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Ab Urbe Condita

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    Ab Urbe Condita

    Al principio sta un fatto di sangue. E' sempre così nel racconto, nel mito, nella religione stessa (nell'Apocalisse, sul trono-fondamento del mondo, siede l'Agnello sgozzato sin dall'alba dei tempi), e la storia della fondazione di Roma non fa eccezione. Romolo uccide il gemello Remo perchè questi, per scherno, ha osato oltrepassare il Pomerium, il recinto sacro che il primo re stava tracciando:
    La fine che sarebbe toccata a chiunque avrebbe avuto l'ardire di fare altrettanto.

    Al principio sta anche il rito, la complessa sequenza simbolica che lega la fondazione della città al divino, perchè gli Dei dall'alto la proteggano e le diano vita, forza e vittoria.
    Si ritrova nel solco che Romolo andava tracciando una tradizione ancora più antica, quella del Ver Sacrum, la liturgia delle prische genti italiche che al sorgere della primavera mandavano i propri figli a migrare altrove e a fondare popoli e città.
    Noi tutti come civiltà veniamo da quel rito di fondazione.

    Il senso del sacro e del religioso si lega dunque immediatamente a quello civile:
    Lo Ius è fondato sul Mos, il diritto si innesta sulle norme morali, etiche e religiose dei padri. Tutto si può riassumere con la parola Tradizione.
    E' incredibile come una storia che ha per protagonisti una prostituta (è quella la figura della lupa che allatta i due gemelli trovati sulle rive del Tevere) un fratricida, e vari altri personaggi che oggi definiremmo poco raccomandabili (i primi cittadini di Roma furono banditi, esiliati, delinquenti, fuggiaschi...Romolo, per popolare l'Urbe, diede a tutti il diritto di asilo entro l'inviolabile recinto) abbia segnato il mondo così indelebilmente.
    La stessa parola Patria deriva da quei Patres che furono i primi e più vicini sodali del re, coloro che potevano indicare da dove venivano, di chi erano figli; Noi siamo qui oggi perchè un Pater ci ha generato e dato in consegna una storia, anche se non la vogliamo, non siamo capaci di portarla, anche se ci siamo disabituati alla nobiltà che sta principalmente nell'accogliere ciò che ci è stato tramandato e conservarlo perchè non appartiene a noi, ma a chi è stato prima di noi e a chi verrà dopo di noi.

    Noi che ci divertiamo a dissacrare quanto più possibile; noi che vogliamo vivere leggeri e leggiadri (quando invece una eredità ti ancora ad una radice, ti impegna ad un compito sacro perchè ti supera ma al tempo stesso ti innalza, perchè è dall'alto che viene) noi possiamo capire oggi il perchè un Cincinnato, dopo aver servito lo Stato, depone la dittatura e se torna a casa, quando abbiamo semplicemente perso il senso del servizio?

    Lucrezia si uccide perchè violata da Sesto Tarquinio, una figura assai simile ai proci di Omero, ma anche così analoga alle nostre giovani generazioni, che non si curano delle norme e dell'onore perchè preda delle passioni, della voglia del possesso (sia esso di un auto, un telefonino, o un essere umano) a qualunque costo. La morte di Lucrezia è conseguenza dello stupro fatto al Mos dei Padri, innanzitutto, e che i Padri stessi vendicheranno giurandolo sul cadavere di quella donna pia.

    Il Mos altro non è che il rispetto per l'ordine fondamentale, per ciò che sta a fondamento di una civiltà; le cose che noi più non intendiamo, il patto; il giuramento; l' amicizia; la legge; il rituale; la famiglia ed il sangue che ci chiama a quest'ordine.
    Roma nacque per civilizzare il mondo, per l'Urbe veniva prima il diritto e poi il ferro.
    Se guardiamo ad un altro episodio della sua storia primitiva, ci accorgiamo che il Ratto delle Sabine è sì da una parte l'infrangere la norma dell'ospitalità, ma finalizzata ad uno scopo superiore, quello di far prosperare la propria Patria inglobandone un'altra. Saranno le stesse donne dei Sabini, infatti, a frapporsi tra i padri da una parte ed i loro mariti (i Romani) dall'altra, per legarli e fonderli assieme in uno scopo comune:
    Il primo esempio di quella inclusività civilizzatrice romana così lontana dal senso della odierna globalizzazione, che è solo una caotica babele e giammai una civilizzazione entro una comune Idea.

