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Alcune considerazioni legate allo sport in età scolare

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    Alcune considerazioni legate allo sport in età scolare

    Questo articolo è una sorta di risposta a quello appena scritto caldo caldo dal Paolino padrone del Blog. Infatti, stavo scrivendo un commento, ma mi sono accorto, man mano che scrivevo, che poteva assumere identità e ruolo da vero e proprio articolo. Così, l’ho fatto. Paolo, avendo permesso di scrivere liberamente, non sa che errore madornale ha commesso…

    Io penso che la dimensione sportiva dei bambini sino all’adolescenza sia legato a fattori che non sono esclusivamente di sviluppo muscolare. Ma si estendono anche allo sviluppo di capacità psico-ludico-motorie.
    Ora, eliminando la sola caratteristica motoria, concentriamoci sulle altre capacità.

    Dimensione Psicologica
    Ora, su questa si scrivere molte considerazioni legate alla dimensione collettiva, alla dimensione solitaria, al rispetto delle regole, ai valori decoubertiani dello sport, bla e bla. Va tutto bene, ma si prescinde sempre da un fattore a mio avviso essenziale, cioè l’insegnante (o allenatore, o coach, o trainer, come volete).

    Questa persona è l’artefice del successo o dell’insuccesso dell’individuo nello sport (a meno di palesi limiti fisiologici, ma vabbe’ non mi interessa manco più di tanto approfondire). E’ la persona forse più importante per la maturazione dei bambini che potrebbe benissimo essere equiparata all’insegnante in classe o i genitori a casa, in una lista cardinale di figure di riferimento. E’ questa persona che somministra "stroke" positivi o negativi. Che indica ciò che è bene e ciò che è male, nel sistema di riferimento dei nostri atleti in erba. Eppure, è di quelle più sottovalutate e più improvvisate sulla faccia della terra.
    Nel caso di sport di squadra, è Lui che decide chi va avanti o chi si ferma, chi portare nella "rosa" e chi abbandonare per strada. E questo fenomeno è forse quello che segnerà di più i nostri piccoli atleti più che un voto scarso a scuola. Tuttavia, quante volte vediamo che il nostro insegnate è quello che magari in gioventù era "fortino" (leggasi, veloce, abile nel dribbling, resistente, etc. in funzione dello sport che più ci interessa) e, nell’età più adulta, si è messo ad insegnare lo sport che lo ha visto primeggiare. Magari si è vinto pure qualche medagliuccia, non lo metto in dubbio, ma non sappiamo come si comporta con i bambini, né che caratteristiche pedagogiche abbia.

    Noi abbandoniamo i nostri bambini allo sport, non all’allenatore. Siamo più innamorati da slogan, piuttosto di verificare se affidiamo i nostri teneri atleti ad un potenziale psicopatico, con il fischietto al collo. Siamo obnubilati dallo scopo (che so, il figlio che gioca alla scuola calcio di Totti per il padre tifoso - perdonerete sicuramente la mia attuale residenza -, il tutù rosa per le madri romantiche), non vediamo se l’allenatore è una persona preparata a far entrare nel mondo dello sport il nostro amato virgulto.
    E queste considerazioni sono ulteriormente valide in uno sport di potenza (il powerlifting) o di pura estetica (il bodybuilding). Se poi vogliamo fare ulteriori distinguo, la palestra può essere interpretata come fine, ma soprattutto come mezzo. Vedo molti giovani con la pancia, sovrappeso, oppure tremendamente rachitici, con atteggiamenti cifotici (insomma, delle vere merde) che vagano per la palestra con foglietti che guardano distrattamente, attirati più dalla musica dei loro Ipod e dai culi perizomati (se trattasi di ragazzi maschi), dal chiacchericcio del gossip scolastico (se trattasi di ragazze), dalle griffe sfoggiate (per entrambi i generi). E allora, la domanda è: perché non è importante in questo ambito il trainer, l’allenatore che ti prende da quando varchi la prima volta la porta della palestra a quando ti cambi per far la doccia ?

    Dimensione ludica
    Su questo aspetto, mi sono sempre battuto con mia moglie. Mia figlia ha fatto alcuni sport (nuoto, pallavolo). Ha sempre abbandonato dopo un paio di stagioni, perché non interessata e perché non divertita. Poi è approdata all’hip hop (danza nata nei quartieri ghetto statunitensi, con precise tecniche e regole, googlate su wiki: http://it.wikipedia.org/wiki/Hip_hop) e lì è rimasta, almeno da quattro anni. Perché ? E’ semplice: perché si diverte.
    Anche questo tipo di fenomeno è largamente sottovalutato. Noi mandiamo i nostri figli a nuoto perché è uno sport completo (sic !), ne facciamo dei martiri con la racchetta in mano, perché il tennis fa fico, ne facciamo dei cavallerizzi perché è importante non aver paura degli animali, ma aver con loro un buon rapporto (ari-sic!). Mai una volta, dico una, che si presenti il dubbio, la questione, la domanda "ma a mio figlio/a piace, si diverte, ha voglia ?".
    Insomma, facciamo sì che lo sport praticato sia più un’estensione del nostro ego, delle nostre passioni o delle nostre credenze, ma non guardiamo all’aspetto più puramente ludico dello sport in sè, la rappresentazione del vincere giocando (o giocare per vincere, fate voi).
    sigpic I miei articoli

    Originariamente Scritto da Sandro Rossi, presidente FIPL
    E' straordinariamente, selvaggiamente bello bruciare un giorno della nostra vita in trenta secondi di pedana!!

