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senza Berlusconi non sarebbero stati in Parlamento e tutti si ricordino che sono stati eletti nel Pdl e hanno sottoscritto il programma del partito».
Voglio capire se nel programma del partito figuravano le varie leggi come la Alfano, legittimo impedimento, processo breve, riforma delle intercettazioni, etc.
Nel programma c'erano scritte tutte questa brillanti idee? L'elettore che ha dato mandato a berlusconi, era al corrente di tutte queste cose? No? Allora chi cavolo autorizza un governo a decretare cose non urgenti e che non erano state pattuite con gli elettori?
Dare un mandato a Berlusconi non significa dargli carta bianca; significa autorizzarlo a cercare di portare a termine le cose che aveva esposto quando andava da Bruno Vespa o quando scriveva il programma di governo.
Certo che se un deputato non vota le cose del programma sottoscritto è un nonsenso, ma cosa succede quando un governo si prende la briga di far sottoscrivere ai tuoi deputati anche le cose che non hanno niente a che fare con il programma e nascono solo dall'esigenza di salvaguardare gli interessi di una casta?
“Cento nomi nascondono i segreti delle stragi” Parla Roberto Scarpinato, nuovo procuratore generale a CaltanisettaDottor Roberto Scarpinato, come nuovo procuratore generale a Caltanissetta lei dovrà occuparsi dell’iter della revisione del processo per la strage di via D’Amelio, che a quanto pare ha condannato definitivamente almeno sette persone innocenti, di cui tre si erano autoaccusate falsamente. Ora, sulle stragi del 1992-93, i suoi colleghi di Palermo e Caltanissetta dicono che siamo prossimi a una verità che la classe politica potrebbe non reggere. Qual è la sua opinione?
Proprio a causa del mio nuovo ruolo non posso entrare nel merito di indagini e processi in corso. Mi limito a un sommario inventario che induce a ritenere che i segreti del multiforme sistema criminale che pianificò e realizzò la strategia terroristico-mafiosa del 1992-93 siano a conoscenza, in tutto o in parte, di circa un centinaio di persone. E tutte, dalla prima all’ultima, continuano a custodirli dietro una cortina impenetrabile.
E chi sarebbero tutte queste persone?
Partiamo dai mafiosi doc: Riina, Provenzano, i Graviano, Messina Denaro, Bagarella, Agate, i Madonia di Palermo, Giuseppe Madonia di Caltanissetta, Ganci padre e figlio, Santapaola e tutti gli altri boss della “commissione regionale” di Cosa Nostra che si riunirono a fine 1991 per alcuni giorni in un casale delle campagne di Enna per progettare la strategia stragista. Una trentina di boss che poi riferirono le decisioni in tutto o in parte ai loro uomini di fiducia. Altre decine di persone. Nessuno di loro ha mai detto una parola sul piano eversivo globale. Le notizie che abbiamo ce le hanno fornite uomini d’onore che le avevano apprese in via confidenziale da alcuni partecipanti al vertice, come Leonardo Messina, Maurizio Avola, Filippo Malvagna. Altri a conoscenza del piano sono stati soppressi poco prima che iniziassero a collaborare, come Luigi Ilardo, o sono stati trovati morti nella loro cella, come Antonino Gioè. Agli esecutori materiali delle stragi o di delitti satellite, i vertici mafiosi in genere non rivelavano i retroscena politici del piano stragista, si limitavano a fornire spiegazioni di causali elementari e di copertura. Aggiungiamo i vertici della ndrangheta che, come hanno rivelato vari collaboratori, tennero nello stesso periodo una riunione analoga nel santuario di Polsi.
Chi altri sa?
