Originariamente Scritto da Sean
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La "lost experience" deriva proprio dalla fragilità dell' "idolo", quello specchio delle varie immagini del Se, eterologhe, acquisite/importate dall'esterno: si cerca di autoidentificarsi in esse, scartanone di volta in volta una dietro l'altra, come se stessimo cercando il paio di scarpe giusto.
La frantumazione centrifuga dell'idolo del Se eterologo si contrappone all'autodeterminazione cetripeta del Se autologo.
Gli individui che hanno uno spiccato Se autologo, possono adottare due behavioural attitudes nei confronti della doxa: monacale od apostolica (credo di aver avuto già modo di parlarne), entrambi plausibili ai fini esistenziali.
Il monacale è tutto volto con lo sguardo verso l'Assoluto; percepisce il panta rei, pur in tutta la sua frenesia spesso meaningless, ma sceglie di non interagire con esso, in quanto crede che il panta rei è comunque parte dell'Essere, e che tutto accade secondo l'imperscrutabile ragione del Logos. Questo è il caso a cui ti riferisci: effettivamente, l'individuo "monacale" mostra un'atteggiamento apatico nei confronti dell'imminenza.
L'apostolico si sente chiamato ad interagire con la doxa, se stesso come strumento del Logos: percepisce una "calling" per porre ordine nell'entropia di Cronos.
L'apostolico, al contrario del monacale, è incline a scorgere nell'immanente anche il significato, e la bellezza, che lo trascende: è un dionisiaco trascendentale, un empirico contemplativo; vede anche nel "fun" la scintilla di quella afterlife (non intesa qui come post-morte, ma come ultra-mondo), che porta nel suo ventricolo sinistro.
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