nascere e crescere. Ma quella sera fu guerra, sì, guerra vera. Priore
ha ragione, tutto però finirà nel nulla tra meno di un anno, il 29
giugno del 2000. I reati militari cadono in prescrizione dopo 20 anni,
un giorno e dodici ore». Corsa contro il tempo, dunque? Nella borsa
Guglielmo porta con sè fotocopie di documenti e tracciati radar, i cui
originali sono in mani sicure, «avvocati e notai che li tirerebbero
fuori nel caso mi succedesse qualcosa. Nomi da far tremare i palazzi
romani, e non solo». La carriera che porta Guglielmo dal Sismi alla
vita da clochard, comincia trent'anni fa, quando a soli 16 anni entra
all'Accademia Militare di Modena, fiore all'occhiello nella formazione
di giovani 007. Tra i primi per punteggio, viene messo in incubatrice
da quello che allora si chiamava il Sid e addestrato per divenire
membro attivo dei servizi segreti. A 21 anni, entra a tutti gli
effetti in Stay Behind, organizzazione grazie alla quale potrà
addestrarsi all'estero con i Seals americani, i giovani Sbs inglesi
(gli stessi che poi un giorno avrebbe indicato come i veri autori
materiali dell'affondamento del DC-9) e la Legione Straniera.
In 24 anni di servizio, da giovane sottotenente otterrà cinque
passaggi di carriera, fino al grado di colonnello. Ma i suoi guai
cominciano nel '93, quando Andreotti, in seguito ai fatti di via Monte
Nevoso, per decreto scioglie sostanzialmente la struttura, collocando
al di fuori dell'apparato militare tutti i suoi componenti.
Da lì Guglielmo continuerà a rivendicare con testardaggine la propria
posizione, con clamorose, ma vane proteste. Fino all'esaurirsi degli
ultimi risparmi e alla scelta obbligata, vivere di elemosina. Proprio
poco dopo aver messo incinta sua moglie, Diana. Ha una spalla rotta e
dolorante, Guglielmo, pantaloni corti, scarpe da tennis, calzini,
canottiera e bendaggio rigido. Vestito come l'ultimo dei disperati, da
quasi sei mesi ha scelto di vivere per strada, di prendere botte e
coltellate, di farsi una doccia a diecimila lire una volta ogni
quindici giorni, di stare lontano dalla donna che gli darà un figlio,
raccogliendo l'elemosina in corso Vittorio Emanuele, sotto le insegne
del cinema Astra. Al suo fianco, fin dall'inizio c'è sempre un collega
clochard, Silvio Diligenti, coetaneo, compagno di sventure ed ex
maresciallo della Folgore. A Guglielmo la spalla l'ha rotta un altro
disperato, la notte di un mese fa. Uno che gli aveva visto tirar fuori
un telefonino, quando la moglie l'aveva chiamato, e che doveva aver
pensato: se un barbone ha il cellulare, che cavolo di barbone sarà
mai? E chissà cos'altro nasconde nel portafogli. E invece no, quel
telefonino con scheda ricaricabile era un regalo di sua moglie, Diana
Moffa, che vive a La Spezia. La donna che lo chiama, per sapere come
sta, se lui la ama ancora, se quel figlio lo vedranno insieme, se
davvero è ancora deciso a fare quella vita e fino a quando. Eh sì,
perché Guglielmo il barbone, l'ex colonnello del Sismi che sa molto di
quello che avvenne quella notte, ha deciso di fare il clochard per
amore.
La strada, per Guglielmo, non è solo dormire sotto la luna, sul marmo
dei gradini di una chiesa con la spalla rotta e cercare di fermare i
passanti con una fase di Esiodo, il primo poeta greco, su un pezzo di
cartone («La vostra indifferenza uccide la nostra speranza»). La
strada è soprattutto violenza.
Pochi giorni fa, l'ultima aggressione: uno gnomo vestito di nero cerca
di portargli via la scatola delle scarpe piena di monete,
trentacinquemila lire in tutto. Lui, più alto di mezzo metro e largo
il doppio, prova a reagire, brandendo l'unico braccio a disposizione.