    Tutto è destinato a disgregarsi ed a perdersi se non si fonda su un centro sacro ed inamovibile. Noi che abbiamo sotterrato i nostri Mani per essere più liberi di "creare", non lasceremo nulla di noi; non siamo stati capaci di onorare il patto coi Padri, infatti, e se apriamo le mani esse sono sì libere ma anche vuote, come lo spirito che ci anima.
    Roma è un archetipo che più non intendiamo, incapaci di leggerne il senso supremo e salvifico.

    I Padri generavano (miti, storie, templi, palazzi e basiliche) per l'Eternità:
    La nostra Tecnica non dura lo spazio di una generazione, così come i nostri sogni.
    Roma era un sogno, è un sogno.

    Sta, alle pendici del Palatino, di fronte al Colosseo, ciò che resta del tempio di Venere e Roma: che immagine felice, la dea dell'amore assieme alla divinità di Roma, perchè la maestà di Roma è amore, per chi la sa prima intendere e poi servire.
    Ma oggi noi "moderni" non ne siamo più capaci, l'orgoglio e le voglie ci hanno resi ciechi e schiavi. Alla radice del nostro fondamento la fonte è sigillata, fons signatus è ora Roma per noi che più non siamo mondi.

    Anche l'amore per noi stessi, difatti, non conserviamo nè comprendiamo, destinati così alla dissipazione di ogni tesoro.
    Cosa resta di noi? Quale mito o leggenda?
    Tra mille anni che diranno di noi altri uomini venuti a chiedersi del perchè di quel vuoto in questi secoli tenebrosi?
    Roma sta. Siamo noi che l'abbiamo lasciata partiti per inseguire le ombre...Se un vuoto c'è è sempre e solo di amore.

    ...Ma di noi
    sopra una sola teca di cristallo
    popoli studiosi scriveranno
    forse, tra mille inverni:
    «nessun vincolo univa questi morti
    nella necropoli deserta
    .*

    _______________________________

    * Cristina Campo, Moriremo Lontani.
    Last edited by Sean; 22-10-2010, 08:49:22.
    ...ma di noi
    sopra una sola teca di cristallo
    popoli studiosi scriveranno
    forse, tra mille inverni
    «nessun vincolo univa questi morti
    nella necropoli deserta»

    C. Campo - Moriremo Lontani



    #2
    Un post da incorniciare, Sean. Probabilmente sarebbe meglio non aggiungere nulla, perchè tutto è già stato detto, e come meglio non si potrebbe.
    Mi viene solo da pensare alla Storia. Cosa è la storia, quella materia che dimentichiamo appena finita la scuola, quella parola che omuncoli che a stento fanno la cronaca affiancano impudentemente alle loro azioni? La storia è ciò che lega noi a Romolo, sono le radici che nelle loro infinite ramificazioni connettono noi, nani mai così nani, a loro, giganti mai così colossali.
    Roma, quando si confrontò con il mondo greco, tanto più ricco di miti e tradizioni, capì, con l'intuito dei grandi, che solo costruendo un comune sentire avrebbe potuto unificare tra loro genti così diverse. Comprese che una casa comune ha, innanzitutto, leggi comuni, dei comuni, eroi comuni. Separò rigidamente il dentro e il fuori, il nemico e l'amico, punendo con la morte il tradimento della patria. Per chi mette in pericolo la patria prima ancora della legge è il dito puntato della moglie, dei figli, del padre a sancire la condanna a morte.
    E hostis può essere solo lo straniero, non il romano, al punto che la guerra civile non è nemmeno guerra, il nemico non è nemico ma una parte di noi stessi con la quale combattiamo per necessità suprema ma con la morte nel cuore. Nessun romano si può vantare di avere ucciso un altro romano, qualunque cosa abbia fatto perchè la vergogna di una lotta fratricida non conosce vincitori e vinti.
    A noi, oggi, tocca un paese che si vergogna delle sue radici, che abbatte l'albero della storia invece di curarlo amorevolmente, che si divide in mille rivoli, in finte patrie, in miserabili campanilismi.
    Un popolo che non ha memoria storica è un popolo già morto, terra di conquista per chiunque voglia imporre la propria di storia.
    In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
    ma_75@bodyweb.com

