Michele Di Lollo
19 Marzo 2010
Il miracolo indiano si compirà nel 2018. Ne sono convinti gli esperti dell'Economist Intelligent Unit, think tank della rivista economica britannica: “in meno di dieci anni l'economia indiana sorpasserà la Cina”. Ed è come se l'Occidente avesse tirato un sospiro di sollievo.
Non si tratta di una forma di antipatia e diffidenza verso la Repubblica Popolare, di un accanimento contro una grande potenza emergente, né di una strenua difesa di assetti monopolistici, magari legati a un anacronistico istinto coloniale. In ballo c'è qualcosa che va ben oltre le questioni economiche e la produzione di beni reali: la visione di un mercato globale chiuso in gabbia. Ciò che s’intende difendere è piuttosto una cultura, quella occidentale, un'idea di libertà che dovrebbe essere il fondamento di ogni rapporto civile. Che la si chiami economia di mercato e libera impresa in economia, o si parli di democrazia e tutela dei diritti umani in ambito politico, cambia poco. La Cina spaventa per il suo modello di capitalismo ibrido, forzato, che falsifica concorrenza e mercato. Sono queste le carte che le hanno permesso uno sviluppo così rapido, quasi sfrenato. Tutte scelte vincenti sul piano internazionale, ma che nel lungo periodo potrebbero fruttare poco e niente se non saranno assistite da adeguate riforme sociali e amministrative. Pensiamo alla spina dorsale del decollo cinese, alla sua forza-lavoro mal pagata e sfruttata all’inverosimile. Il turbo-comunismo cinese si è concentrato sull'assemblaggio finale di prodotti a basso costo e di scarsa qualità. Soldi facili, per un futuro incerto.
L'India è tutta un'altra storia. Attualmente quella indiana è la seconda economia al mondo, con enormi prospettive. Il "modello indiano", se così possiamo definire la via del progresso scelta da Nuova Delhi, nasce da quell'innato senso di libertà che ha guidato il popolo indiano contro la dominazione inglese e dalla quale emerge il bisogno di crescere e prosperare. Ovviamente, nel rispetto dei diritti dell’individuo e delle sue aspirazioni. L'India di oggi non è più solo sinonimo di divisioni in caste, emarginazione e razzismo su base etnica e religiosa. Ha saputo trovare una strada indipendente verso uno sviluppo economico saldo, ormai maturo per poter aspirare non solo al primato continentale, ma anche su scala globale. Prendiamo il caso del cinema, uno degli elementi centrali della ‘nuova’ industria indiana e, allo stesso tempo, un valido strumento di narrazione di questa crescita. Film come “The Millionaire” sono riusciti a offrire un ritratto verosimile degli assetti e dei sogni di questa grande società in mutamento. Gli stessi personaggi che appaiono sullo schermo, sono i protagonisti di una vera e propria rivoluzione. Insomma, in tutti i settori dell'economia, da Bollywood ai call center, c'è aria di rinnovamento. Nuova linfa vitale per il Paese, che lascia di stucco e affascina il mondo occidentale.
Il valore aggiunto dell’India, rispetto alle capacità cinesi, sta nell'aver afferrato l'importanza della specializzazione in prodotti di alta qualità. Un settore in costante crescita è, infatti, quello dei servizi tecnologici e della finanza. L'India è divenuta grande esportatrice di software. Un altro settore in ascesa è poi quello della ricerca, soprattutto medica. Ci si aspetta che l'economia dell'India cresca nei prossimi anni, con un ritmo che si aggira presumibilmente intorno all'otto per cento. New Delhi, come Londra o New York. Questo sarà presumibilmente il cuore del mondo post-moderno. L’India è una sorta di pompa che, continuando a pulsare senza perdere un colpo, rompe ogni schema novecentesco, ma il segreto della rivoluzione capitalistica indiana è facilmente spiegabile: una classe dirigente giovane, con un ottima conoscenza della lingua inglese. Una generazione che guarda con ottimismo a Occidente ed apprende i suoi segreti, riproponendoli adeguatamente in “salsa curry”. La Vecchia Europa e la non più giovane America hanno scelto di aprirsi e commerciare con il colosso indiano, mentre New Delhi ha offerto al migliore offerente il proprio know-how. Ecco, dunque, la ricetta di questo successo. Appuntamento al 2018, inizia il futuro.