È da supporre una serie di personaggi che anticiparono gli eventi che poi puntualmente si verificarono. L’agenzia di stampa “Repubblica” vicina a Vittorio Sbardella, ex leader degli andreottiani romani (nulla a che vedere col quotidiano omonimo) scrisse 24 ore prima di Capaci che di lì a poco si sarebbe verificato “un bel botto” nell’ambito di una strategia della tensione finalizzata a far eleggere un outsider come presidente della Repubblica al posto del favoritissimo Andreotti. Il che puntualmente avvenne, così Andreotti fu costretto a farsi da parte e venne eletto Scalfaro. Anni dopo Giovanni Brusca ha riferito che la tempistica di Capaci era stata preordinata per finalità che coincidono esattamente con quelle annunciate nel profetico articolo. Dunque, o l’autore aveva la sfera di cristallo, o conosceva alcuni aspetti della strategia stragista e aveva deciso di intervenire sul corso degli eventi con una comunicazione cifrata, comprensibile solo da chi era a parte del piano.
L’agenzia Repubblica aveva pure anticipato il progetto globale in cui si inscriveva il delitto Lima.
Esattamente. Il 19 marzo 1992, pochi giorni dopo l’assassinio di Salvo Lima (andreottiano come Sbardella, ndr), l’agenzia annunciò che l’omicidio era l’incipit di una complessa strategia della tensione “all’interno di una logica separatista e autonomista […] volta a consegnare il Sud alla mafia siciliana per divenire essa stessa Stato al fine di costituirsi come nuovo paradiso del Mediterraneo […] mediante un attacco diretto ai centri nevralgici di mediazione del sistema dei partiti popolari […]. Paradossalmente il federalismo del Nord avrebbe tutto l’interesse a lasciare sviluppare un’analoga forma organizzativa al Sud lasciando che si configuri come paradiso fiscale e crocevia di ogni forma di traffici e di impieghi produttivi, privi delle usuali forme di controllo, responsabili della compressione del reddito derivabile dalla diversificazione degli impieghi di capitale disponibile”. Anni dopo Leonardo Messina rivelò alla magistratura e all’Antimafia il progetto politico secessionista di cui si era discusso nel summit di Enna su input di soggetti esterni che dovevano dare vita a una nuova formazione politica sostenuta da “vari segmenti dell’imprenditoria, delle istituzioni e della politica”. Come faceva l’autore dell’articolo a sapere ciò che anni dopo avrebbe svelato Messina? È come se circolassero informazioni in un circuito separato e parallelo a quello destinato alla massa. Un circuito soprastante alla base mafiosa, delegata ad eseguire la parte militare del piano, e interno alla mente politica collettiva che quel piano aveva concepito, anche se poi quel piano mutò in corso d’opera per una serie di eventi sopravvenuti, e si puntò così ad una diversa soluzione incruenta. In questo quadro c’è poi da chiedersi perché, in un’intervista del 1999, il professor Miglio, ex teorico della Lega Nord, dichiarò parlando dei fatti dei primi anni ‘90: “Io sono per il mantenimento anche della mafia e della ‘ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate”.
Andiamo avanti.
L’ex neofascista Elio Ciolini, già coinvolto nelle indagini sulla strage di Bologna, il 4 marzo 1992 scrisse una lettera dal carcere al giudice Leonardo Grassi per anticipargli che “nel periodo marzo-luglio” si sarebbero verificati fatti per destabilizzare l’ordine pubblico con esplosioni dinamitarde e omicidi politici. Puntualmente il 12 marzo fu ucciso Lima e nel maggio e luglio ci furono le stragi di Capaci e via D’Amelio. Il 18 marzo Ciolini aggiunse che il piano eversivo era di “matrice masso-politico-mafiosa” , come rivelarono poi alcuni collaboratori di giustizia, e preannunciò un’operazione terroristica contro un leader del Psi. Anni dopo accertammo che era stato progettato l’omicidio di Claudio Martelli, fallito per alcuni imprevisti.
Chi manca, alla “lista della spesa”?