In tutta risposta l'altro gli punta un coltello alla gola. Intanto
arriva Silvio, afferra il nano per le spalle e lo mette faccia a
terra, ma nel frattempo una coltellata alla spalla e una al ginocchio
di Guglielmo fanno in tempo ad arrivare lo stesso. «Ci si può fare una
tal guerra tra poveri per l'elemosina?», sbraita ora Guglielmo.
E se parlassimo della guerra, quella vera, che avvenne la sera del 27
giugno sui cieli di Ustica? Guglielmo Sinigaglia vorrebbe farlo il
meno possibile. «Mi hanno preso troppo a lungo per mitomane». Già
interrogato più volte, Guglielmo ha fornito la sua versione dei fatti:
si trattò di un complotto occidentale per uccidere Gheddafi, che
quella stessa sera era partito in aereo da Tripoli, e insediare in
Libia un governo filo-occidentale. Le dichiarazioni, molte delle quali
già agli atti, scendono poi nel dettaglio. «Qualche politico italiano
avvisò il leader libico, che così atterrò a Malta. Nel frattempo il
Dc-9 Itavia si infilò nell'aerovia denominata «zombie» (che in codice
sta per «capo di stato ostile»), una sorta di corridoio tre chilometri
per cinque. Un sottomarino francese lanciò un missile Standard, con
carica di prossimità, che costrinse l'aereo ad ammarare bruscamente.
Sulla superficie fu affondato con esplosivo Dynagel dagli Sbs
inglesi».
Ma c'è dell'altro. «La strage di Bologna fu architettata per
distogliere l'attenzione da Ustica». Da chi? «Fate voi». Cosa prova
quando pensa alle 81 vittime? «Penso che le vittime siano 117». In che
senso? «Aggiungerei i 36 testimoni morti in circostanze misteriose.
Uno scivola sulla buccia di banana sulla scalla del metro a Termini,
uno legge il giornale e non si avvede del paraurti di una macchina, un
altro investito da un bambino di 4 anni col triciclo... Lasciando
perdere quelli che si sono impiccati in casa».
Enrico Fovanna
Ustica: «Trent'anni dopo il mosaico sta andando a posto» (28-06-2010)
Roma, giugno
«Adesso i pezzi del mosaico cominciano ad andare a posto. Ci sono voluti 30 anni per capire la verità. Per capire che il Dc 9 dell’Itavia caduto a Ustica non è stato colpito da un missile e non è esploso in aria: si sarebbe sbriciolato. E invece è stato ritrovato in fondo al mare nel raggio di poche centinaia di metri. Quell’aereo è caduto planando a causa di una grave avaria e il pilota, bravissimo, riuscì ad ammarare rimanendo a galla per tutta la notte. Le rivelazioni di Cossiga, confortate da quanto ha scritto il giudice Rosario Priore nel suo ultimo libro, lo confermano e confermano quello che io e l’equipaggio del mio aereo abbiamo visto all’alba del 28 giugno 1980».
1) L’AVVISTAMENTO - Parla l’uomo che ha visto riaffiorare i corpi e ipotizza l’ammaraggio.
