Dittatura democratica
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Dimenticatevi la cronica debolezza dell'opposizione. Scordate il ferreo controllo di Silvio Berlusconi sulle televisioni. Lasciate perdere i cento deputati in più che il centro-destra ha alla camera rispetto al centro-sinistra. Intanto il motivo per cui il Cavaliere è ancora saldamente alla guida del governo e minaccia di restarci a lungo, impermeabile a ogni scandalo e ogni insuccesso, non è questo. O meglio non è solo questo. La forza che Berlusconi dimostra in questi giorni, ribattendo colpo su colpo e con ogni mezzo a tutti gli attacchi, ha un'origine diversa e precisa: la legge elettorale.
In altri tempi un premier screditato in tutto il mondo sarebbe stato prima o poi sostituito dalla sua stessa maggioranza. Oggi no. I parlamentari del centro-destra, tra i quali è pure possibile registrare un malumore crescente per lo scontro evidente con il Vaticano e per quello (latente) con gli Usa di Barack Obama, sanno di non poter nemmeno pensare di remare contro il capo. Chi alza la testa, infatti, verrà punito. Come? Con la mancata nomina a parlamentare nella successiva legislatura.
Di fatto, insomma, Berlusconi ha già modificato la tradizionale tripartizione del potere caratteristica di tutte le democrazie liberali. Alla faccia di Montesquieu in Italia potere esecutivo e potere legislativo sono più o meno la stessa cosa. Quello giudiziario - o almeno ciò che ne resta - verrà invece sistemato nei prossimi mesi.
Questa evoluzione, anzi questa involuzione, dovrebbe spingere a qualche riflessione sul concetto stesso di democrazia. Basta cioè andare alle urne ogni cinque anni perché un paese possa definirsi democratico? O invece la democrazia è qualcosa di più complesso: qualcosa che ha a che fare non solo con il modo con cui si sceglie chi sta al potere (il voto), ma anche con quello con cui si controlla chi sta al potere?
Il punto, a ben vedere, è tutto qui. E anche se è ovvio che prima o poi il regime berlusconiano finirà (magari con una ben poco democratica congiura di palazzo), è difficile non pensarla come Veronica, la futura ex moglie del presidente del Consiglio, che già in maggio diceva: «Mio marito insegue lo spirito di Napoleone, non quello del dittatore. Il vero pericolo è che in questo paese la dittatura arrivi dopo di lui, se muore la politica, come temo stia accadendo».
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Dimenticatevi la cronica debolezza dell'opposizione. Scordate il ferreo controllo di Silvio Berlusconi sulle televisioni. Lasciate perdere i cento deputati in più che il centro-destra ha alla camera rispetto al centro-sinistra. Intanto il motivo per cui il Cavaliere è ancora saldamente alla guida del governo e minaccia di restarci a lungo, impermeabile a ogni scandalo e ogni insuccesso, non è questo. O meglio non è solo questo. La forza che Berlusconi dimostra in questi giorni, ribattendo colpo su colpo e con ogni mezzo a tutti gli attacchi, ha un'origine diversa e precisa: la legge elettorale.
In altri tempi un premier screditato in tutto il mondo sarebbe stato prima o poi sostituito dalla sua stessa maggioranza. Oggi no. I parlamentari del centro-destra, tra i quali è pure possibile registrare un malumore crescente per lo scontro evidente con il Vaticano e per quello (latente) con gli Usa di Barack Obama, sanno di non poter nemmeno pensare di remare contro il capo. Chi alza la testa, infatti, verrà punito. Come? Con la mancata nomina a parlamentare nella successiva legislatura.
Di fatto, insomma, Berlusconi ha già modificato la tradizionale tripartizione del potere caratteristica di tutte le democrazie liberali. Alla faccia di Montesquieu in Italia potere esecutivo e potere legislativo sono più o meno la stessa cosa. Quello giudiziario - o almeno ciò che ne resta - verrà invece sistemato nei prossimi mesi.
Questa evoluzione, anzi questa involuzione, dovrebbe spingere a qualche riflessione sul concetto stesso di democrazia. Basta cioè andare alle urne ogni cinque anni perché un paese possa definirsi democratico? O invece la democrazia è qualcosa di più complesso: qualcosa che ha a che fare non solo con il modo con cui si sceglie chi sta al potere (il voto), ma anche con quello con cui si controlla chi sta al potere?
Il punto, a ben vedere, è tutto qui. E anche se è ovvio che prima o poi il regime berlusconiano finirà (magari con una ben poco democratica congiura di palazzo), è difficile non pensarla come Veronica, la futura ex moglie del presidente del Consiglio, che già in maggio diceva: «Mio marito insegue lo spirito di Napoleone, non quello del dittatore. Il vero pericolo è che in questo paese la dittatura arrivi dopo di lui, se muore la politica, come temo stia accadendo».
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