Quanti si celavano dietro la sigla della “Falange armata” i quali, pochi giorni dopo le dimissioni di Martelli da ministro perché coinvolto nelle indagini sul conto segreto svizzero “Protezione” a seguito delle dichiarazioni rese da Silvano Larini (il 9.2.1993) e da Licio Gelli (il 17.2.1993), diffusero il 21 aprile 1993 un comunicato per invitare Martelli a non fare la vittima e ad essere “grato alla sorte che anche per lui si sia potuta perseguire la via politica invece che quella militare”; e poi per lanciare avvertimenti a Spadolini, Mancino e Parisi, annunciando future azioni. Pochi mesi dopo, la manovra dello scandalo dei fondi neri del Sisde indusse Parisi a dimettersi, fece vacillare il ministro Mancino e anche il presidente Scalfaro, il quale denunciò che dietro quella vicenda si muovevano oscuri progetti di destabilizzazione politica.
E poi?
L’elenco sarebbe molto lungo e coinvolgerebbe tanti soggetti di quali non posso parlare, visti i limiti che derivano dal mio ruolo. Possiamo forse aggiungere alcuni di coloro che hanno concepito il depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio: cioè la costruzione a tavolino, tramite falsi pentiti, di una versione minimalista che ha “tarato” le indagini verso il basso, circoscrivendola a una banda di piccoli criminali come Scarantino, e garantendo intorno ad essa un muro impenetrabile di omertà che ha retto fino a un paio di anni fa, cioè alle dichiarazioni autoaccusatorie di Spatuzza. Poi, se i riscontri dovessero confermare le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, ci sono i vari “signor Franco” o “signor Carlo” che affiancarono suo padre Vito facendo da cerniera tra mondo mafioso e mondi superiori durante le stragi. E inoltre quanti garantirono a Provenzano, garante della soluzione politica alternativa a quella cruenta di Riina, di muoversi per anni liberamente per l’Italia e di visitare Vito Ciancimino gli arresti domiciliari. Poi coloro che fecero sparire l’agenda rossa di Borsellino. E tanti altri…
Come gli ufficiali del Ros Mori e De Donno, ora imputati per la mancata cattura di Provenzano dopo la trattativa che portò all’arresto di Riina, con annessa mancata perquisizione del covo e sparizione delle carte segrete del boss. E i superiori militari e politici che autorizzarono quella “trattativa”.
Non posso rispondere. Sono fatti ancora oggetto di indagini in corso.
Su questa convergenza di ambienti e interessi lei, a Palermo, aveva avviato l’indagine “Sistema criminale”, poi in parte archiviata. Che cos’è il sistema criminale?
Quello che abbiamo appena sintetizzato. Un sistema composto da esponenti di mondi diversi, tutti rimasti orfani dopo la caduta del Muro di Berlino delle passate protezioni, all’ombra delle quali avevano potuto coltivare i più svariati interessi economici e criminali, tra questi anche la mafia militare sino ad allora tollerata come anticorpo contro il pericolo comunista. Questi mondi intercomunicanti attraverso uomini cerniera erano accomunati da un interesse convergente: destabilizzare il sistema agonizzante della Prima Repubblica e impedire un ricambio politico radicale ai vertici del Paese con l’avvento delle sinistre al potere (la “gioiosa macchina da guerra”). Ciò doveva avvenire mediante la creazione di un nuovo soggetto politico che avrebbe dovuto conquistare il potere mediante un’articolata strategia che si snodava contemporaneamente sul piano militare e politico. La nostra ipotesi, almeno sul piano storico, esce sempre più confermata dalle recenti scoperte investigative. Nella stagione delle stragi si muovono molteplici operatori che poi si dividono i compiti. Chi concepisce il piano, chi lo realizza a livello militare, chi organizza la disinformazione e chi i depistaggi. Basterebbe che cominciasse a parlare qualcuno che conosce anche solo la sua parte, per consentirci enormi passi avanti nella ricerca della verità. Ma, finora, non parla nessuno.
Be’, mafiosi come Spatuzza e figli di mafiosi come Massimo Ciancimino parlano. E costringono a ricordare qualche esponente delle istituzioni: gli improvvisi lampi di memoria di alcuni politici, dopo 17-18 anni, sul ruolo di Mori durante la “trattativa” con Ciancimino fanno pensare che tanti a Roma sappiano molto, se non tutto…
Anche qui preferisco non addentrarmi in vicende specifiche, tuttora oggetto di indagini e processi. Prescindendo da casi specifici, vista dall’alto la tragica sequenza degli avvenimenti di quegli anni fa pensare al “gioco grande” di cui parlava Falcone: l’ennesimo gigantesco war game giocato all’interno di alcuni settori della nomenclatura del potere nazionale sulla pelle di tanti innocenti. Un war game trasversale combattuto anche a colpi di segnali, messaggi trasversali, avvertimenti in codice, veti incrociati e ricatti sotterranei: non potendo parlare esplicitamente tutti erano costretti a comunicare con linguaggi cifrati.