Sergio Bonifacio, oggi colonnello in congedo dell’Aeronautica della marina militare, nel 1980 era tenente di vascello. Comandava un Bréguet Atlantic, un aereo sofisticatissimo usato per la caccia ai sommergibili. La notte di Ustica si alzò in volo alle 3 del mattino dalla base di Elmas (Cagliari) con il suo vice Alessandro Bigazzi e altri 12 uomini di equipaggio. Fu il primo a giungere sul luogo del disastro: «Perché tutti i velivoli di soccorso erano stati mandati sulla rotta Ponza-Palermo. L’unico a dover perlustrare l’area dell’ultimo punto di riporto, un terzo sopra il punto Condor e due terzi sotto, ero io», precisa. «Poco dopo le 9 ho visto affiorare il primo cadavere. Poi in successione ne sono riemersi una quarantina, tutti nella stessa posizione. Li ho marcati uno per uno con i candelotti al fosforo per consentirne il recupero alle navi che sopraggiungevano. Sa cosa significa questo? Che il Dc 9 in quel momento stava affondando, non era oltre i 50-70 metri di profondità, altrimenti quei corpi sarebbero finiti sul fondale marino, non sarebbero tornati a galla. Quindi l’aereo dell’Itavia affondava lentamente ancora 12 ore dopo la caduta. Vuol dire che era rimasto a galla per tutta la notte. Al massimo poteva avere una falla. Se fosse stato colpito da un missile o fosse esploso a 7 mila metri di altezza tutto questo non sarebbe potuto succedere. Ed ecco che oggi Cossiga ci dice che il Dc 9 è stato abbattuto da un missile a risonanza, non a impatto. Un missile che non ha fatto esplodere l’aereo, ma che può aver provocato un’avaria grave, con danni irreparabili a tutti i circuiti elettrici, consentendo al pilota di governarlo e di farlo planare. Certo l’ammaraggio non è stato morbido. Se si impatta sul mare a 270 km all’ora, l’acqua è una lastra di cemento. Ecco perché quasi tutti i corpi recuperati avevano una profonda ferita al ventre. È stata provocata dalla cintura di sicurezza. Ecco perché erano tutti senza scarpe: il comandante li aveva avvertiti che stavano ammarando. Molti, secondo me sono morti dissanguati dopo ore di agonia. Non dimentichiamo il corpo di quel carabiniere con un piede tranciato e la camicia stretta attorno alla caviglia per frenare l’emorragia. O quella mamma stretta in rigor mortis alla sua bambina. Se fosse morta all’istante avrebbe allentato la presa. Invece è sopravvissuta, forse dentro una bolla d’aria nell’aereo. Molti, se il Dc 9 fosse stato individuato subito, potevano essere salvati». Non è la prima volta che Sergio Bonifacio racconta quel che ha visto quella mattina, anche se il suo rapporto di volo (numero 113/80, redatto e consegnato lo stesso 28 giugno al Comando del 30° stormo di base a Elmas), è stato ignorato per 9 anni. «Mi chiedevo: come mai colui che è giunto per primo sul luogo del disastro e che ha visto riaffiorare i cadaveri, non viene sentito? Forse del mio rapporto non sanno nulla, pensavo. Ne parlai con l’ammiraglio Pizzarelli, membro della commissione Pratis. Mi fece capire che il mio rapporto non era fra i documenti in loro possesso. L’ammiraglio lo verificò parlandone con il mio copilota, che gli confermò tutto. Fui interrogato per la prima volta il 25 ottobre 1989 dal Procuratore militare di Cagliari. Due mesi dopo mi convocò il giudice Bucarelli che mi congedò dicendomi: “Tutto torna, Bonifacio”». Poi l’ufficiale è stato interrogato anche dal giudice Rosario Priore e dai membri di diverse commissioni d’inchiesta. E lui e gli altri 13 membri dell’equipaggio hanno sempre ripetuto le stesse cose. Non c’è una sbavatura nelle 14 dichiarazioni. 28 occhi quella mattina hanno visto riaffiorare i primi cadaveri dell’aereo dell’Itavia dopo le 9 del mattino. «E prima dei corpi», aggiunge Bonifacio, «avevamo notato una chiazza di cherosene che ci aveva segnalato un elicottero, poi le parti leggere del Dc 9 come i cuscini dei sedili, i salvagente sgonfi, le valigie e altri oggetti».
E prima di tutto questo, colonnello, che cosa aveva notato in mare?
«Se mi vuole far dire che avevo visto l’aereo che galleggiava o un sommergibile, non ci sto. Non l’ho mai detto, non l’ha mai detto il mio equipaggio e non è scritto da nessuna parte. Fu una invenzione di un giornalista de L’Europeo, smentita da tutti. Un’invenzione che ha finito per rendere inattendibile la mia testimonianza perché il giudice Priore quando mi convocò mi chiese subito: “È vero che lei ha visto l’aereo galleggiare?”. “No, non è vero”. E lui mi congedò frettolosamente. Ma io sono stato chiamato a testimoniare al processo contro i generali. Doveva vedere l’imbarazzo dei difensori nel pormi le domande. Io non ho testimoniato contro nessuno, solo contro la stupidità di chi non aveva capito».