    #2
    Originariamente Scritto da tattoos Visualizza Messaggio
    Questo articolo è una sorta di risposta a quello appena scritto caldo caldo dal Paolino padrone del Blog. Infatti, stavo scrivendo un commento, ma mi sono accorto, man mano che scrivevo, che poteva assumere identità e ruolo da vero e proprio articolo. Così, l’ho fatto. Paolo, avendo permesso di scrivere liberamente, non sa che errore madornale ha commesso…
    Originariamente Scritto da tattoos Visualizza Messaggio

    Io penso che la dimensione sportiva dei bambini sino all’adolescenza sia legato a fattori che non sono esclusivamente di sviluppo muscolare. Ma si estendono anche allo sviluppo di capacità psico-ludico-motorie.
    Ora, eliminando la sola caratteristica motoria, concentriamoci sulle altre capacità.

    Dimensione Psicologica
    Ora, su questa si scrivere molte considerazioni legate alla dimensione collettiva, alla dimensione solitaria, al rispetto delle regole, ai valori decoubertiani dello sport, bla e bla. Va tutto bene, ma si prescinde sempre da un fattore a mio avviso essenziale, cioè l’insegnante (o allenatore, o coach, o trainer, come volete).

    Questa persona è l’artefice del successo o dell’insuccesso dell’individuo nello sport (a meno di palesi limiti fisiologici, ma vabbe’ non mi interessa manco più di tanto approfondire). E’ la persona forse più importante per la maturazione dei bambini che potrebbe benissimo essere equiparata all’insegnante in classe o i genitori a casa, in una lista cardinale di figure di riferimento. E’ questa persona che somministra "stroke" positivi o negativi. Che indica ciò che è bene e ciò che è male, nel sistema di riferimento dei nostri atleti in erba. Eppure, è di quelle più sottovalutate e più improvvisate sulla faccia della terra.
    Nel caso di sport di squadra, è Lui che decide chi va avanti o chi si ferma, chi portare nella "rosa" e chi abbandonare per strada. E questo fenomeno è forse quello che segnerà di più i nostri piccoli atleti più che un voto scarso a scuola. Tuttavia, quante volte vediamo che il nostro insegnate è quello che magari in gioventù era "fortino" (leggasi, veloce, abile nel dribbling, resistente, etc. in funzione dello sport che più ci interessa) e, nell’età più adulta, si è messo ad insegnare lo sport che lo ha visto primeggiare. Magari si è vinto pure qualche medagliuccia, non lo metto in dubbio, ma non sappiamo come si comporta con i bambini, né che caratteristiche pedagogiche abbia.

    Noi abbandoniamo i nostri bambini allo sport, non all’allenatore. Siamo più innamorati da slogan, piuttosto di verificare se affidiamo i nostri teneri atleti ad un potenziale psicopatico, con il fischietto al collo. Siamo obnubilati dallo scopo (che so, il figlio che gioca alla scuola calcio di Totti per il padre tifoso - perdonerete sicuramente la mia attuale residenza -, il tutù rosa per le madri romantiche), non vediamo se l’allenatore è una persona preparata a far entrare nel mondo dello sport il nostro amato virgulto.
    E queste considerazioni sono ulteriormente valide in uno sport di potenza (il powerlifting) o di pura estetica (il bodybuilding). Se poi vogliamo fare ulteriori distinguo, la palestra può essere interpretata come fine, ma soprattutto come mezzo. Vedo molti giovani con la pancia, sovrappeso, oppure tremendamente rachitici, con atteggiamenti cifotici (insomma, delle vere merde) che vagano per la palestra con foglietti che guardano distrattamente, attirati più dalla musica dei loro Ipod e dai culi perizomati (se trattasi di ragazzi maschi), dal chiacchericcio del gossip scolastico (se trattasi di ragazze), dalle griffe sfoggiate (per entrambi i generi). E allora, la domanda è: perché non è importante in questo ambito il trainer, l’allenatore che ti prende da quando varchi la prima volta la porta della palestra a quando ti cambi per far la doccia ?