Perché dice “ennesimo war game”?
Tutta la storia repubblicana è segnata dal “gioco grande” celato dietro progetti di colpi di Stato poi rientrati (dal golpe Borghese al piano Solo) e stragi caratterizzate da depistaggi provenienti da apparati statali: da Portella della Ginestra alla strage di Bologna alle stragi del 1992-93. Perciò la questione criminale in Italia è inestricabilmente intrecciata con la storia nazionale e con la questione stessa dello Stato e della democrazia.
Possibile che, in un Paese debole di prostata dove nessuno si tiene niente, i segreti sulle stragi custoditi da tanta gente tanto eterogenea restino impenetrabili a quasi vent’anni di distanza?
Molte stragi d’Italia nascondono retroscena che coinvolgono decine, se non centinaia di persone. Pensi a Portella della Ginestra: la banda Giuliano, i mafiosi, i servizi segreti, esponenti delle Forze dell’ordine, il ministero dell’Interno. Pensi alle stragi della destra eversiva. Così quelle politico-mafiose del 1992-93. La storia insegna che quando un segreto dura nel tempo sebbene condiviso da decine e decine di persone, è il segno che su quel segreto è impresso il sigillo del potere. Un potere che cavalca la storia riproducendosi nelle sue componenti fondamentali e che eleva intorno al proprio operato un muro invalicabile di omertà, perché è così forte da poter depistare le indagini, alimentare la disinformazione, distruggere la vita delle persone, riuscendo a raggiungerle e a eliminarle anche nel carcere più protetto. Come Gaspare Pisciotta, testimone scomodo ucciso all’Ucciardone con un caffè alla stricnina, e a un’altra decina di persone al corrente dei segreti retrostanti la strage di Portella. E come Ermanno Buzzi, condannato in primo grado per la strage di Brescia e strangolato in carcere. Resta inquietante lo strano suicidio in carcere nel 1993 di Nino Gioè, appena arrestato e sospettato per Capaci, dopo strani incontri con agenti dei servizi e una strana trattativa avviata con Paolo Bellini, coinvolto in indagini sull’eversione nera negli anni 70, per aprire un canale con Cosa Nostra. Ed è inquietante che Nino Giuffrè, braccio destro di Provenzano, abbia raccontato di essere stato invitato a suicidarsi nel 2005, subito dopo l’inizio della sua collaborazione, ancora segretissima. Il muro dell’omertà comincia a fessurarsi solo quando il sistema di potere entra in crisi.
È per questo che oggi si aprono spiragli importanti di verità?
Presto per dirlo, ma ancora una volta la lezione della storia ce lo insegna. Quando la Prima Repubblica era potente, Buscetta, Marino Mannoia e altri collaboratori rifiutarono di raccontare a Falcone i rapporti mafia-politica: iniziarono a svelarli solo nel ‘92, quando quel sistema crollò, o meglio sembrò fosse crollato.
Oggi il governo appena qualcuno torna a parlare, vedi Spatuzza, gli nega il programma di protezione. Che messaggio è?
Quella decisione è stata presa contro il voto di dissenso dei magistrati della Procura nazionale antimafia che fanno parte della Commissione sui collaboratori di giustizia e contro il parere concorde dei magistrati di ben tre Procure della Repubblica antimafia: Caltanissetta, Palermo e Firenze. Intorno al caso Spatuzza e sul fronte delle indagini sulle stragi si è verificata una spaccatura assolutamente inedita tra magistrati e gli altri componenti della Commissione. Proprio perché non si tratta di una scelta di routine e proprio a causa di questa spaccatura, quella decisione in un mondo come quello mafioso che vive di segnali può essere equivocata e letta in modo distorto: nel senso che lo Stato in questo momento non è compatto nel voler conoscere la verità sulle stragi. Naturalmente non è affatto così, le motivazioni del dissenso sono di tipo giuridico, ma è innegabile che il pericolo esista.