Perché lei in realtà, prima del riaffiorare dei corpi, cosa vide o cosa capì?
«Il mare era blu scuro. Notai uno strano fenomeno di chiarore sull’acqua e al centro una riga scura. Pensai a un bordo alare. Tanto che dissi al mio copilota: “Guarda l’ala!”. Bigazzi mi rispose: “Ma il Dc 9 non ha lo sghiacciatore pneumatico”. Significa che lui vedeva una riga nera ma non capiva cosa fosse, perché il Dc 9 non ha lo sghiacciatore di gomma nera sui bordi delle ali. E nel rapporto mi sono limitato a scrivere: “Vedo qualcosa in trasparenza ma non la identifico”».
Perché lei parla di uno strano fenomeno di chiarore?
«Perché sull’acqua blu non avrei potuto notare una riga nera o comunque scura. Quel fenomeno di chiarore poteva essere, dico poteva essere perché io non l’ho individuata, la sagoma bianca dell’aereo che affondava. E la riga scura che abbiamo visto poteva essere in realtà la striscia rossa che gli aerei Itavia avevano lungo la fiancata. Sotto l’acqua il rosso diventa scuro».
Dopo 30 anni cosa pensa sia successo realmente?
«Che il Dc 9 sia affondato imbarcando acqua lentamente da una falla. Si è fermato a 50-70 metri perché, all’interno, la pressione dell’aria e dell’acqua si compensavano. Poi la pressione dell’acqua ha provocato il cosiddetto “colpo di ariete” che ha sfondato la coda. In quel momento i cadaveri hanno cominciato a risalire».
2) LA BATTAGLIA - Parla l’uomo che raccolse le confidenze del pilota Nutarelli
«Fossimo stati a casa quella sera! Non avremmo visto quello che purtroppo abbiamo dovuto vedere». L’arrivo di un cameriere interrompe il discorso. Al tavolino di un bar, davanti all’istituto tecnico aeronautico Malignani di Udine, sono seduti un asso delle Frecce Tricolori, il tenente colonnello Ivo Nutarelli che nel 1988 perderà tragicamente la vita con il collega Mario Naldini, durante una esibizione a Ramstein in Germania, e l’insegnante dell’istituto aeronautico Andrea Agostinis, destinato qualche anno dopo a diventare «famoso» suo malgrado perché coinvolto e poi prosciolto nell’inchiesta sugli attentati di Unabomber. I due si conoscono bene e si frequentano perché abitano nello stesso palazzo, perché dall’Istituto Malignani escono molti dei piloti destinati a finire nella pattuglia acrobatica delle Frecce Tricolori e perché il professor Agostinis porta spesso i suoi allievi alla base di Rivolto. «Era la fine di maggio del 1986», ricorda Andrea Agostinis, «Con Ivo si parlava di un incidente aereo e io commentai: “Assomiglia un po’ alla sciagura di Ustica”. Mai l’avessi detto. Nutarelli si fece scuro in volto. Si incupì e si lasciò scappare quella frase: “Fossimo stati a casa quella sera”. «Non ne afferrai appieno il significato. Capii solo dopo il disastro di Ramstein. Credo che Nutarelli in quel momento stesse per farmi rivelazioni molto importanti che non riusciva più a tenersi dentro. Era stressato, preoccupato. Ustica evidentemente lo tormentava. Ma solo quando mi interrogò Rosario Priore afferrai fino in fondo il significato di quella frase. La sera del 27 giugno 1980 Nutarelli e Naldini si alzarono in volo dalla base di Grosseto con i loro F 104. Intercettarono il Dc 9 Itavia, lo affiancarono e poi scoprirono qualcosa di molto grave perché lanciarono il segnale di allarme, ma non via radio. “Squoccarono” elettronicamente il codice di emergenza e per essere più sicuri che il loro segnale fosse stato recepito, come da manuale, fecero una manovra a triangolo che serve proprio per avvertire gli operatori radar a terra di una situazione di massima allerta. Non usarono la radio evidentemente per non farsi intercettare da altri. È la prova che Nutarelli e Naldini avevano scoperto qualcosa di veramente grave. Forse aerei non della Nato che avevano violato il nostro spazio aereo. Pare che nei giorni successivi abbiano confidato a qualche collega che c’era stato un combattimento aereo». Ma Rosario Priore da lei cosa volle sapere?