    Dimensione ludica
    Su questo aspetto, mi sono sempre battuto con mia moglie. Mia figlia ha fatto alcuni sport (nuoto, pallavolo). Ha sempre abbandonato dopo un paio di stagioni, perché non interessata e perché non divertita. Poi è approdata all’hip hop (danza nata nei quartieri ghetto statunitensi, con precise tecniche e regole, googlate su wiki: http://it.wikipedia.org/wiki/Hip_hop) e lì è rimasta, almeno da quattro anni. Perché ? E’ semplice: perché si diverte.
    Anche questo tipo di fenomeno è largamente sottovalutato. Noi mandiamo i nostri figli a nuoto perché è uno sport completo (sic !), ne facciamo dei martiri con la racchetta in mano, perché il tennis fa fico, ne facciamo dei cavallerizzi perché è importante non aver paura degli animali, ma aver con loro un buon rapporto (ari-sic!). Mai una volta, dico una, che si presenti il dubbio, la questione, la domanda "ma a mio figlio/a piace, si diverte, ha voglia ?".
    Insomma, facciamo sì che lo sport praticato sia più un’estensione del nostro ego, delle nostre passioni o delle nostre credenze, ma non guardiamo all’aspetto più puramente ludico dello sport in sè, la rappresentazione del vincere giocando (o giocare per vincere, fate voi).


    Hola Zio tattoos,

    Onestamente non ho letto tutto per bene perchè sono in ufficio, per cui non so se i complimenti per l'articolo devo farli a te o a paolino..in ogni caso, congratulazioni!

    Poi vengo però alla "discussione edificante" soprattutto per quanto riguarda i punti che ho evidenziato nel quote.

    Prima di iniziare però devo fare una piccola introduzione: provengo da una famiglia altamente sportiva ed innamorata del nostro sport, ossia il baseball. Mio nonno costruì il campo in cui giocano oggi ancora un centinaio di bambini del paese dove abito (in provincia di Milano). Purtroppo io non ci gioco più perché ho “fatto carriera” e gioco nella grande squadra del capoluogo lombardo. Sua figlia, ossia mia madre, ed i suoi fratelli hanno giocato. Mia madre gioca ancora in serie B nella squadra allenata da mio padre (per favore nessun doppio senso..mi fanno altamente incazzare). Mio padre come detto, ha giocato per un paio di anni poi è passato a fare prima l’allenatore della mia squadra quando avevo 10/11 anni ed ora allena la squadra di serie B di softball del paese dove abitiamo. Mio fratello invece ha 11 anni, per problemi logistici ha smesso di giocare da un paio di anni ma continua ad allenarsi con i ragazzi più grandi di lui nella mia squadra.

    Questo per farti capire meglio quello che andrò a dire qui di seguito:

    Nella mia famiglia non si è mai abbandonato nessuno a nessun allenatore che non ci ispirasse fiducia. Io prima e mio fratello ora, non siamo mai stati seguiti da allenatori che non avessero ottenuto la fiducia ed il rispetto dei miei genitori. Però ammetto che anche i genitori dei ragazzini che alleno (ebbene sì, sono allenatore pure io) non sembrano abbandonare la loro prole in mano agli sconosciuti. Le prime volte che sono entrato in campo come allenatore c’è sempre stato uno o più genitori pronti a chiedermi chi ero e che cosa avevo fatto di bello per trovarmi a 22 anni a fare l’allenatore.. inoltre fisicamente, sono poco raccomandabile, complice la rasatura a zero e gli otto orecchini che mi porto dietro..però i ragazzini han continuato ad allenarsi sotto la mia guida e questo io lo ritengo uno delle motivazioni che mi spingono ad obbiettare alla tua affermazione.
    Così come una scheda per la palestra può funzionare per un individuo e non per un altro, lo stesso accade per le scelte per i figli. C’è chi li ha a cuore e li segue sempre e chi li “abbandona” allo sport. Ed ho avuto la fortuna e sfortuna di assistere all’evoluzione di entrambe le situazioni.

    Lo stesso riguarda il secondo punto: giocando ad uno sport così di nicchia, è quasi impossibile che i figli diventino estensione dell’ego dei genitori in quanto ex sportivi non affermati in quello sport.. nessuno conosce il baseball qui da noi!
    Eppure i bambini arrivano..ed i genitori li seguono. Mi ricordo ancora la prima partita dei più piccoli che seguiamo (6/7 anni).
    Un disastro, non fecero nemmeno un punto e persero due partite di seguito ad un triangolare.. eppure ai genitori non importava… i figli ridevano per una battuta e loro erano contenti..

    Il succo del discorso è: siamo tutti diversi ed ogni situazione è differente, per cui non trovo sia giusto generalizzare così tanto, facendo passare i genitori sempre come degli individui che non seguono i propri figli..d’altronde tu tattos sei un esempio di questa contraddizione..son sicuro che tua figlia la segui e l’assecondi

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