Dunque hanno ragione i pm di Caltanissetta quando dicono in Antimafia che la politica non è pronta a fronteggiare l’onda d’urto delle nuove verità sulle stragi?
A me risulta che le loro dichiarazioni sono state riportate dalla stampa in modo inesatto. In ogni caso, sulle stragi e i loro retroscena abbiamo oggi un’occasione più unica che rara, forse l’ultima, per raccontare una storia collettiva sepolta da quasi vent’anni di oblio organizzato. Per restituire al Paese la sua verità e aiutarlo a divenire finalmente adulto. Se non dovessimo farcela neppure stavolta, non ci resterebbe che fare nostra un’amara considerazione di Martin Luther King: “Alla fine non ricorderemo le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici”.
Intanto continua la caccia a Granata. Tra mafiosi, camorristi, puttane e piduisti sembra che l'unico indegno di stare nel PDL sia uno che parla apertamente di mafia. Se non fosse coerente con la storia di quel partito sarebbe ridicolo. Ma io ringrazio Granata, che ci ricorda come si possa essere di destra senza essere dei faccendieri, senza dare il culo a Berlusconi, senza rubare a man salva, senza andare a pranzo con i boss.
Anche La Russa contro il finiano ribelle
E sul Pdl: spero in pace Fini-Berlusconi
Nuovo attacco a Granata: faccia i nomi o chieda scusa. La replica: ho detto solo verità oggettive e verificabili
Su Verdini: «Mi ha dato la sua parola d'onore, credo nella sua innocenza»
Anche La Russa contro il finiano ribelle
E sul Pdl: spero in pace Fini-Berlusconi
Nuovo attacco a Granata: faccia i nomi o chieda scusa. La replica: ho detto solo verità oggettive e verificabili
ROMA - Sabato era stato un suo pari grado, Maurizio Lupi, deputato proveniente dalle fila di Forza Italia, ad attaccarlo ipotizzandone un deferimento ai probiviri del partito per le dichiarazioni sui pezzi dello Stato e del governo che ostacolerebbero l'accertamento della verità sulle stragi di mafia del 1992. Oggi è stato il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, uno dei coordinatori del Pdl con cui ha condiviso la militanza in An, a prendere di petto il finiano Fabio Granata chiedendogli di scusarsi per quelle parole. «O dici nomi, cognomi o almeno dai indizi forti sui pezzi del governo che starebbero ostacolando la lotta alla mafia oppure tu chiedi scusa o lascia il partito». BOTTA E RISPOSTA - La Russa ha parlato da Orvieto ad una convention politica. «Se Granata ha elementi per sostenere che nel governo ci sono persone che ostacolano le indagini sulla mafia - ha detto il ministro - allora sono io che me ne vado dal Pdl, perché me lo imporrebbe la mia storia. Ma deve fornire i nomi, non dico una prova giudiziale ma indizi forti. Altrimenti la sua è, come io penso, una frase da quaquaraquà, pronunciata per finire sui giornali. E allora non servono i probiviri, perché Granata sarebbe incompatibile politicamente per una coabitazione nel Pdl». Granata ha replicato a mezzo agenzie di stampa: «Non ho davvero nulla di cui scusarmi. Le verità che ho detto - ha spiegato Granata - sono oggettive e sostenibili in qualsiasi sede, anche in quella (se esiste) dei probiviri del Pdl dove La Russa e gli ex amici di An potranno chiedere con forza la mia espulsione e ribadire la loro fraterna solidarietà a Verdini e Cosentino». LO SCONTRO CON MANTOVANO - Un altro fronte è quello che vede contrapposto Granata al sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, a sua volta ex di An. Granata aveva detto che tra i «pezzi del governo» a cui fa riferimento «c'è anche Mantovano che da presidente della Commissione per il programma di protezione ai pentiti ha negato la protezione a Spatuzza». Parole, queste, che non sono piaciute ad esempio al sindaco di Roma, Gianni Alemanno: «Le offese rivolte a Mantovano da Granata sono inaccettabili dal punto di vista umano, istituzionale e politico». Sia Alemanno sia lo stesso Mantovano chiedono che Gianfranco Fini si esprima in proposito: «E’ necessario che Fini e i suoi prendano nettamente distanze da Granata ed è necessario che, salvo ripensamenti drastici e dell’ultima ora, Granata vada a farsi un altro giro fuori dal nostro