«Nutarelli morì a Ramstein due giorni prima di essere interrogato dal magistrato. Priore fece a me delle domande che avrebbe voluto fare al pilota. Perché mi chiese con insistenza se conoscevo la procedura di scarico dei missili durante una missione e al rientro alla base. Domande tecniche, dalle quali capii che quella sera Naldini e Nutarelli erano rientrati senza un solo missile. Mi sono sempre chiesto: “Li avevano lanciati tutti? Alcuni li avevano scaricati in mare per non farli ritrovare? O subito dopo l’atterraggio il comando aveva ordinato di farli sparire?”».
Professore, sta dicendo che anche Nutarelli e Naldini quella sera hanno lanciato dei missili? E contro chi?
«Non ho dubbi. L’ho capito dalle domande che mi ha fatto Priore. Anche loro hanno sparato. E sono tornati alla base con 450 chili in meno sul loro caccia. Contro chi non lo so ma è chiaro che il segnale di emergenza generale che hanno usato, lo si lancia solo quando c’è una situazione di combattimento».
Le due testimonianze che vi abbiamo proposto a trent’anni dai fatti sono importanti tasselli di una storia complicatissima. Ma che potrebbe finalmente portare a una svolta se la nuova inchiesta aperta nel 2008 dalla Procura di Roma troverà riscontri alle dichiarazioni del Presidente Francesco Cossiga. Cossiga sostiene di aver saputo dai nostri servizi segreti che fu un aereo della marina militare francese a lanciare il missile che abbattè il Dc 9.
Gian Gavino Sulas
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Ustica 30 anni dopo: incidenti, suicidi e morti sospette
in anniversari, cronaca
Nella sciagura di Ustica non ci sono solo le 81 vittime del DC 9. C’è una serie di morti sospette e di testimoni scomparsi che lo stesso giudice Rosario Priore definisce: «Una casistica inquietante. Troppe morti improvvise».
Vediamola questa lista che secondo il magistrato è di una decina di morti strane, ma forse sono di più.
3 agosto 1980 - In un incidente stradale perde la vita il colonnello Pierangelo Tedoldi che doveva assumere il comando dell’aeroporto di Grosseto.
9 maggio 1981 - Stroncato da un infarto muore il giovane capitano Maurizio Gari, capocontrollore della sala operativa della Difesa aerea a Poggio Ballone. Era di servizio la sera del disastro.
23 gennaio 1983 - In un incidente stradale perde la vita Giovanni Battista Finetti, sindaco di Grosseto. Aveva ripetutamente chiesto informazioni ai militari del centro radar di Poggio Ballone.
31 marzo 1987 - Viene trovato impiccato (la polizia scientifica dirà «In modo innaturale») il maresciallo Mario Alberto Dettori, in servizio a Poggio Ballone la sera del 27 giugno 1980. «Aveva commesso l’imprudenza di rivelare ai familiari di aver assistito a uno scenario di guerra», ha detto Priore.
12 agosto 1988 - Muore in un incidente stradale il maresciallo Ugo Zammarelli. Era in servizio presso il SIOS (Servizio segreto dell’aeronautica) di Cagliari.
28 agosto 1988 - Durante una esibizione delle Frecce Tricolori a Ramstein (Germania) entrano in collisione e precipitano sulla folla i colonnelli Mario Naldini e Ivo Nutarelli. Quest’ultimo due giorni dopo doveva essere interrogato da Priore. La sera del 27 giugno 1980 si erano alzati in volo da Grosseto e avevano lanciato l’allarme di emergenza generale. Perché? Cosa avevano visto? I comandi dell’aeronautica militare e la Nato non lo hanno mai rivelato.
