Vescovo del Sudan:
«Sette cristiani crocifissi»
La denuncia al Sinodo africano: «Attacchi e persecuzioni da parte delle milizie governative»
CITTÀ DEL VATICANO — Si parla di crocifissione dei cristiani, al Sinodo per l’Africa che si sta riunendo in Vaticano. E non è una metafora: «Il 13 agosto i ribelli sono entrati nella chiesa della mia parrocchia ed hanno preso tante persone in ostaggio. Mentre fuggivano nella foresta, ne hanno uccise sette: li hanno crocifissi agli alberi». Monsignor Hiiboro Kussala è vescovo della diocesi di Tombura Yambio, nel Sud del Sudan.
Il suo racconto a Radio Vaticana , la voce dolente e ferma, testimonia come l’odio e i massacri non siano certo finiti con l’incriminazione del presidente Al Bashir decisa in marzo dal Tribunale internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità, il genocidio nel Darfur. Le violenze continuano anche su un altro fronte, quello che divide «un Nord prevalentemente arabo che ha imposto la legge coranica», il governo di Al Bashir a Khartoum, «e un Sud cristiano animista», riassume l’emittente della Santa Sede. Le elezioni politiche, previste dagli accordi di pace del 2005, dovrebbero svolgersi entro il 2010, mentre nel 2011 si attende il referendum per l’autodeterminazione del Sud. Appuntamenti messi in pericolo dai «ripetuti attacchi contro i cristiani», violenze «perpetrate da gruppi ribelli legati a Khartoum»: non soltanto «stanno ricevendo aiuti dal governo del Nord», accusa il vescovo, ma «alcuni di loro sono stati istruiti da Al Qaeda in Afghanistan: sono contro la Chiesa, il progetto è intimidire i cristiani». La crocifissione dei sette parrocchiani di monsignor Kussala non è un orrore isolato, «si verificano tanti drammi come questo», e d’altra parte «tutti questi gruppi hanno fucili, armi: credo ci sia la volontà di lasciare il Sud Sudan in difficoltà perché non abbia quella pace necessaria per preparare il referendum».
Quando gli si chiede se testimoniare il Vangelo, in Sudan, significhi rischiare il martirio, il vescovo non ha esitazioni: «Sì. Noi viviamo proprio in questo senso, perché stanno uccidendo la gente, bruciano le loro case, le chiese: questo è martirio».
«Sette cristiani crocifissi»
La denuncia al Sinodo africano: «Attacchi e persecuzioni da parte delle milizie governative»
CITTÀ DEL VATICANO — Si parla di crocifissione dei cristiani, al Sinodo per l’Africa che si sta riunendo in Vaticano. E non è una metafora: «Il 13 agosto i ribelli sono entrati nella chiesa della mia parrocchia ed hanno preso tante persone in ostaggio. Mentre fuggivano nella foresta, ne hanno uccise sette: li hanno crocifissi agli alberi». Monsignor Hiiboro Kussala è vescovo della diocesi di Tombura Yambio, nel Sud del Sudan.
Il suo racconto a Radio Vaticana , la voce dolente e ferma, testimonia come l’odio e i massacri non siano certo finiti con l’incriminazione del presidente Al Bashir decisa in marzo dal Tribunale internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità, il genocidio nel Darfur. Le violenze continuano anche su un altro fronte, quello che divide «un Nord prevalentemente arabo che ha imposto la legge coranica», il governo di Al Bashir a Khartoum, «e un Sud cristiano animista», riassume l’emittente della Santa Sede. Le elezioni politiche, previste dagli accordi di pace del 2005, dovrebbero svolgersi entro il 2010, mentre nel 2011 si attende il referendum per l’autodeterminazione del Sud. Appuntamenti messi in pericolo dai «ripetuti attacchi contro i cristiani», violenze «perpetrate da gruppi ribelli legati a Khartoum»: non soltanto «stanno ricevendo aiuti dal governo del Nord», accusa il vescovo, ma «alcuni di loro sono stati istruiti da Al Qaeda in Afghanistan: sono contro la Chiesa, il progetto è intimidire i cristiani». La crocifissione dei sette parrocchiani di monsignor Kussala non è un orrore isolato, «si verificano tanti drammi come questo», e d’altra parte «tutti questi gruppi hanno fucili, armi: credo ci sia la volontà di lasciare il Sud Sudan in difficoltà perché non abbia quella pace necessaria per preparare il referendum».
Quando gli si chiede se testimoniare il Vangelo, in Sudan, significhi rischiare il martirio, il vescovo non ha esitazioni: «Sì. Noi viviamo proprio in questo senso, perché stanno uccidendo la gente, bruciano le loro case, le chiese: questo è martirio».
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