ambiente perché siamo stanchi di parlare di illazioni». «CREDO IN VERDINI» - Più tardi La Russa è tornato sulla vicenda intervistato da Sky Tg 24. Ha ribadito l'invito a Granata a fare i nomi e ha espresso la convinzione sull'innocenza di Verdini, come lui coordinatore del Pdl. «Ho parlato con lui, gli ho chiesto di dirmi esattamente come stanno le cose, visto che lavoriamo fianco a fianco nella conduzione del partito - ha detto La Russa -. Mi ha dato la sua parola d'onore, mi ha assicurato di non avere mai svolto attività contro la legge e io ho il diritto e il dovere di credere alla sua onestà». IL RAPPORTO BERLUSCONI-FINI - La Russa ha poi parlato del rapporto tra i due confondatori del partito, augurandosi il ripristino del clima di collaborazione che ha portato alla nascita del partito unitario. E sul suo ex leader ha detto: «Sono disponibile a spendermi perchè si trovi un accordo tra Fini e Berlusconi. Può, forse, esistere un corridoio molto stretto perchè ritorni il clima che fece nascere il Pdl». La Russa fa un'ipotesi, da lui stesso definita «fantascientifica»: «Potrebbero trovarsi d'accordo sul fatto che Fini lasci la presidenza della Camera ed entri nel governo, magari al ministero delle Attività produttive, e poi con un ruolo anche nel partito. La situazione cambierebbe radicalmente. So che è molto difficile ma se si chiudesse anche questo spiraglio avrebbero ragione i pessimisti».
In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte. ma_75@bodyweb.com
consiglio a tutti la visone del documetario "patto tra stato e mafia" su current....molto bello, giornalisti veri, con palle vere.....cose mai sentite anche sul padre del "buon" La russa (il più pulito ha la rogna)
CAGLIARI - Grazie al piano casa della Regione Sardegna, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi potrà realizzare nuovi bungalow abitabili nel complesso di Villa Certosa, residenza estiva del premier a Porto Rotondo. Il via libera - come riporta oggi il quotidiano La Nuova Sardegna - è arrivato dalla Commissione paesaggistica regionale, che ha esaminato l'istanza di ampliamento della volumetria, presentata nel maggio scorso, dalla Idra Immobiliare spa, la società del Cavaliere proprietaria di Villa Certosa. La Commissione, presieduta dallo scultore sardo Pinuccio Sciola (l'inventore delle pietre sonore) non ha - spiega La Nuova Sardegna - rilevato elementi di incompatibilità dal punto di vista paesaggistico. "Si tratta di alcune strutture staccate dal corpo centrale della residenza - spiega Sciola al quotidiano sardo - inserite in uno spazio immenso. Non c'era alcun motivo per negare il parere positivo". Complessivamente sono 35 le unità edilizie (hotel, villaggi turistici, ville private) che hanno chiesto alla Commissione regionale l'ampliamento delle volumetrie. Una ventina di richieste sono state già bocciate. VERDI, RICORSO TAR CONTRO MODIFICHE VILLA CERTOSA - "Presenteremo un ricorso al Tar Sardegna per chiedere che venga annullata l'autorizzazione paesaggistica rilasciata al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per l'ampliamento di Villa Certosa e la costruzione di numerosi bungalow". Lo dichiara il Presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli in una nota. "A quanto ne sappiamo - aggiunge - il progetto presentato per Villa Certosa, infatti, è assolutamente insufficiente e per niente dettagliato. Inoltre, la normativa sul paesaggio in Sardegna vieterebbe anche solo la costruzione di un metro cubo sulle coste". "In questo caso è evidente il conflitto d'interessi di Berlusconi che avrà un vantaggio diretto ed economico da una norma da lui fortemente voluta e approvata: il piano casa, a cui ci siamo sempre opposti. Il valore di Villa Certosa - prosegue Bonelli - aumenterà di diversi milioni di euro in barba a tutte le normative a tutela del paesaggio e dell'ambiente: l'assalto del cemento e della speculazione alle coste sarde è iniziato". "Berlusconi avrebbe dovuto astenersi dal chiedere l'autorizzazione per questo ampliamento - conclude Bonelli - in questo modo, ancora una volta, dimostra di preoccuparsi più dei suoi interessi che di quelli del Paese".