1° febbraio 1991 - Viene assassinato il maresciallo Antonio Muzio. Era in servizio alla torre di controllo di Lamezia Terme quando sulla Sila precipitò il misterioso Mig libico.
13 novembre 1992 - In un incidente stradale muore il maresciallo Antonio Pagliara, in servizio alla base radar di Otranto.
12 gennaio 1993 - A Bruxelles viene assassinato il generale Roberto Boemio. La sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità per la sciagura del DC 9 e per la caduta del Mig libico sulla Sila. La magistratura belga non ha mai fatto luce sull’omicidio.
21 dicembre 1995 - È trovato impiccato il maresciallo Franco Parisi. Era di turno la mattina del 18 luglio 1980 (data ufficiale della caduta del Mig libico sulla Sila) al centro radar di Otranto. Doveva essere ascoltato come testimone da Priore.
Gian Gavino Sulas
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a colonnello a barbone per paura
Da sei mesi Guglielmo Sinigaglia, ex ufficiale del Sismi indagato per
la strage, ha scelto di vivere a Milano chiedendo l’elemosina
MILANO — Era in servizio come colonnello del Sismi la sera del 27
giugno 1980, quando il Dc-9 Itavia precipitò nel mare di Ustica, con
le sue 81 vittime. Oggi Guglielmo Sinigaglia, 46 anni, ex membro di
Stay Behind, fa il barbone a Milano, pur risultando tra gli indagati
eccellenti nell'inchiesta del giudice Priore. Il suo nome è finito
nell'elenco degli inquisiti per reticenza, ma certo oggi lui sembra
temere più qualcosa di oscuro e indecifrabile che la semplice
violazione del segreto istruttorio.
«Voglio stare ancora con mia moglie — sussurra — vedere mio figlio
nascere e crescere. Ma quella sera fu guerra, sì, guerra vera. Priore
ha ragione, tutto però finirà nel nulla tra meno di un anno, il 29
giugno del 2000. I reati militari cadono in prescrizione dopo 20 anni,
un giorno e dodici ore». Corsa contro il tempo, dunque? Nella borsa
Guglielmo porta con sè fotocopie di documenti e tracciati radar, i cui
originali sono in mani sicure, «avvocati e notai che li tirerebbero
fuori nel caso mi succedesse qualcosa. Nomi da far tremare i palazzi
romani, e non solo». La carriera che porta Guglielmo dal Sismi alla
vita da clochard, comincia trent'anni fa, quando a soli 16 anni entra
all'Accademia Militare di Modena, fiore all'occhiello nella formazione
di giovani 007. Tra i primi per punteggio, viene messo in incubatrice
da quello che allora si chiamava il Sid e addestrato per divenire
membro attivo dei servizi segreti. A 21 anni, entra a tutti gli
effetti in Stay Behind, organizzazione grazie alla quale potrà
addestrarsi all'estero con i Seals americani, i giovani Sbs inglesi
(gli stessi che poi un giorno avrebbe indicato come i veri autori
materiali dell'affondamento del DC-9) e la Legione Straniera.
In 24 anni di servizio, da giovane sottotenente otterrà cinque
passaggi di carriera, fino al grado di colonnello. Ma i suoi guai
cominciano nel '93, quando Andreotti, in seguito ai fatti di via Monte
Nevoso, per decreto scioglie sostanzialmente la struttura, collocando
al di fuori dell'apparato militare tutti i suoi componenti.
