Ma sì, “lasciamole ingrassare”. Un gruppo di donne saudite ha lanciato su internet una campagna di protesta con questo slogan, per opporsi alla decisione delle autorità di chiudere le palestre femminili private in Arabia. La rigida interpretazione dell’Islam in vigore nel Regno saudita impone la totale segregazione tra i sessi: uomini e donne sono separati a scuola, al lavoro - e anche in palestra. Esistono «centri di benessere» solo per donne legati a ospedali governativi e cliniche, ma specialmente le più giovani dicono che sono troppo costosi.
Le prime palestre private solo per donne sono nate sei anni fa e sono oggi molto popolari, come luoghi di relax e per combattere l’obesità o i chili di troppo (un problema per il 66% delle saudite, secondo la stampa locale). Ma mentre il dipartimento dello sport e della gioventù concede licenze alle palestre private maschili, non le dà a quelle femminili. Né esiste alcun dipartimento governativo che lo faccia. «Perché ai maschi è permesso frequentare le palestre indipendenti, che non sono certificate e non hanno supervisione medica, mentre alle donne è proibito?», ha protestato Sara Abdulla. «Noi abbiamo le stesse esigenze». La ragione, dice al quotidiano Arab News l’avvocato Abdulaziz Al Qasim, è che nessuno nel governo vuole essere attaccato dalle autorità religiose, che hanno definito le palestre femminili “una vergogna” e una tentazione che porta le donne ad allontanarsi da casa trascurando così marito e figli (una settimana fa è stata emanata pure una fatwa che le definisce “immorali”).
In Arabia Saudita lo sport è vietato anche nelle scuole statali femminili, non c’è alcuna federazione che organizzi attività sportive per le ragazze, pochi stadi sono aperti a loro e non possono partecipare alle Olimpiadi (l'attivista Wajeha Al Huwaider, che si batte anche per il diritto delle donne alla guida, ha criticato questo divieto con un video diffuso su YouTube in occasione dei Giochi del 2008. «Aisha, moglie del profeta Maometto, praticava ogni genere di sport ai suoi tempi - afferma nel video -. Sapeva andare a cavallo e combattere»). Nonostante i divieti, squadre femminili di calcio, basket e pallavolo nascono e giocano semi-clandestinamente. Ed esistono decine di palestre indipendenti - illegali - a Gedda, Medina, Riad: spesso vengono chiamate “centri di bellezza”. Ma il ministero degli Affari municipali e rurali ha dichiarato di voler porre fine alla loro esistenza, secondo i giornali sauditi. D’altra parte, proprio il viceministro per gli Affari municipali e rurali, il principe *Mansour bin Muteb, ha suggerito giorni fa che, per la prima volta, le donne saudite potrebbero essere autorizzate a votare quest’anno nelle amministrative (solo gli uomini hanno votato in quelle del 2005, le prime elezioni nazionali dalla crezione dello stato nel 1932). Una prova dei progressi lenti e contraddittori sulla strada delle riforme promesse dal re Abdullah.
Le prime palestre private solo per donne sono nate sei anni fa e sono oggi molto popolari, come luoghi di relax e per combattere l’obesità o i chili di troppo (un problema per il 66% delle saudite, secondo la stampa locale). Ma mentre il dipartimento dello sport e della gioventù concede licenze alle palestre private maschili, non le dà a quelle femminili. Né esiste alcun dipartimento governativo che lo faccia. «Perché ai maschi è permesso frequentare le palestre indipendenti, che non sono certificate e non hanno supervisione medica, mentre alle donne è proibito?», ha protestato Sara Abdulla. «Noi abbiamo le stesse esigenze». La ragione, dice al quotidiano Arab News l’avvocato Abdulaziz Al Qasim, è che nessuno nel governo vuole essere attaccato dalle autorità religiose, che hanno definito le palestre femminili “una vergogna” e una tentazione che porta le donne ad allontanarsi da casa trascurando così marito e figli (una settimana fa è stata emanata pure una fatwa che le definisce “immorali”).
In Arabia Saudita lo sport è vietato anche nelle scuole statali femminili, non c’è alcuna federazione che organizzi attività sportive per le ragazze, pochi stadi sono aperti a loro e non possono partecipare alle Olimpiadi (l'attivista Wajeha Al Huwaider, che si batte anche per il diritto delle donne alla guida, ha criticato questo divieto con un video diffuso su YouTube in occasione dei Giochi del 2008. «Aisha, moglie del profeta Maometto, praticava ogni genere di sport ai suoi tempi - afferma nel video -. Sapeva andare a cavallo e combattere»). Nonostante i divieti, squadre femminili di calcio, basket e pallavolo nascono e giocano semi-clandestinamente. Ed esistono decine di palestre indipendenti - illegali - a Gedda, Medina, Riad: spesso vengono chiamate “centri di bellezza”. Ma il ministero degli Affari municipali e rurali ha dichiarato di voler porre fine alla loro esistenza, secondo i giornali sauditi. D’altra parte, proprio il viceministro per gli Affari municipali e rurali, il principe *Mansour bin Muteb, ha suggerito giorni fa che, per la prima volta, le donne saudite potrebbero essere autorizzate a votare quest’anno nelle amministrative (solo gli uomini hanno votato in quelle del 2005, le prime elezioni nazionali dalla crezione dello stato nel 1932). Una prova dei progressi lenti e contraddittori sulla strada delle riforme promesse dal re Abdullah.
Commenta