19 Marzo 2010
Il miracolo indiano si compirà nel 2018. Ne sono convinti gli esperti dell'Economist Intelligent Unit, think tank della rivista economica britannica: “in meno di dieci anni l'economia indiana sorpasserà la Cina”. Ed è come se l'Occidente avesse tirato un sospiro di sollievo.
Non si tratta di una forma di antipatia e diffidenza verso la Repubblica Popolare, di un accanimento contro una grande potenza emergente, né di una strenua difesa di assetti monopolistici, magari legati a un anacronistico istinto coloniale. In ballo c'è qualcosa che va ben oltre le questioni economiche e la produzione di beni reali: la visione di un mercato globale chiuso in gabbia. Ciò che s’intende difendere è piuttosto una cultura, quella occidentale, un'idea di libertà che dovrebbe essere il fondamento di ogni rapporto civile. Che la si chiami economia di mercato e libera impresa in economia, o si parli di democrazia e tutela dei diritti umani in ambito politico, cambia poco. La Cina spaventa per il suo modello di capitalismo ibrido, forzato, che falsifica concorrenza e mercato. Sono queste le carte che le hanno permesso uno sviluppo così rapido, quasi sfrenato. Tutte scelte vincenti sul piano internazionale, ma che nel lungo periodo potrebbero fruttare poco e niente se non saranno assistite da adeguate riforme sociali e amministrative. Pensiamo alla spina dorsale del decollo cinese, alla sua forza-lavoro mal pagata e sfruttata all’inverosimile. Il turbo-comunismo cinese si è concentrato sull'assemblaggio finale di prodotti a basso costo e di scarsa qualità. Soldi facili, per un futuro incerto.
L'India è tutta un'altra storia. Attualmente quella indiana è la seconda economia al mondo, con enormi prospettive. Il "modello indiano", se così possiamo definire la via del progresso scelta da Nuova Delhi, nasce da quell'innato senso di libertà che ha guidato il popolo indiano contro la dominazione inglese e dalla quale emerge il bisogno di crescere e prosperare. Ovviamente, nel rispetto dei diritti dell’individuo e delle sue aspirazioni. L'India di oggi non è più solo sinonimo di divisioni in caste, emarginazione e razzismo su base etnica e religiosa. Ha saputo trovare una strada indipendente verso uno sviluppo economico saldo, ormai maturo per poter aspirare non solo al primato continentale, ma anche su scala globale. Prendiamo il caso del cinema, uno degli elementi centrali della ‘nuova’ industria indiana e, allo stesso tempo, un valido strumento di narrazione di questa crescita. Film come “The Millionaire” sono riusciti a offrire un ritratto verosimile degli assetti e dei sogni di questa grande società in mutamento. Gli stessi personaggi che appaiono sullo schermo, sono i protagonisti di una vera e propria rivoluzione. Insomma, in tutti i settori dell'economia, da Bollywood ai call center, c'è aria di rinnovamento. Nuova linfa vitale per il Paese, che lascia di stucco e affascina il mondo occidentale.
Il valore aggiunto dell’India, rispetto alle capacità cinesi, sta nell'aver afferrato l'importanza della specializzazione in prodotti di alta qualità. Un settore in costante crescita è, infatti, quello dei servizi tecnologici e della finanza. L'India è divenuta grande esportatrice di software. Un altro settore in ascesa è poi quello della ricerca, soprattutto medica. Ci si aspetta che l'economia dell'India cresca nei prossimi anni, con un ritmo che si aggira presumibilmente intorno all'otto per cento. New Delhi, come Londra o New York. Questo sarà presumibilmente il cuore del mondo post-moderno. L’India è una sorta di pompa che, continuando a pulsare senza perdere un colpo, rompe ogni schema novecentesco, ma il segreto della rivoluzione capitalistica indiana è facilmente spiegabile: una classe dirigente giovane, con un ottima conoscenza della lingua inglese. Una generazione che guarda con ottimismo a Occidente ed apprende i suoi segreti, riproponendoli adeguatamente in “salsa curry”. La Vecchia Europa e la non più giovane America hanno scelto di aprirsi e commerciare con il colosso indiano, mentre New Delhi ha offerto al migliore offerente il proprio know-how. Ecco, dunque, la ricetta di questo successo. Appuntamento al 2018, inizia il futuro.
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