Intanto continua la caccia a Granata. Tra mafiosi, camorristi, puttane e piduisti sembra che l'unico indegno di stare nel PDL sia uno che parla apertamente di mafia. Se non fosse coerente con la storia di quel partito sarebbe ridicolo. Ma io ringrazio Granata, che ci ricorda come si possa essere di destra senza essere dei faccendieri, senza dare il culo a Berlusconi, senza rubare a man salva, senza andare a pranzo con i boss.
dal blog di Angela Napoli parlamentare pdl
Ma che scuse e scuse?
Ho l’impressione che molti uomini politici non abbiano mai aperto il dizionario della lingua italiana per leggere e, quindi, acquisire il vero significato della parola “legalità”. Sicuramente è disconosciuta da coloro che, dall’interno del Pdl, osano minacciare chi, estraneo all’area del malaffare, della corruzione e delle collusioni con ambienti della criminalità organizzata, fa incessantemente richiamo al rispetto della legalità.
Apprendo dalle Agenzie di stampa che persino il ministro LaRussa, coordinatore nazionale (quindi doppio incarico!) del Partito (ammesso che lo si possa definire Partito!) insieme a Verdini, pretenderebbe le scuse da parte di chi fa appello alla legalità.
Il Cavaliere, poi, avrebbe già cancellato Fini ed i finiani dal Pdl, lasciando la trattazione del tema “Competenza e onestà per una buona politica” ai Verdini, ai Cosentino, ai Bertolaso, ai Dell’Utri, e compagni. Ci vuole davvero coraggio! Coraggio foraggiato dagli ex colonnelli, oggi solo sudditi, di AlleanzaNazionale, i quali hanno facilmente cancellato la loro militanza nel Partito dove “legalità”, “onestà”, “rettitudine”, “coerenza”, “gratitudine”, “unità nazionale” erano valori portanti.
L’etica politica è ben altra cosa rispetto alla tutela di un sistema che coniuga malcostume, episodi scandalistici, corruzione e mancanza di responsabilità!
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Voi potete mentire a voi stesso, a quei servi che stanno con voi. Ma scappare, però, non potrete giammai, perché là, vi sta guardando Notre Dame"
Ragazzi su, riportate in vita questo 3D, che tra una settimana Ma_75 sarà costretto a rettificare almeno un messaggio su due, pena la multa fino a 12000 euro...
Ragazzi su, riportate in vita questo 3D, che tra una settimana Ma_75 sarà costretto a rettificare almeno un messaggio su due, pena la multa fino a 12000 euro...
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Voi potete mentire a voi stesso, a quei servi che stanno con voi. Ma scappare, però, non potrete giammai, perché là, vi sta guardando Notre Dame"
Ragazzi su, riportate in vita questo 3D, che tra una settimana Ma_75 sarà costretto a rettificare almeno un messaggio su due, pena la multa fino a 12000 euro...
Piduista non lo rettifico e nano neppure:nono2:
In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte. ma_75@bodyweb.com
per la questione "nano" mi ricordo che si ribellò l'associazione dei nani tempo fa, ora non ricordo bene verso quale comico, comunque erano molto offesi dall'essere identificati con berlusconi.
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