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      #3
      Originariamente Scritto da ma_75 Visualizza Messaggio
      Un post da incorniciare, Sean. Probabilmente sarebbe meglio non aggiungere nulla, perchè tutto è già stato detto, e come meglio non si potrebbe.
      Mi viene solo da pensare alla Storia. Cosa è la storia, quella materia che dimentichiamo appena finita la scuola, quella parola che omuncoli che a stento fanno la cronaca affiancano impudentemente alle loro azioni? La storia è ciò che lega noi a Romolo, sono le radici che nelle loro infinite ramificazioni connettono noi, nani mai così nani, a loro, giganti mai così colossali.
      Roma, quando si confrontò con il mondo greco, tanto più ricco di miti e tradizioni, capì, con l'intuito dei grandi, che solo costruendo un comune sentire avrebbe potuto unificare tra loro genti così diverse. Comprese che una casa comune ha, innanzitutto, leggi comuni, dei comuni, eroi comuni. Separò rigidamente il dentro e il fuori, il nemico e l'amico, punendo con la morte il tradimento della patria. Per chi mette in pericolo la patria prima ancora della legge è il dito puntato della moglie, dei figli, del padre a sancire la condanna a morte.
      E hostis può essere solo lo straniero, non il romano, al punto che la guerra civile non è nemmeno guerra, il nemico non è nemico ma una parte di noi stessi con la quale combattiamo per necessità suprema ma con la morte nel cuore. Nessun romano si può vantare di avere ucciso un altro romano, qualunque cosa abbia fatto perchè la vergogna di una lotta fratricida non conosce vincitori e vinti.
      A noi, oggi, tocca un paese che si vergogna delle sue radici, che abbatte l'albero della storia invece di curarlo amorevolmente, che si divide in mille rivoli, in finte patrie, in miserabili campanilismi.
      Un popolo che non ha memoria storica è un popolo già morto, terra di conquista per chiunque voglia imporre la propria di storia.
      Il tuo post inquadra come meglio non potrebbe quello che era lo spirito della romanità, e quanto ce ne siamo colpevolmente allontanati. Riguardo al sottolineato mi viene da pensare a Cesare, che, quando vide la testa mozzata del suo amico e avversario Pompeo, girò gli occhi dall'altra parte e pianse. Lo stesso Cesare, pochi anni dopo, colpito a tradimento nella Curia di Pompeo, le spalle appoggiate alla statua di quel grande romano, gli rivolse un ultimo sguardo, prima di coprirsi con la toga (vi deve essere una dignità, una compostezza ed un pudore, infatti, anche nel morire) e cadere in silenzio.

      Oggi ci sbraniamo come lupi; non abbiamo più gli ottimi padri cui affidare i nostri ed i destini della Patria, l'educazione, l'edificazione. Non abbiamo più, come dici, il senso della Storia. E infatti siamo barbari illetterati, insapienti, servi indegni e inutili che si affannano per quattro stracci e per quattro straccioni che li tengono sotto al calcagno.
      Last edited by Sean; 22-10-2010, 09:27:18.
      ...ma di noi
      sopra una sola teca di cristallo
      popoli studiosi scriveranno
      forse, tra mille inverni
      «nessun vincolo univa questi morti
      nella necropoli deserta»

      C. Campo - Moriremo Lontani


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