Da lì Guglielmo continuerà a rivendicare con testardaggine la propria
posizione, con clamorose, ma vane proteste. Fino all'esaurirsi degli
ultimi risparmi e alla scelta obbligata, vivere di elemosina. Proprio
poco dopo aver messo incinta sua moglie, Diana. Ha una spalla rotta e
dolorante, Guglielmo, pantaloni corti, scarpe da tennis, calzini,
canottiera e bendaggio rigido. Vestito come l'ultimo dei disperati, da
quasi sei mesi ha scelto di vivere per strada, di prendere botte e
coltellate, di farsi una doccia a diecimila lire una volta ogni
quindici giorni, di stare lontano dalla donna che gli darà un figlio,
raccogliendo l'elemosina in corso Vittorio Emanuele, sotto le insegne
del cinema Astra. Al suo fianco, fin dall'inizio c'è sempre un collega
clochard, Silvio Diligenti, coetaneo, compagno di sventure ed ex
maresciallo della Folgore. A Guglielmo la spalla l'ha rotta un altro
disperato, la notte di un mese fa. Uno che gli aveva visto tirar fuori
un telefonino, quando la moglie l'aveva chiamato, e che doveva aver
pensato: se un barbone ha il cellulare, che cavolo di barbone sarà
mai? E chissà cos'altro nasconde nel portafogli. E invece no, quel
telefonino con scheda ricaricabile era un regalo di sua moglie, Diana
Moffa, che vive a La Spezia. La donna che lo chiama, per sapere come
sta, se lui la ama ancora, se quel figlio lo vedranno insieme, se
davvero è ancora deciso a fare quella vita e fino a quando. Eh sì,
perché Guglielmo il barbone, l'ex colonnello del Sismi che sa molto di
quello che avvenne quella notte, ha deciso di fare il clochard per
amore.
La strada, per Guglielmo, non è solo dormire sotto la luna, sul marmo
dei gradini di una chiesa con la spalla rotta e cercare di fermare i
passanti con una fase di Esiodo, il primo poeta greco, su un pezzo di
cartone («La vostra indifferenza uccide la nostra speranza»). La
strada è soprattutto violenza.
Pochi giorni fa, l'ultima aggressione: uno gnomo vestito di nero cerca
di portargli via la scatola delle scarpe piena di monete,
trentacinquemila lire in tutto. Lui, più alto di mezzo metro e largo
il doppio, prova a reagire, brandendo l'unico braccio a disposizione.
In tutta risposta l'altro gli punta un coltello alla gola. Intanto
arriva Silvio, afferra il nano per le spalle e lo mette faccia a
terra, ma nel frattempo una coltellata alla spalla e una al ginocchio
di Guglielmo fanno in tempo ad arrivare lo stesso. «Ci si può fare una
tal guerra tra poveri per l'elemosina?», sbraita ora Guglielmo.
E se parlassimo della guerra, quella vera, che avvenne la sera del 27
giugno sui cieli di Ustica? Guglielmo Sinigaglia vorrebbe farlo il
meno possibile. «Mi hanno preso troppo a lungo per mitomane». Già
interrogato più volte, Guglielmo ha fornito la sua versione dei fatti:
si trattò di un complotto occidentale per uccidere Gheddafi, che
quella stessa sera era partito in aereo da Tripoli, e insediare in
Libia un governo filo-occidentale. Le dichiarazioni, molte delle quali
già agli atti, scendono poi nel dettaglio. «Qualche politico italiano
avvisò il leader libico, che così atterrò a Malta. Nel frattempo il
Dc-9 Itavia si infilò nell'aerovia denominata «zombie» (che in codice
sta per «capo di stato ostile»), una sorta di corridoio tre chilometri
per cinque. Un sottomarino francese lanciò un missile Standard, con
carica di prossimità, che costrinse l'aereo ad ammarare bruscamente.
Sulla superficie fu affondato con esplosivo Dynagel dagli Sbs
inglesi».
Ma c'è dell'altro. «La strage di Bologna fu architettata per
distogliere l'attenzione da Ustica». Da chi? «Fate voi». Cosa prova
quando pensa alle 81 vittime? «Penso che le vittime siano 117». In che
senso? «Aggiungerei i 36 testimoni morti in circostanze misteriose.
Uno scivola sulla buccia di banana sulla scalla del metro a Termini,
uno legge il giornale e non si avvede del paraurti di una macchina, un
altro investito da un bambino di 4 anni col triciclo... Lasciando
perdere quelli che si sono impiccati in casa».
Enrico Fovanna
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